Scanto d‘u Strittu. Mitologia del leggendario passaggio tra i due mari
2 SCANTO D‘U STRITTU
MITOLOGIA DEL LEGGENDARIO PASSAGGIO TRA I DUE MARI
Benvenuti col fiato sospeso davanti alla magia d’U Strittu al centro del Mare Nostrum, nel braccio di mare più mitizzato che per millenni è stata la più temuta gola per il passaggio tra i due mari - Ionio e Tirreno - che richiedeva fortuna e buone capacità marinare ma anche grandi dosi di temerarietà. Per 33 affascinanti chilometri tra le pareti montuose dei Peloritani sulla riva messinese e quelle del massiccio dell’Aspromonte sulla riva reggina, fa da check point di incontro e scontro tra caotiche acque marine. Con la sua curiosa forma a imbuto dovuta alla larghezza che varia dai 16 km tra Punta Pellaro in Calabria e Capo D'Ali in Sicilia, ai 3,1 km alla sua estremità settentrionale tra Torre Cavallo in Calabria e Capo Peloro in Sicilia, e con i suoi fondali a profondità altrettanto variabili che passano dai 300 ai 1.200 metri sul versante tirrenico dove degradano dolcemente fino a Capo Milazzo, e sul versante ionico dove degradano molto più velocemente verso gli abissi nei pressi di Capo Taormina.
Lo squarcio è di natura sismica, aperto nella notte dei tempi da spinte e fratture tettoniche di tre “placche” convergenti in quel tratto del Mediterraneo, i cui margini da sempre sono sottoposti a stress sismici e che, in 125mila anni, come calcolano geologici e sismologi, hanno allontanato la Sicilia dal continente europeo plasmando uno stupefacente canyon sottomarino che il CNR definisce “crocevia di faglie attive in una delle zone più sismicamente attive di tutta l'area mediterranea”.
È un luogo magico e unico al mondo, uno spazio di suggestioni rare e, tra leggende e miti nati da eventi naturali ci sono anche quelli creati dai profili di sismicità con tragedie dovute al complesso sistema di faglie attive con i loro rischiosi regimi tettonici “estensionali”, “trascorrenti” e “compressivi”. Le spedizioni geofisiche con i più grandi esperti e ricercatori, come quella del 2012 organizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia INGV - con Carlo Doglioni, Marco Ligi, Davide Scrocca, Sabina Bigi, Giovanni Bortoluzzi, Eugenio Carminati, Marco Cuffaro, Filippo D’Oriano, Vittoria Forleo, Filippo Muccini e Federica Riguzzi -, le valutazioni sistematiche di vari gruppi di ricerca internazionali, le verifiche della nave oceanografica Urania organizzata dall’Università La Sapienza di Roma dove Alberto Prestininzi che insegna Ingegneria della Terra oggi è il coordinatore del Comitato tecnico scientifico che sta valutando la sicurezza del Ponte -, gli studi dell’Istituto di Scienze Marine, dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del CNR e altri, hanno permesso di acquisire dati molto chiari.
Le “ecografie” dei primi 3-4 km di crosta terrestre, e i rilievi batimetrici molto accurati e di precisione, hanno identificato faglie e strutture tettoniche fino a ieri sconosciute o non valutate. Il rischio, lo ammettono tutti, è serio e sottovalutarlo sarebbe folle e le valutazioni scientifiche accuratissime e inoppugnabili sono uno dei motivi di contestazione dell’infrastruttura del Ponte. L’INGV, con il suo presidente Carlo Doglioni, ha peraltro chiarito pochi mesi fa che l’istituto non ha ricevuto dalla Spa “Stretto di Messina” incarichi relativi a indagini su faglie attive nella zona, e che l’unico parere sulla sicurezza sismica dell’infrastruttura risale a circa vent’anni fa, con una documentazione non aggiornata e insufficiente. E la comunità scientifica, più volte, ha messo in guardia il team multidisciplinare che progetta il Ponte spiegando che la soglia di resistenza alle accelerazioni sismiche a 0,58 Gal - il valore dell' accelerazione con 1 Gal pari a 0,01 m/s2 - è un valore molto sottostimato se pensiamo che il terremoto de L’Aquila ha registrato un’accelerazione sismica di 0,66 Gal e il sisma di Amatrice di 0,95 Gal, e la magnitudo del sisma del 1908 nello Stretto è stata di 7,1 e uno scossa simile supererebbe di 1 Gal la “faglia di Cannitello” dove è previsto il pilone sul lato calabrese.
Ciò richiede quei nuovi “approfondimenti” scientifici, come propone l’INGV al “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile”, al quale spetta il via libera definitivo per l’inizio dei cantieri e alla “Commissione grandi rischi” della Protezione Civile. Ne parleremo nelle prossime puntate ma oggi apriamo il libro delle mitologie.
L’ODISSEA NELLO STRETTO
Oggi lo Stretto s’attraversa tranquillamente in circa 20 minuti sia in traghetto che in nave ferroviaria o in aliscafo da Rada San Francesco a Messina e Villa San Giovanni a Reggio, e da una sponda all’altra per altre tratte in circa 45 minuti. Il transito medio annuo sulle rotte principali fa passare oltre 10 milioni di passeggeri con 1.800.000 autovetture e 400.000 mezzi pesanti. E si aggiungono 1.5 milioni di passeggeri con 800.000 mezzi pesanti e autovetture sulla via di mare Tremestieri-Villa San Giovanni-Reggio Calabria. Complessivamente, siamo a circa 100.000 corse all’anno con una media giornaliera di partenze ogni 5 minuti dai vari porti, con circa 20.000 passeggeri al giorno un quarto dei quali sono pendolari, con il raddoppio dei flussi nei mesi estivi.
Nell’antichità, invece, l’attraversamento era un’Odissea. Non a caso la più antica descrizione scritta della navigazione nello Stretto è nei versi di Omero nel libro XII nell’Odissea (traduzione di Maria Grazia Ciani) che narrano l’epico passaggio di Ulisse nell’allora spaventosa e in alcuni periodi dell’anno quasi impenetrabile gola marina che il poeta greco antico descriveva larga appena “un tiro di freccia”: “Si ergono da una parte altissime rocce, sulle quali le onde del mare oscuro cozzano con fragore. Rupi Erranti le chiamano gli dei beati. Di là neppure gli uccelli passano, neppure le colombe trepide che portano ambrosia al padre Zeus...Di là nessuna nave riuscì a passare quando vi giunse, la furia del mare e del fuoco funesto trascina legni di navi e corpi di uomini. Una sola passò, delle navi che solcano il mare, Argo…”.
Lo Stretto di Omera era sorvegliato dalle temibili “rupi erranti”. Cosa erano? I due suggestivi Faraglioni di Lipari, quei grossi massi di Pietra Lunga e di Pietra Menalda che il mito racconta siano stati lanciati nel mare dall’ira del gigante Polifemo che viveva nella sua gigantesca grotta nel Paese dei Ciclopi alle pendici dell'Etna, accecato da Ulisse e dai suoi compagni con un palo incandescente.
Basta vederli per subirne il fascino. Sembrano conficcati apposta nel Tirreno a guardia dello Stretto e del vulcano dell’isola di Vulcano. Uno è alto 80 metri e l’altro 20 metri, e sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO, imperdibile spettacolo da sogno circondati come sono da volteggi di gabbiani e dall’aroma del fiordaliso, il fiore tipico di questo incantevole scenario.
Avvistati dal largo dagli antichi naviganti Sicani, Cretesi, Elimi, Fenici, Punici, Ioni, Etruschi, Romani, e poi Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Francesi e Spagnoli, annunciavano la temuta traversata dello Stretto con le sue caratteristiche uniche nei mari del mondo. Era un passaggio non certo facile con imbarcazioni fragilissime quando i venti soffiavano potenti e tesi e rafforzati dalla geo-morfologia dello Stretto a forma di “imbuto” rivolto a nord che lo trasforma in una originalissima e naturale “galleria del vento“ in mezzo al mare. E poi le turbinose e irregolari correnti marine con i loro moti vorticosi e ondosi in grado, nelle peggiori tempeste, di fracassare contro le rocce di Punta Peloro o Punta Torre Cavallo navigli con marinai, pescatori e soldati inghiottiti dalle acque.
Ma, soprattutto, lo Stretto è stato un passaggio nella crudeltà di due creature terrorizzanti che nella fantasia degli antichi lo dominavano: Scilla e Cariddi. La prima dà oggi il nome alla cittadina turistica calabrese sul promontorio all’ingresso settentrionale dello stretto, la seconda alla punta messinese di Capo Peloro.
La leggenda tramandava la presenza di Scilla sulla sponda calabra. Un tempo era la bellissima ninfa che si bagnava nelle acque che la maga Circe trasformò nell’entità mostruosa così descritta da Omero: “I piedi son dodici, tutti invisibili: e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa da fare spavento; in bocca su tre file i denti, fitti e serrati, pieni di nera morte”. Fu Ovidio, nelle sue Metamorfosi, a raccontare la sua metamorfosi con una sceneggiatura epica da soap opera. Accadde, infatti, che di lei si innamorò, non ricambiato, il figlio di Poseidone Glauco. Per farla innamorare, si recò dalla maga Circe chiedendole una pozione che la legasse per sempre a sé. Ma di Glauco si innamorò a prima vista la Circe che, a sua volta, subì il gran rifiuto di Glauco e per vendicarsi trasformò Scilla nella mostruosità che doveva sfogare la sua rabbia infinita contro chiunque attraversasse lo Stretto.
La sponda siciliana era invece sottoposta agli umori della terribile Cariddi che un tempo era una stupenda tranquilla naiade ancorché alquanto vorace. Zeus, infatti, la accusò dei furti di alcuni buoi subìti da suo figlio Eracle e da Gerione, e la punì trasformandola in una creatura orrenda capace di risucchiare e rigettare il mare con violenza risucchiando navi e equipaggi e di creare mortali vortici. Una coppia devastante. Se Scilla attaccava e distruggeva con le sue sei terribili bocche ognuna delle quali con tre file di denti aguzzi, Cariddi faceva scomparire per sempre nelle acque le sue vittime provocando potentissimi vortici.
E tremila anni fa, la fervida fantasia narrativa di Omero, nel libro XII dell’Odissea immaginò Ulisse e i suoi marinai salpati dall’isola di Circe e in navigazione verso l’isola dei Feaci, oggi la Corfù nello Ionio a ridosso della Grecia, da dove avrebbero finalmente raggiunto la loro Itaca.
Giunti di fronte alle due alte rupi dominate da Scilla e Cariddi, Ulisse era certo di riuscire a superare indenne lo Stretto. La maga Circe lo aveva messo in guardia dal più pericoloso viaggio da affrontare, molto più degli scontri con i mangiatori di loto, i Lestrigoni, il ciclope Polifemo, con queste parole: “Da una parte ci sono rupi aggettanti, contro cui si frange con grande fragore l’onda di Anfitrite dagli occhi scuri...Di lì non passano neppure gli uccelli, né le trepidanti colombe, quelle che a Zeus padre portano ambrosia...Di lì mai sfuggì nave di uomini che vi fosse giunta…Una sola nave di lungo corso di lì è riuscita a passare, Argo da tutti celebrata…Lì dentro abita Scilla dal latrato inquietante…Per metà sta sprofondata nell’antro profondo, ma dal terribile baratro tiene fuori le teste…Di lì con la nave nessuno si vanta di esser fuggito indenne da morte...L’altro scoglio vedrai, Ulisse, molto basso, un tiro di freccia la distanza percorre. Su di esso è un gran fico selvatico, fiorente di foglie. Sotto, Cariddi divina risucchia l’acqua scura. Tre volte al giorno emette, tre volte risucchia, terribile. Che tu non sia lì quando inghiotte: nemmeno l’Enosictono ti salverebbe da morte. Accostati molto allo scoglio di Scilla e presto porta fuori la nave. Molto meglio sei compagni piangere sulla nave che non piangerli tutti”.
L’autore dell'Iliade e dell'Odissea fa quindi iniziare così l’attraversamento di Ulisse e dei suoi coraggiosi nel libro XII: “Solcavamo gemendo l’angusto passaggio: da una parte era Scilla, dall’altra Cariddi divina, che l’acqua salata inghiottiva del mare con suono tremendo, che poi rigettava di fuori e tutta in gorgoglio travolta bolliva come una caldaia sul fuoco che arde: la schiuma in alto lanciata giù ricadeva battendo le cime d’entrambi gli scogli. E quando di nuovo l’acqua salata inghiottiva del mare pareva sconvolgersi dentro…lo sguardo era fisso a Cariddi, fisso alla morte. Fu allora che Scilla ghermì dalla nave concava sei dei compagni, i più forti”.
Ulisse riuscì ad evitare il naufragio, ma perse sei compagni, e continuò il suo viaggio.
Anche nel destino di Enea, il profugo troiano che riuscì a fuggire dalla distruzione di Troia dei nemici Achei portando con sé il padre Anchise, il figlio Ascanio e i suoi fedeli guerrieri e prendendo il mare a bordo di 10 navi, c’era il passaggio dello Stretto. Il rischio lo indicò l’indovino Eleno, fratello di Cassandra. Nell’Eneide di Virgilio, al III Canto, troviamo Cariddi che “…risucchia / vasti flutti nel fondo gorgo del baratro, e di nuovo / li scaglia alternamente nell’aria e flagella gli astri con l’onda”, e troviamo Scilla che “…in alto parvenza umana e fanciulla dal bel petto / fino all’inguine; in basso mostro dal corpo smisurato / unendo code di delfini e ventre di lupi”. Eleno, e poi suo padre Anchise, suggerirono però a Enea di evitare i due scogli, circumnavigando l’isola di Trinacria, la Sicilia.
DISLIVELLI, CORRENTI, FONDALE A CANYON
Lo Stretto, basta guardarlo dalle foto satellitari, separa e unisce le acque di due mari - lo Ionio e il Tirreno - che hanno caratteristiche fisico-chimiche e idro-dinamiche molto diverse per salinità, temperatura, densità, correnti.
Le acque del Tirreno mediamente sono più fredde e meno salate delle acque dello Ionio, e questo fa sì che nel periodo estivo si misurino differenze di temperatura nello Stretto variabili tra i 4 e i 10°C. Sono straordinariamente diverse anche le geomorfologie dei fondali, con i flussi e le correnti marine sotterrane e superficiali innescati anche dal dislivello che è pari a circa 28 centimetri tra le acque ioniche e quelle tirreniche, e che man mano diminuisce fino ad annullarsi nel punto di incontro tra i due mari.
Studi e ricerche dal CNR e dall’ISPRA alla Fondazione Horcynus Orca che raggruppa enti di ricerca e imprese locali del terzo settore valorizzando l’area dello Stretto con percorsi di cooperazione culturale, scientifica e di finanza etica, analizzano le specificità delle correnti marine che producono fenomeni spettacolari. Come le continue altalene tra alte e basse maree dovute al dislivello tra i due mari che fa sì che quando le acque del Tirreno a nord di Capo Peloro sono in fase di alta marea, quelle ioniche a sud di Capo Ali sono in fase di bassa marea, e nel successivo cambio di marea, le parti si invertono. Le acque di un mare si riversano sempre nell’altro sia nelle fasi di "corrente scendente" da nord a sud quando le acque tirreniche più leggere e a minore densità scorrono su quelle ioniche che sono più pesanti e a maggiore densità finché l'intera parte centrale dello Stretto non si riempie. Avviene l'opposto con la "corrente montante" da sud a nord, quando le acque ioniche più pesanti penetrano nello Stretto sormontando le acque tirreniche più leggere e riversandosi nel Tirreno oltre la sella Ganzirri-Punta Pezzo dove c’è la minore profondità - tra 80 e 120 metri - e la minore ampiezza a 3.150 metri.
La mappa dello Stretto con le correnti disegnata da Jean Houel nel 1785
La pendenza tra le superfici marine è in media di 1,7 cm per chilometro, con un massimo tra Ganzirri in Sicilia e Punta Pezzo in Calabria. E l'instabilità si disperde nelle spettacolari manifestazioni di turbolenza sia orizzontali - con fenomeni di tagli e scale di mare - sia verticali - con garofali, bastardi e macchie d'olio - che portano in superficie anche le specie ittiche abissali e di profondità batipelagiche come il raro pesce ascia d’argento, formando gorghi dovuti all'incontro tra correnti opposte e favoriti dall'irregolarità del fondo. La differenza di marea si colma in media ogni 6 ore, e questo originalissimo dislivello rimescola continuamente le acque. Per avere un’idea della velocità delle correnti, in particolari situazioni meteo-marine possono raggiungere i 50 cm/s con valori massimi di oltre 200 nel flusso verso nord con la corrente montante, sia in quello verso sud con la corrente scendente. Lo spostamento di enormi volumi d'acqua in gioco - oltre 750 000 m³ al secondo per una corrente di 200 cm/s - indicano la genesi delle suggestioni ai tempi omerici dove i “mostri” erano solo fenomeni naturali.
La prima carta marittima dello Stretto del 1838 realizzata dal Regno di Napoli con lo scandaglio del braccio di mare. Si notano le sporgenze della costa, seni, punte, scogli sommersi, baie, addensamenti sabbiosi, bassi fondali, marosi, maree scendenti e montanti orari per i cambi di flusso
L'incontro-scontro tra le due masse d'acqua di mari così diversi che gli studi scientifici calcolano con una velocità di spostamento fino a un massimo di 20 km/h in condizioni particolari, i valori più elevati al mondo. Queste notevoli velocità e gli enormi volumi d'acqua spostati in moto perenne per circa 750 000 m³ al secondo con correnti da 200 cm/s, spiegano perché un tempo lo immaginavano “sorvegliato” da mostruosità che ingoiavano imbarcazioni e equipaggi. I fenomeni di turbolenza sia orizzontali che verticali, onde di marea montante intensificate dalle spinte dei forti venti mediterranei di Ostro o Austro - dal latino Auster -, il vento australe che spira da Sud, e di Scirocco caldo e umido da Sud-Est, che aiutano a rimescolare le masse d'acqua di un mare nell’altro. E non mancano i tipici gorghi, quei fenomeni a sviluppo verticale provocati dall'incontro tra correnti opposte e molto favoriti sia dall'irregolarità dei fondali che da flussi sempre molto attivi dal fondo alla superficie per la particolare morfologia e le diverse profondità dei fondali dello Stretto.
L'INCREDIBILE GRAN CANYON NEI FONDALI DELLO STRETTO
Gran Canyon del Colorado
Lo Stretto è talmente fantastico e di eccezionale interesse scientifico che se venisse prosciugato farebbe emergere la sorpresa di un lunghissimo gran canyon sovrastato da alte pareti montuose paragonabile, con le dovute differenze, al Gran Canyon del Colorado. Il profilo batimetrico rimanda a quello di una montagna “asimmetrica”, un rilievo rovesciato, con gli opposti versanti a pendenze differenti, i punti meno profondi a Ganzirri sulla riva siciliana e a Punta Pezzo sull’opposta sponda calabrese.
Alla “sella marina” lungo l’imboccatura nord dello Stretto il fondale tocca appena i 64 metri di profondità, e da lì i due versanti iniziano a degradare verso il Tirreno e verso lo Ionio. Il tratto centrale scende sotto i 500 metri e poi scende ancora fino a 1.200 metri a sud di Punta Pellaro per poi continuare la discesa sotto i 2000 metri a largo di Capo Taormina da dove il fondale sprofonda rapidamente negli abissi dello Ionio dalla scarpata ripidissima a pochi chilometri dalla linea di costa.
Questa profondissima gola sottomarina i geologi la chiamano “Valle di Messina”, ed è ricoperta di enormi banchi di sabbia trasportati e depositati dalle fortissime correnti di marea innescate tra le due imboccature dello Stretto. In direzione dello Ionio inizia a restringersi e ad aumentare la sua profondità diventando un ripido canyon, la spettacolare incisione circondata da pareti quasi verticali intervallate da “scalini” modellati in ere geologiche dall’attività tettonica.
L’immagine tridimensionale elaborata da Abyss Cleanup
L’associazione Abyss Cleanup ha appena esplorato i canyon dello Stretto a 600 metri di profondità con la “M/Y Conrad” di Sean Shepherd Italia allestita come barca da ricerca grazie al supporto finanziario di Film Commission Sicilia. Le riprese sui fondali profondi sono durate 5 giorni, una pausa nell’opera di “pulizia” degli abissi marini da rifiuti abbandonati e di sensibilizzazione ambientale che hanno iniziato proprio partendo dallo Stretto. Ha ripreso tutto il filmmaker palermitano Igor D’India, che ha prodotto il film documentario "Abyss Cleanup", con la consulenza scientifica di Martina Pierdomenico, ricercatrice dell'Istituto di geologia ambientale e geoingegneria Cnr-Igag e di Francesco Latino Chiocci dell'Università La Sapienza di Roma.
Sono stati spinti nell’impresa dal ritrovamento durante una ricerca CNR-La Sapienza di una enorme discarica sottomarina di rifiuti di varie tipologie nei canyon sottomarini dello Stretto. Con un ROV, il veicolo sottomarino con telecamere, a fine giugno 2023 hanno iniziato l’esplorazione sottomarina a 600 metri. La collaborazione con l'organizzazione ambientalista “Sea Shepherd”, ha permesso il supporto dell’imbarcazione “M/Y Conrad”, già impegnata nel recupero di attrezzi da pesca abbandonati in mare. "I fondali dei nostri mari e dei nostri fiumi si trasformano spesso in sconfinate discariche di rifiuti. Vogliamo rimuovere e mappare le discariche sottomarine da meno 20 metri a meno 600 metri e trovare soluzioni”, spiega Igor. Il film è stato selezionato in vari Festival, prodotto da POPCult con il sostegno di Regione Siciliana, Sicilia Film Commission, Piano Sviluppo e Coesione Sicilia, in collaborazione con Sea Shepherd Italia, CNR-LAS, Università degli Studi La Sapienza di Roma e CNR-IGAG, con certificazione green EcoMuvi.
Il team ROV di Mauro del Sette della Globe Exploration S.r.l. ha dovuto fare i salti mortali per riparare i continui guasti tecnici sulle strumentazioni e, tra discesa e risalita, a quella profondità, occorrono fino a tre ore, a dimostrazione, spiega, che le acque profonde dello Stretto “spesso sono più simili a un fiume impetuoso che a un tratto di mare, e sono fallite campagne di ricerca con navi ben più grosse della nostra, con ROV di stazza e potenza superiore. Queste poche miglia tra Sicilia e Calabria teatro di spostamenti di enormi masse d’acqua per via di maree e correnti”, spiega Igor. Non solo hanno intercettato accumuli di rifiuti nei canyon ma hanno scoperto anche una popolazione di Madrepora oculata, un corallo rarissimo mai documentato in questi mari.
L’ENERGIA DELLE CORRENTI DELLO STRETTO
L’energia delle correnti dello Stretto dal 1980 è oggetto di studi di fattibilità quando Enel pensò ad un programma di sfruttamento con turbine da collocare sul fondo dello stretto, poi abbandonato. Oggi, a sfruttare le correnti e il movimento delle maree, è la turbina della piattaforma Kobold ancorata tra Ganzirri e Torre Faro nel fondale marino messinese a circa 100 metri dalla costa, progettata e installata dalla società "Ponte di Archimede". È stato il primo prototipo operativo in mare al mondo per la produzione di energia dalle correnti marine. La turbina converte l’energia cinetica prodotta dalle correnti marine in energia meccanica rotativa, con un grado di efficienza comparabile alle turbine eoliche. È collegata alla rete elettrica nazionale dal marzo 2006 ed eroga 100 kW sfruttando correnti che raggiungono velocità superiori a 2,5-3 metri al secondo. L'energia totale estraibile dallo Stretto è pari a 538 GWh sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di Messina, e la produzione è di 125 GWh all’anno.
Arrivederci alla terza puntata, con il racconto della grande epopea dell’unico attraversamento a piedi dello Stretto su una infrastruttura realizzata…dai soliti ingegnosi Romani