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Appello dell'Igad alla comunità internazionale: aiutate il Sud Sudan ancora in ginocchio per le alluvioni del 2019

Wfp: in tutta l’Africa Orientale riduzione delle razioni alimentari per i rifugiati per le risorse limitate a causa del coronavirus
 |  Acqua

L'Intergovernamental Authority on Development (IGAD), che riunisce 8 Paesi dell’Africa orientale – Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Uganda – ha lanciato un drammatico appello alla comunità internazionale perché Sostenga il Sud Sudan che sta facendo fronte alle conseguenze di una serie di inondazioni senza precedenti che hanno colpito il più giovane Paese africano alla fine dell’ultimo trimestre del 2019. Una tragedia che è stata messa in secondo piano dalla pandemia di Covid-19.

Ora il segretario esecutivo dell’Igad, Workeneh Gebeyehu, dice che la situazione in Sud Sudan è drammatica: «Rivolgo un appello ai governi partner, alle agenzie umanitarie e alle organizzazioni internazionali e regionali a rispondere positivamente e rapidamente alla dichiarazione di catastrofefatta dal governo sud-sudanese».

Secondo Gebeyehu, circa 980.000 persone patiscono ancora le conseguenze di quelle inondazioni dell’autunno 2019, aggravate dall’esondazione del Nilo Bianco «E il numero potrebbe aumentare a causa delle forti piogge attese nei prossimi mesi sia nel Sud Sudan che nei Paesi vicini a monte».

Il segretario esecutivo dell’Igad ha ricordato che «Le misure di controllo necessarie messe in atto per fermare la propagazione della pandemia del nuovo coronavirus nel Paese hanno esercitato una pressione supplementare enorme sull’economia locale già mal messa, in particolare sui mezzi di sussistenza della popolazione vulnerabile».

Attualmente gli Stati sud-sudanesi più colpiti sono soprattutto quelli di Jonglei e di Warrap, dove è stato decretato lo stato di emergenza a causa di «una terribile situazione umanitaria sul terreno».

Gebeyehu  ha sottolineato che «I bisogni umanitari prioritari e immediate in Sud  Sudan sono dei ripari (tende), dei prodotti alimentari, dei medicinali sia per gli esseri umani che per il bestiame e delle piccole imbarcazioni per raggiungere le persone colpite».

Tra ottobre e dicembre 2019 vaste regioni del nord e dell’est del Sud Sudan  sono state devastate da piogge torrenziali e già allora Onu e Medici senza frontiera avevano lanciato l’allarme sul fatto che 7 milioni di persone, circa i due terzi della popolazione sud-sudanese avevano urgente bisogno di aiuto umanitario e che le conseguenze delle inondazioni avrebbero solo aggravato la loro situazione, dando un colpo mortale alla loro resilienza, ai meccanismi di assistenza e al loro accesso ai servizi vitali.

Ma il World Food Programme (Wfp), amplia l’allarme e avverte che,  mentre l'impatto socioeconomico della pandemia di COVID-19 riduce i vitali finanziamenti dei donatori Fame e malnutrizione incombono su milioni di rifugiati in Africa orientale che dipendono, per sopravvivere, dall'assistenza dell’agenzia Onu.

Il Wfp diche che  è stato già »costretto a ridurre ili cibo o i trasferimenti in denaro dal 10 al 30 per cento per oltre 2,7 milioni di rifugiati in Etiopia, Uganda, Kenia, Sud Sudan e Gibuti e che nei prossimi mesi, il WFP sarà costretto a tagliare ancora più drasticamente se non si ricevono in tempo ulteriori finanziamenti urgenti».

Michael Dunford, direttore regionale del Wfp per l'Africa Orientale, evidenzia che «I rifugiati sono particolarmente vulnerabili alla diffusione del Covid-19 perché vivono in campi ad alta densità abitativa e fragili o inadeguati in termini di ripari, servizi sanitari, accesso all'acqua pulita e servizi igienici. I rifugiati sono anche colpiti dal forte impatto socioeconomico della pandemia e dalla malattia stessa. I più vulnerabili tra donne, bambini e anziani sono sempre più a rischio di malnutrizione che, a sua volta, può avere un impatto sul sistema immunitario e aumentare il rischio di contrarre la malattia, un tragico circolo vizioso nel pieno di una pandemia. Il Covid deve ancora raggiungere il picco in Africa orientale, e non possiamo voltare le spalle alle persone che sono state costrette a fuggire e sono bloccate in campi remoti. Molti hanno già perso le poche opportunità di guadagno a causa della recessione economica causata dalle restrizioni dovute al Covid-19«.

Il problema è ,lo stesso descritto da Gebeyehu: il Wfp ha bisogno di 323 milioni di dollari per assistere i rifugiati nella regione per i prossimi sei mesi, si tratta di un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

L’Agenzia Onu spiega che «A causa delle restrizioni, le scuole nei campi rifugiati sono chiuse, e i bambini hanno perso i vitali pasti scolastici in Etiopia, Kenya, Sud Sudan, Rwanda e Uganda. In tutti questi Paesi, ad eccezione del Rwanda, la carenza di fondi ha impedito al Wfp di fornire razioni da portare a casa ai bambini rifugiati per aiutarli a studiare nelle proprie abitazioni e a mantenere un buono stato nutrizionale. Chiusure scolastiche prolungate possono portare a un aumento delle gravidanze adolescenziali, abusi sessuali, matrimoni precoci, violenza domestica, lavoro minorile e alti tassi di abbandono scolastico. Minacciano di erodere i risultati ottenuti con fatica nel corso degli anni per migliorare l'accesso a un'istruzione di qualità per i rifugiati nei campi. Per le donne e le ragazze, è maggiore il rischio di subire violenza di genere, sfruttamento sessuale e abusi, oltre a dover ricorrere al sesso a pagamento per sopravvivere. Le persone con disabilità e i minori non accompagnati o separati sono i più vulnerabili».

Dunford ribadisce che «Purtroppo, sono i più poveri e svantaggiati che soffrono di più. Semplicemente, non possiamo lasciare che ciò accada. Il Covid-19 non può essere una scusa che il mondo si dà per voltare le spalle ai rifugiati in questo momento terribile».

La situazione per i rifugiati è così grave che il Wfp si rivolge sia ai donatori tradizionali che ai nuovi possibili donatori, come le istituzioni finanziarie internazionali, perché si facciano avanti per assistere i rifugiati, proprio perché la loro vulnerabilità è aumentata solo a causa del Covid-19. Donatori come la Banca Mondiale si sono detti disponibili a sostenere i governi della regione ad assistere i poveri che vivono in insediamenti informali nelle aree urbane dopo che milioni di persone hanno perso i propri mezzi di sussistenza a causa delle recessioni economiche innescate dalle restrizioni dovute al Covid-19.

Il Wfp  elogia i governi della regione per aver continuato ad ospitare i rifugiati e per aver in gran parte mantenuto le frontiere aperte, ma avverte che, se dovesse essere costretto a continuare a tagliare le razioni dei rifugiati, «Questo potrebbe spingere le comunità di rifugiati a spostarsi all'interno dei Paesi ospitanti o addirittura oltre i confini, nel disperato tentativo di soddisfare i propri bisogni essenziali, e questi spostamenti si verificherebbero nel momento peggiore, cioè nel mezzo della pandemia di coronavirus».

Redazione Greenreport

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