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Quale ruolo per l’ingegneria naturalistica nel contrasto alle alluvioni in Toscana

Preti: «Mitigazione del rischio idrogeologico e riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili»
 |  Toscana

In Toscana è piovuto tanto in questi giorni e i fiumi si sono ingrossati e siamo ancora in allerta. Il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore. Anche con riferimento all’alluvione del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50% (quindi gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore).

Se poi si considera il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno, ecco che abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile (più che idrogeologico, ormai rischio “idrogeo-illogico” o “idrogeo-antropico”).

Intervenendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi. Ad esempio trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde.

In realtà i fenomeni di dissesto (erosione, frane, esondazioni, etc.) sono naturali, ma creano danni solo se si costruisce e si vive in zone a rischio (se possibile, la soluzione migliore sarebbe non-strutturale: divieto di costruire o delocalizzazione).

Da sempre, con l’ingegneria naturalistica, si privilegia l’opzione zero (non-intervento se non necessario, in caso di processi naturali) oppure la rinaturalizzazione/riqualificazione prima degli interventi strutturali che, qualora inevitabili si realizzeranno con opere “verdi” rispetto a quelle convenzionali “grigie”, tenuto conto dei limiti tecnici e della deontologia professionale. Il tutto rispettando, naturalmente, il principio Do No Significant Harm (DNSH) per cui gli interventi non arrechino alcun danno significativo all'ambiente. Ormai le strategie e programmi europei e nazionali, anche sostenuti dal Recovery plan/Pnrr, vanno in questa direzione. Ad esempio, con l’emanazione del DPCM 27/09/2021 sono stati definiti criteri e metodi per identificare le priorità di finanziamento degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico in Italia: tra gli interventi proposti, si darà priorità ai cosiddetti interventi “integrati”, nei quali si associa la protezione di ecosistemi e biodiversità alla mitigazione del rischio idrogeologico.

L'ingegneria naturalistica ha, pertanto, certamente un ruolo per la mitigazione del rischio idrogeologico e la riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili e portando occupazione, compensando anche la mancanza di manutenzione del territorio e aumentandone la resilienza agli effetti del cambio climatico e del consumo di suolo.

di Federico Preti, presidente nazionale dell’Associazione italiana per l’ingegneria naturalistica (Aipin) e docente di Idraulica presso l’Università di Firenze

Redazione Greenreport

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