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Presentata a Roma l’ultima edizione del Blue Book promosso da Utilitalia

Acqua, negli ultimi 7 anni gli investimenti nel servizio idrico sono cresciuti del 24%

E continuano a salire, ma occorre migliorare soprattutto su perdite di rete e depurazione
 |  Acqua

Nel 2018 in Italia la spesa media mensile familiare per consumi di beni e servizi è stata di 2.571 euro mensili, mentre per la fornitura di acqua nell’abitazione ogni famiglia ha speso in media 14,65 euro. Un dato che si lega a quello, finalmente in robusta crescita negli ultimi anni, legato agli investimenti: con il trasferimento delle competenze di regolazione e controllo all’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), gli investimenti realizzati nel servizio idrico integrato hanno registrato una crescita costante arrivando a 38,7 euro ad abitante nel 2017, con un aumento del 24% negli ultimi 7 anni. Un trend in continua crescita, come informa il nuovo Blue Book promosso da Utilitalia e realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di Istat, presentato oggi a Roma.

L’impatto della regolazione sulla qualità tecnica (un sistema incentivante che prevede la verifica biennale dell’efficacia degli investimenti) ha fatto registrare un ulteriore incremento della programmazione degli investimenti del 24% per il biennio in corso (2018-2019), tanto che oggi gli investimenti pro capite realizzati nell’ultimo biennio si possono stimare in 44,6€/ab. «Il lavoro di questi anni dell’Autorità è un dato ormai certificato – spiega Stefano Saglia, componente del collegio dell’Arera – L’aumento degli investimenti da 1,2 a 3 miliardi, dovuto alla maggiore stabilità e all’accresciuta fiducia nel settore idrico degli operatori finanziari, è il miglior riconoscimento che il regolatore possa avere per il proprio lavoro».

«Questi dati – aggiunge il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti – dimostrano l’importante progresso compiuto dall’intero comparto. Per recuperare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati».

Nel 2018 la percezione della qualità del servizio idrico risulta piuttosto elevata: le famiglie che sono allacciate alla rete idrica comunale (96% del totale), nell’84,6% dei casi, si ritengono molto o abbastanza soddisfatte. Le percentuali variano sensibilmente sul territorio: nel Nord le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono il 91,9%; nel Centro e nel Sud tale quota diminuisce di circa dieci punti, mentre nelle Isole scende al 67,0%. «Restano aree del Paese in forte ritardo – osserva Valotti – soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità fra diverse parti del Paese. Potenziare il sistema delle imprese idriche nel Mezzogiorno è la via obbligata per migliorare la qualità dei servizi, con importanti impatti sull’occupazione e l’indotto locale. È importante non perdere questo treno: serve un grande piano per il Sud che punti a far decollare l’infrastrutturazione e a garantire un servizio universale a cui tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di nascita, hanno diritto».

Anche perché restano elementi di criticità rispetto allo stato delle infrastrutture, dovute in prevalenza alla vetustà delle reti e degli impianti: le perdite di rete stimate nel 2016 sono superiori al 42% (gli ultimi dati forniti da Istat mostrano che l’Italia spreca 4,5 miliardi di metri cubi d’acqua potabile l’anno su questo fronte), mentre il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani). Di conseguenza, l’incremento di investimento pro capite previsto per il biennio 2018 -2019   per la riduzione delle dispersioni idriche imposto dalla disciplina Arera è di 6 €/ab, mentre per il miglioramento delle acque di scarico (con livelli di qualità più stringenti rispetto alla normativa vigente) è richiesto un sforzo aggiuntivo di 7,2 €/ab.

Oltre alla vetustà delle reti e alla necessità di investimenti sugli acquedotti per limitare le perdite, tra le ulteriori criticità spicca il fabbisogno di investimenti sulla “depurazione delle acque reflue”: circa l’11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione. La maggior parte di questi agglomerati sono concentrati nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali. La conseguenza – oltre ad incalcolabili danni per l’ambiente – è nelle sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque reflue.

Da questo punto di vista bisogna comunque segnalare una positiva evoluzione: gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034), per la quale la Corte di Giustizia ha già irrogato una multa, si sono ridotti da 109 a 74; mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza (2009/2034) sono stati sanati 27 siti irregolari su 41 (restano così 14 le aree su cui è necessario ancora intervenire); appare in miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), che ha visto passare il numero degli agglomerati in infrazione da 879 a 620. Alle tre procedure se ne è però recentemente aggiunta una quarta, la 2017/2181, ancora all’inizio dell’iter procedurale: la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora con cui richiede informazioni in merito ad ulteriori 276 agglomerati.

Redazione Greenreport

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