Soluzioni basate sulla natura? L'ingegneria naturalistica è nata a Vallombrosa oltre un secolo fa
Piove troppo o troppo poco, e più frequentemente. E ciò avviene su un territorio vulnerabile per l'aumento di urbanizzazione lungo i corsi d'acqua e le coste e l'abbandono delle aree interne. Abbiamo studiato che le frane sono più frequenti nei versanti terrazzati abbandonati negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati. I corsi d'acqua arginati non reggono e si continua a impermeabilizzare il suolo e esponendo beni e vite umane a subire danni. Tagliare troppo e male la vegetazione ripariale può addirittura aumentare il rischio a valle. Mentre il terreno viene pavimentato o si desertifica, non trattenendo e non rallentando più l'acqua.
Oggi dobbiamo mitigare l'aumento di rischio idrogeologico, compensando gli effetti del consumo di suolo e del cambiamento climatico con la prevenzione tramite soluzioni basate sulla natura, ovvero realizzando interventi innovativi di ingegneria naturalistica con investimenti 10 volte inferiori a quelli per la ricostruzione in emergenza post eventi catastrofici e dando opportunità di lavoro a tecnici, professionisti e giovani disoccupati.
L'ingegneria naturalistica (le soluzioni basate sulla natura) si è sviluppata in Italia da oltre un trentennio e ha le sue radici nelle sistemazioni idraulico-forestali (nate a Vallombrosa ben oltre un secolo fa), patrimonio culturale, tecnico e scientifico italiano.
Con tali tecniche consolidate si attuava la difesa del suolo dei bacini collinari e montani, prioritaria per l'economia del Paese. E oggi anche i massimi esperti di frane e di desertificazione riconoscono il ruolo fondamentale di tali soluzioni. La strada è quella di rinaturalizzare il territorio quanto prima (secondo la Restoration law e compensando l’abbandono e la mancanza di manutenzione delle aree interne) e pianificare interventi strutturali e non strutturali (anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine (recuperando risorse economiche da altri settori non così prioritari rispetto al disastro “idrogeocementizio”ovvero “idrogeo-illogico”).
di Federico Preti, docente di Idraulica presso l’Università di Firenze e presidente nazionale dell’Associazione italiana ingegneria naturalistica