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Nonostante le strette normative, in 10 anni gli ecoreati censiti sono aumenti a quota 2.318

La Toscana quinta regione italiana nella classifica ecomafia di Legambiente

Fontana: «Non minaccia solo l'ambiente e la salute dei cittadini ma rappresenta un pericolo per le imprese sane del nostro Paese»
 |  Toscana

Dopo la presentazione nazionale di due settimane fa, l’edizione 2024 del rapporto Ecomafia (Edizioni Ambiente) elaborata da Legambiente ha fatto tappa oggi a Firenze, per un focus sui dati regionali.

Nell’ingloriosa classifica del Cigno verde, la Toscana spicca come quinta regione in Italia per ecoreati – subito dopo le 4 a tradizionale presenza mafiosa –, con 2.318 casi censiti (il 6,5% sul totale nazionale) 114.523 controlli, 2.273 persone denunciate, 1 arresto, 302 sequestri, 5755 illeciti amministrativi e 7531 sanzioni amministrative.

Si tratta di un trend in crescita, con gli ecoreati toscani saliti nell’ultimo decennio da 1.989 casi l’anno ai già citati 2.318 censiti nel 2023.

«Un quadro quello che fotografa il Rapporto Ecomafia quest’anno per niente rassicurante, anche per la nostra regione – dichiara Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana – il trend parla infatti molto chiaro. Si registra un graduale ma incessante aggravamento del fenomeno, con una particolare criticità delle infrazioni nel ciclo del cemento, che, ricordo, ricomprendono fattispecie quali: abusivismo edilizio (parziale o totale), attività estrattive illegali, irregolarità (di varia natura e gravità) nelle procedure di appalto. Il caso peculiare della costa livornese e dell’Isola d’Elba c’insegna poi che nei luoghi dove la pressione turistica è più forte occorre profondere un ulteriore sforzo di deterrenza e vigilanza. Solo con un’azione incessante e coordinata tra cittadinanza attiva, forze dell’ordine e amministratori pubblici, riusciremo a comprimere questi fenomeni, assolutamente indegni per una regione civile come la nostra».

Tra i reati più diffusi nella nostra regione spiccano le infrazioni relative al ciclo dei rifiuti, alla filiera illegale del cemento e il traffico di animali.

In particolare, per quanto riguarda le illegalità rilevate nel ciclo del cemento, la Toscana da quarta diventa quinta in classifica nel 2023 con 965 reati (il 7,4% sul totale nazionale). Da notare il trend notevolmente in crescita con il numero di reati triplicati dal 2013-2023, passando da 330 a 965. In questo ambito è rilevante l’illegalità denunciata da anni all’isola d’Elba dal circolo locale di Legambiente, fatta soprattutto di seconde case parzialmente abusive e accessi “privati” alle spiagge.

È stabile invece il numero regionale dei reati legati al ciclo dei rifiuti illegali. In questo ambito, la Toscana permane a metà classifica con 448 reati, un dato praticamente stazionario rispetto ai 412 registrati nel 2013. Tra le filiere attenzionate c’è quella relativa all’export illegale di Raee dal nostro paese risale allo scorso 6 aprile, quando i finanzieri insieme ai funzionari delle dogane e di Arpa Toscana hanno sequestrato nel porto di Marina di Carrara 82 tonnellate di Raee frammisti ad altre tipologie di scarti. La ditta esportatrice ha sede a Prato, nel distretto tessile.

«Il ciclo del cemento resta quello con il maggior numero di reati anche a livello nazionale. Ma presentando oggi il Rapporto Ecomafia a Firenze, vogliamo anche lanciare da questa regione, segnata dall'inchiesta “Keu” e dall'aumento dell'illegalità ambientale, un forte appello a Confindustria e al suo presidente nazionale, Emanuele Orsini, perché contribuisca, nell'ambito del suo ruolo e delle sue competenze, a liberare l'economia e il sistema imprenditoriale del nostro Paese dalla zavorra dell'ecocriminalità – afferma Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Ambiente e legalità – Legambiente è pienamente disponibile a collaborare, perché l'ecomafia non minaccia solo l'ambiente e la salute dei cittadini ma rappresenta un pericolo per le imprese sane del nostro Paese. Lo dimostrano la crescita delle infrazioni nella gestione dei rifiuti, con pratiche illegali che minacciano l’economia circolare».

Proprio il capitolo dei rifiuti offre l’occasione di un’analisi più approfondita dei problemi e delle possibili soluzioni attorno al problema, e anche alla retorica, dell’ecomafia. Sono 15 le proposte messe in fila dal Cigno verde nazionale per affrontarla, ma ancora una volta si tratta di approcci quasi esclusivamente legati all’inasprimento delle pene come all’introduzione di nuove fattispecie di reato; ovvero la linea d’azione già messa in campo nell’ultimo decennio almeno – spicca in particolare l’introduzione della legge 68/2015 sugli ecoreati – con fortune alterne ma senza risultati apprezzabili: come documenta la stessa Legambiente, i dati dell’ecomafia sono stabili quando non in crescita.

La mera volontà sanzionatoria non basta a fare pulizia, soprattutto in un settore come quello della gestione rifiuti, dove la normativa di riferimento – per gli imprenditori onesti che vorrebbero seguirla – è piena di punti oscuri, contraddittori tra loro e dunque interpretabili a piacimento.

Basti osservare come si sono conclusi due dei più importanti processi apertisi negli ultimi anni – e sono pochissimi, purtroppo, quelli ad essere effettivamente arrivati a sentenza definitiva dopo il clamore mediatico per l’avvio delle indagini – in Toscana: dopo 7 anni di fango mediatico, nel 2022 il processo per turbativa d’asta sull’affidamento dell’igiene urbana nell’Ato sud a Sei Toscana si è chiuso con le scuse del pm a tutti gli imputati; a novembre 2023, invece, dopo altri 7 anni d’indagini preliminari, il procedimento penale numero 1987/2016 che ha coinvolto 33 dipendenti e dirigenti di Alia Multiutility si è chiuso con l’archiviazione. Presumibilmente, all’epoca – e a torto, a quanto pare – si trattava di casi enumerati da Legambiente tra gli ecoreati.

Non si tratta di semplici scivoloni giudiziari isolati, senza conseguenze. I processi a vuoto portano a profonde e comprensibili crepe nella fiducia dei cittadini verso le imprese dell’economia circolare, e soprattutto verso le pubbliche istituzioni demandate ad autorizzarne la nascita e controllarne l’attività. I riflessi di questa sfiducia sono evidenti ovunque, sotto forma di sindromi Nimby e Nimto. Mentre crescono le inchieste calano gli impianti, i cittadini non li vogliono vicino: bella sì l’economia circolare, ma nel giardino di qualcun altro. E nel frattempo i costi (economici e ambientali) di gestione dei nostri rifiuti continuano a crescere.

Che fare, dunque? La soluzione non passa solo dall’inasprire le pene, ma dal rivedere la qualità della normativa ambientale. Basti osservare che il Codice dell’ambiente, o meglio il Testo unico ambientale (dlgs 152/2006) è un testo dalla dimensioni ciclopiche, continuamente rimaneggiato nel più oscuro linguaggio burocratico, che lascia aperti troppi margini d’interpretazione. Il ministro dell’Ambiente Pichetto ha affermato più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Lo schema di legge delega dovrebbe arrivare entro settembre, e dal dicastero assicurano ampia partecipazione e ascolto delle associazioni ambientaliste. Che però ancora non si vede.

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.