
L’inverno sta finendo e abbiamo ancora -57% di equivalente idrico nivale

Niente da fare, la stagione invernale volge al termine e la finestra per nuove nevicate si restringe sempre di più. Nel Nord-Ovest, in questi giorni è caduta ancora un po’ di neve fresca, quindi resta da vedere se nelle prossime settimane si potrà assistere a un colpo di coda capace di attenuare significativamente il deficit. Ma al momento la situazione è in linea con quella registrata nei mesi scorsi, tutt’altro che positiva. Anche questo mese Cima foundation conferma infatti una tendenza che ormai caratterizza le stagioni invernali recenti in Italia: poche luci e molte ombre sulla risorsa idrica nivale.
Già a febbraio, a inverno inoltrato, veniva registrato -58% di equivalente idrico nivale. E il dato era preoccupante perché l’inverno dovrebbe essere il periodo in cui la neve si accumula, raggiungendo il suo picco tra la fine di febbraio e la metà di marzo secondo i dati storici, costruendo una riserva d’acqua importante per la primavera e l’estate, ma la realtà che emerge dai dati attuali è ben diversa. E ora il nuovo aggiornamento mensile di Fondazione Cima conferma che il bilancio idrico nivale dell’Italia si mantiene in negativo, con un deficit nazionale dello Snow Water Equivalent (SWE) pari al -57% rispetto alle medie storiche.
Questo valore riflette una tendenza in corso da diversi anni, segnalando una progressiva riduzione della disponibilità di neve. La fusione precoce della neve è direttamente influenzata dall’aumento delle temperature, con conseguenze dirette sulla disponibilità idrica per i mesi successivi.
«Questi dati non rappresentano un’anomalia isolata, ma piuttosto un segnale persistente nelle ultime stagioni. Possiamo evidenziare come questa stagione stia mettendo in luce anomalie ricorrenti nel nostro clima recente, un fenomeno che si sta manifestando attraverso una scarsità di nevicate e un’accelerazione dei processi di fusione», spiega Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione Cima.
Riguardando a come questa stagione si è sviluppata, l’inizio è stato incerto: un novembre insolitamente secco ha ritardato la formazione del manto nevoso, privando le montagne della solida base su cui normalmente si accumula la neve nei mesi successivi. Dicembre ha tentato di correggere questo squilibrio con alcune precipitazioni, ma le ripetute ondate di calore hanno compromesso significativamente questo accumulo. Nei primi due mesi dell’anno, poi, il panorama è cambiato nuovamente. Gennaio ha portato nevicate abbondanti su parte delle Alpi, alimentando la possibilità di un parziale recupero. Tuttavia, febbraio non ha sostenuto le speranze: temperature superiori alla media hanno accelerato il processo di fusione, soprattutto a media e bassa quota.
Sulle Alpi, questo andamento è stato particolarmente evidente nel bacino del Po, che raccoglie circa la metà della risorsa idrica nivale italiana. Dopo una fase transitoria di recupero a inizio gennaio – sottolinea la Fondazione Cima – l’aumento delle temperature ha innescato una fusione accelerata della neve, riportando il deficit a livelli importanti. Anche il bacino dell’Adige registra un deficit significativo della copertura nevosa, sebbene alle quote più elevate si osserva una maggiore resistenza del manto nevoso, grazie a temperature comunque più basse del punto di fusione anche se maggiori della norma.
Spostandoci sugli Appennini, il quadro è ancora più complesso. Dopo un dicembre con qualche nevicata, i mesi successivi hanno visto una sostanziale assenza di precipitazioni significative. Il bacino del Tevere registra un deficit del 95%, segnando il peggior bilancio degli ultimi tredici anni al momento.
Ma quali sono le prospettive per i prossimi mesi? Secondo le previsioni stagionali dell’European centre for medium-range weather forecasts, la primavera sarà più calda della norma su tutto il territorio nazionale. Questo implica una probabilità elevata di fusione accelerata del manto nevoso, con implicazioni dirette sulla portata dei fiumi e sulla disponibilità di acqua per il settore agricolo e civile. Le precipitazioni, invece, potrebbero attestarsi su valori medi o leggermente superiori alla norma, almeno per il Centro-Nord, ma l’esperienza degli ultimi mesi ha dimostrato che queste proiezioni devono essere interpretate con cautela.
