La leggendaria storia della fantaopera e dei suoi Pontificatori. Da Cecilio Metello a Carlo Magno, dal generale La Marmora a zio Paperone, da Berlusconi a Salvini
1 L’ULTIMO MIRAGGIO
Ci sono giorni in cui sul mare dello Stretto tutto sembra magico, a volte meravigliosamente capovolto grazie a un singolare effetto di rifrazione della luce che, come un incantesimo, distorce gli oggetti colpiti sulla linea dell’orizzonte e ci riporta direttamente nell’epoca dei miti e delle leggende. La Calabria e la Sicilia hanno da sempre un loro fascino particolare. Dalle sponde di Messina o di Reggio, guardando verso l’altra sponda, un mago Merlino ti può sorprendere con l’incantesimo della Fata Morgana, la potentissima maga della mitologia celtica normanna che dà il nome a un caso unico di miraggio osservabile solo nello Stretto e in condizioni atmosferiche particolari quando, strati d'aria a diversa temperatura si sovrappongono formando una specie di lente naturale che distorce i raggi di luce intensificando l'effetto di rifrazione facendo apparire coste, isole e navi più vicini e più grandi o persino sospesi a mezz’aria sulle acque o capovolti. La strettezza dello Stretto, le particolari condizioni climatiche con l’elevata umidità e le frequenti inversioni termiche e le forti correnti marine creano un ambiente ideale alla formazione di strepitosi miraggi.
Franco Laratta
Se la magia dello Stretto ammalia, crea illusioni ottiche, deforma e ingrandisce gli oggetti sul mare creando orizzonti fantastici e surreali, un miraggio da sempre batte tutti gli altri: è quello della costruzione di un Ponte, di un lungo immaginario attraversamento sulle acque tra le due sponde. Una storia che stiamo per raccontare partendo dall’ultimo tentativo.
L’ULTIMO ANNUNCIO: “IL PONTE SI FARÀ”
La verità è che noi italiani siamo diventati primi nel mondo nella specialità non sportiva ma molto poco invidiabile dell’annuncio con enfasi di un’opera grandiosa, mirabolante, stellare, esagerata ma finora realisticamente irrealizzabile: il Ponte dei Ponti, l’infrastruttura per l’attraversamento camminando o pedalando o viaggiando in treno e in automobile o su camion dello Stretto tra Calabria e Sicilia. Non un manufatto qualsiasi ma il futuribile “Numero 1” di tutti gli attraversamenti mondiali, il top del complesso dei nostri 21.072 ponti e viadotti e 6.320 cavalcavia su oltre 840.000 km di reti stradali - di cui 8.006 km di autostrade e 27.259 km strade statali con 2.179 gallerie -, ai quali si aggiungono altri 18.847 ponti e viadotti lungo i 17.530 km di linee ferroviarie, più altri 1.529 ponti e viadotti su altri 1.130 km di “ferrovie isolate” ovvero concesse dallo Stato alle regioni e adibite a servizi ferroviari locali.
Nella tortuosa orografia del nostro Paese, che per due terzi è fatto di montagne e colline, i ponti sono inevitabili e importanti attraversamenti. Ne abbiamo di ogni lunghezza e dimensione come pochi altri paesi, realizzati fin dai tempi più antichi per superare piccoli e grandi corsi d’acqua, aprire nuovi percorsi collinari e montani per superare vallate con infrastrutture sempre più sicure e complesse. Un tempo erano di legno, poi utilizzarono il ferro, poi li realizzarono in muratura e cemento armato, in acciaio e con i nuovi materiali resistenti all'usura del tempo e ai carichi più pesanti. Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando oggi le modalità di progettazione e costruzione di un ponte, supportate da strumenti digitali con software e piattaforme digitali per modellistiche, monitoraggi e controlli, e le manutenzioni costanti migliorano la loro durabilità e la sicurezza. E l’Italia, da sempre è un Paese da eccellenza nell’innovazione.
Detto questo, tra i nostri ponti, c’è chi ha sempre immaginato un irrealizzabile attraversamento da “nuovo miracolo italiano” tra le sponde di Scilla e Cariddi. Gli annunci con il “si farà” si ripetono almeno dall’Unità d’Italia per poi sgonfiarsi immancabilmente per la presa d’atto dell’impossibilità di poter “mettere a terra” schizzi e disegni e poi rendering per le terribili fragilità sismiche della geologia dei fondali e delle sponde che devono reggere il più costoso manufatto italiano di fronte alle forze temibili della Natura, e per l’eccessivo esborso da far saltare le coronarie finanziarie dello Stato.
Eppure, dall’ultimo addio al Ponte che segnò la fine dei giochi nell’anno dell’austerity 2013, quando spesa e impresa furono cancellate dal governo Monti, sembrava che la stessa idea dell’attraversamento fosse finita in liquidazione tra perdite miliardarie, insieme alla società incaricata della sua progettazione e costruzione, la “Stretto di Messina Spa”. Invece no.
La più costosa opera pubblica in un’area localizzata finora finanziata per non essere realizzata, oggi può contare sull’insperato super-budget pubblico di partenza pari a ben 13,5 miliardi di euro, che supereranno i 15 con le opere accessorie. Come l’Idra, il serpente mitologico greco-romano dalle molte teste che rinascevano anche se mozzate, anche il progettone è rinato sulla scena politica. Del resto, nel tortuoso procedere del tempo politico, il Ponte era sempre stato archiviato, ma solo per un po’. Perché il mito dell’attraversamento dello Stretto tornava ciclicamente ad espandersi e ad allungarsi come la “Gomma del Ponte”, il chewuing gum italiano ispirato ad un altro celebre ma vero ponte: il Ponte di Brooklyn. E oggi è ripartita la gara nella gara per oscurare proprio il Brooklyn Bridge, completato nel 1883 su progetto dell'ingegnere tedesco John Augustus Roebling come il più grande ponte sospeso al mondo tutto in acciaio sull’East River per collegare l’isola di Manhattan e il quartiere newyorkese di Brooklyn.
Il brand “Ponte sullo Stretto”, insomma, riaccende sempre la fantasia. E la fantasia dilata come il chewuing gum la narrazione della sua fattibilità in un quattro e quattr’otto, fa immaginare l’opera faraonica persino come salvifica per le sorti del Sud che, all’insaputa dei più, questa volta dovrà farsi carico di gran parte del suo finanziamento, alla faccia della trasparenza e delle emergenze dimenticate.
Il Ponte immaginario, quindi, dopo un mezzo secolo di sprechi di risorse pubbliche per costanti fallimenti finanziari e progettuali, false partenze di progetti sopra o sotto il pelo dell’acqua, studi e progetti di campate infisse sui fondali sismici molto campate in aria, fantasiosi tunnel sottomarini insidiati da maremoti e terremoti, promesse di altissime velocità ferroviarie nell’attraversamento dello Stretto che stridono con le bassissime velocità di oggi nelle due regioni-sponda, potrebbe ricevere il nuovo via libera definitivo per l’epico passaggio sulle acque sia in auto che in treno e persino in bicicletta.
Le tabelle di marcia con cronoprogrammi continuamente rinviati, oggi segnano in rosso gli step che traguardano le prime demolizioni al 14 maggio del 2025, e al 17 agosto l’inaugurazione del primo cantiere operativo a Ganzirri, sulla punta estrema di Messina. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il 23 dicembre scorso ha chiuso la Conferenza dei Servizi per la sua costruzione, acquisendo e valutando oltre 100 pareri inviati da amministrazioni locali, da vari enti, da portatori di interesse, e il ministro Salvini ha firmato il decreto che adotta il provvedimento finale in attesa della pronuncia definitiva con “bollinatura” del CIPESS, il “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile” che, in convocazione d’urgenza, dovrà far ripartire la nuova corsa verso la progettazione esecutiva della maxi opera e le operazioni propedeutiche all'apertura dei cantieri.
Staremo a vedere. Intanto vediamo come sarà il nuovo Ponte.
IL PONTE “STRALLATO” CON IL RECORD DI 3.660 METRI, SARÀ IL PIÙ LUNGO DEL MONDO
L’ultimo rendering mette in bella mostra l’infrastruttura “strallata”, ovvero sostenuta da cavi portanti collegati a due torri. Sarà a campata unica, la più lunga al mondo per complessivi 3.660 metri con la campata sospesa sul mare lunga 3.300 metri tra Villa San Giovanni e Messina. È sorretta da due torri alte 399 metri formate da due piloni collegati da tre grandi travi, un pilone a Ganzilli in Sicilia e uno in Calabria a Cannitello, nel punto più stretto dello Stretto. L’altezza del canale navigabile centrale per il transito di grandi navi è di 65 metri. Sul Ponte sono previste 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza), e 2 binari ferroviari per una capacità di attraversamento di 6.000 veicoli l’ora e di 200 treni al giorno. La resistenza al sisma è fino a scosse di 7,1 magnitudo della scala Richter, l’impalcato è aerodinamico di “terza generazione” e stabile fino ad una velocità del vento di 270 km/h.
Il Ponte, assicura la Spa “Stretto di Messina”, è anche sorretto da circa 10.000 elaborati tecnici, 800 dei quali aggiornati come richiesto dalle commissioni valutative Via-Vas del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del Ministero della Cultura, per rispondere alle molteplici osservazioni tecniche, scientifiche e di opportunità presentate da gruppi parlamentari, esperti, enti locali, associazioni ambientaliste e di altra natura, trasformate in 239 richieste del MASE e in 11 del MIC formulate alla “Stretto di Messina Spa”, in quanto concessionaria “per la progettazione, la realizzazione e la gestione del collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e la Calabria”, e al Contraente Generale Eurolink che ha rimesso in pista i suoi team di progettazione multidisciplinare. Nuovi studi e approfondimenti su dati aggiornati, modellazioni e rilievi faunistici, batimetrici e subacquei provano a ridare garanzie di sostenibilità e solidità dell’opera nel groviglio di complessità e rischiosità estreme del passaggio dello Stretto.
L’ULTIMO PRONTO SOCCORSO FINANZIARIO A SPESE DEL SUD
Incredibilmente il Ponte è ridiventato la priorità nella spesa pubblica nazionale in questi tempi ancora di vacche magre e finanze risicate. La “sovranità” dell’opera numero uno del Paese potrà persino essere difesa dai poteri speciali da Golden Power e, come impegno strategico, il governo ha puntato sull’infrastruttura la stratosferica fiches da 13.5 miliardi di euro, destinata inevitabilmente a lievitare. Si tratta di una cifra stellare, mai piazzata sul tavolo di una manovra finanziaria per una sola opera pubblica localizzata, e non nazionale e nemmeno urgente. Risorse che, tenacemente, Matteo Salvini ha saputo finora abilmente accumulare dopo aver fatto resuscitare la società liquidata “Stretto di Messina”, che lanciò la prima e unica gara nel 2005, aggiudicata nel 2006 ma al costo di “appena” 3.8 miliardi di euro, quasi quattro volte meno del costo attuale, poi inghiottita nella stretta fiscale del governo Monti. Siamo dunque oggi alla stretta cruciale, con l’opera maxima già inserita tra i corridoi della Rete Te-T Europea.
COME SONO AUMENTATI I COSTI DEL PONTE SULLO STRETTO | |
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2005 | 3,8 MILIARDI DI EURO |
2009 | 6,4 MILIARDI DI EURO |
2011 | 8,4 MILIARDI DI EURO |
2012 | 8,5 MILIARDI DI EURO |
2023 | 11 MILIARDI E 630 MILIONI DI EURO |
2025 |
13,5 MILIARDI DI EURO |
Ma il Ponte, amarissima sorpresa per chi vive al Sud, utilizzerà in gran parte i fondi destinati dallo Stato alle mille incombenze del nostro meridione.
L’ultimo pronto soccorso finanziario alla costruzione è arrivato sottoforma di un maxi-emendamento aggiuntivo della Lega alla legge di bilancio, presentato dal capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, che autorizza una nuova ripartizione dei fondi destinati a strade e infrastrutture, prevedendo come nuovo beneficiario il Ponte sullo Stretto. All’opera sono arrivati altri 1,5 miliardi più ulteriori 500 milioni per le opere connesse come svincoli e altri collegamenti. Ma anche queste risorse sono state tagliate al “Fondo Sviluppo e Coesione”, cioè al budget europeo previsto per il Sud, e soprattutto per le due Regioni Calabria e Sicilia.
La manovra finanziaria dello scorso anno aveva già predisposto un assegnone da 11,6 miliardi di euro per il Ponte, fino al 2032. La legge di bilancio 2025 da un lato ha fatto diminuire la parte di spesa a carico dello Stato - non più i 9,3 miliardi dello scorso anno, ma 7 miliardi -, dall’altro ha aumentato di altri 3,9 miliardi di euro il prelievo forzoso dal “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, in gergo tecnico-politico FSC, saccheggiando i trasferimenti verso le due regioni affacciate sullo Stretto nella loro programmazione 2021-2027. La nuova norma recita: “Al fine di consentire l’approvazione da parte del Cipess, entro l’anno 2024, del progetto definitivo del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria…nelle more dell’individuazione di fonti di finanziamento atte a ridurre l’onere a carico del bilancio dello Stato, è autorizzata la spesa complessiva di 6.962 milioni di euro”. A questo scopo, continua “…è autorizzata la spesa di 6.132 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, periodo di programmazione 2021-2027…Si tratta di fondi FSC aggiuntivi ai 1.600 milioni già prelevati dallo stesso Fondo a Sicilia e Calabria per finanziare il Ponte”. Inoltre, “per la realizzazione delle opere connesse alla realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria, come individuate dal Cipess sulla base delle proposte trasmesse dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti all’esito della Conferenza di servizi, è autorizzata la spesa complessiva di 500 milioni di euro, in ragione di 90 milioni di euro per il 2027, 180 milioni di euro per il 2028, 160 milioni di euro per il 2029, 70 milioni di euro per il 2030”.
I carissimi costi, quindi, ricadranno anche sulle risicate finanze della Sicilia e della Calabria. Ma era un segreto di Pulcinella. Nel maggio 2024, infatti, dai rispettivi FSC , la Regione Calabria aveva già “bloccato” 300 milioni, e la Sicilia ben 1,3 miliardi di euro dei 6,8 miliardi tra gli applausi scroscianti per l’intesa con esborso raggiunta con il governo e celebrata nella cornice del Teatro Massimo di Palermo, presenti il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente della Regione Schifani. Le due Regioni stanno quindi rinunciando ad una grossa fetta di finanziamento pubblico per opere urgenti e per le tante emergenze da affrontare, affidando le loro risorse strategiche al solo iconico Ponte. E se oggi nessuno dei due governatori ricorda gli impegni presi con il governo nazionale per la copertura di oltre metà del costo del Ponte con i tagli dei loro fondi, poco male. La magia finanziaria è fatta. Accompagnata dalla seconda magia dell’evaporazione dall’orizzonte dello Stretto dei fondi previsti dai fantomatici “privati investitori”, quelli che al tempo di Berlusconi avrebbero dovuto compartecipare all’impresa facendosene carico per almeno il 40%. Pagano tutto, invece, i Pantalone delle due regioni e del governo.
Per gli sponsor dell’immaginifico Ponte sullo Stretto, le chiacchiere ormai starebbero a zero e tutto sarebbe pronto per il nuovo giro del mondo del più costoso, annunciato, affondato, contestato, rilanciato e scivoloso progetto italiano. Tanto più che, dopo la sentenza di assoluzione al processo Open Arms di Palermo, svanito il sogno della riconquista del Ministero degli Interni, il leader leghista dovrebbe seguire il consiglio della premier Meloni di “occuparsi” del Ponte, non di altro. E se mezza Italia sta pensando che quel “ora occupati del Ponte” sarebbe più o meno un “vai giocare con i Lego” o “vai a sbattere da solo” e il giocattolo rifinirà in pezzi anche questa volta, staremo a vedere.
Nel frattempo, riesumate la vecchia gara del 2005 e la vecchia Spa “Stretto di Messina”, il diktat degli sponsor politici è di aggiornare in fretta il vecchio progetto esecutivo, chiudere il fastidioso e costosissimo contenzioso avviato dal Consorzio Eurolink vincitore della commessa di Stato, cogliere l’attimo e l’ambizione e lanciarsi senza freni nella realizzazione dell’ottava o nona o decima “meraviglia del mondo”, il ponte-monumento da affiancare alle Piramidi o alla Grande Muraglia Cinese. Sapendo però che il passo dall’ebbrezza del gigantismo alla crudeltà dell’ennesima caduta dei birilli è assai breve.
LA METAMORFOSI DEL MAIN SPONSOR DELL’OPERA MAXIMA
Il Ponte, se è riemerso anche e soprattutto nei capitoli dell’ultima manovra finanziaria, è grazie al pressing del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, alla faccia anche di quelli che nel suo partito e nella sua coalizione contrastano la mega opera per mille buoni motivi. Ma la metamorfosi di Salvini è la più sorprendente.
Era l’irriducibile contestatore aggregato ai “No Ponte” nel 2016 e, da fiero oppositore in nome degli inviolabili interessi del Nord, spiegava i suoi No: "Perché mi dicono parecchi ingegneri che non sta in piedi…perché non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando sia in Sicilia che in Calabria i treni non ci sono e vanno a binario unico”. Ma da qualche anno ha salutato tutti i vecchi contestatori, e annuncia ai quattro venti che il Ponte invece si farà e: “sarà un miracolo dell’ingegneria italiana, daremo subito il via ai lavori dopo cinquant’anni di chiacchiere”, e addirittura sarà l'opera “più green del mondo”.
Nel sogno di una notte di inizio inverno, è riuscito a conquistare i fondi tutti pubblici necessari a blindare insieme al Ponte anche il governo Meloni, dopo aver messo a tacere gli scettici di ogni latitudine politica.
QUALCHE DOMANDA
Davanti al nuovo bivio, postiamo domandine semplici. La prima, è questa: ma il Sud messo così male sui fondamentali, non potrebbe puntare su altri e molto più utili target di investimenti pubblici infrastrutturali nei dintorni dello Stretto?
Non sarebbe più conveniente creare lavoro sanando sconquassi infrastrutturali in questa stupenda parte della nostra Italia che sembra rassegnata al sottosviluppo strutturale? Le famose “classi dirigenti” del nostro Sud non potrebbero alzare la voce per pretendere la riduzione di due Expo regionali permanenti in Calabria e in Sicilia che mettono in mostra inaccettabili ritardi dalla buona gestione dell’acqua con servizi e infrastrutture oggi indegni di un grande Paese all’imbarazzo di ferrovie e strade in condizioni ottocentesche, dalla rabbia per scuole o servizi sanitari al collasso all’orrore di un dissesto idrogeologico inchiodato allo "sfasciume pendulo sul mare" descritto un secolo fa da Giustino Fortunato? Ma, soprattutto, le due Regioni non dovrebbero porsi come assillo quotidiano e obiettivo prioritario la riduzione delle fragilità suicide di una edilizia pubblica e privata in gran parte figlia dell’abusivismo fai-da-te che non reggerebbe ai movimenti mostruosi dal sottosuolo? Quella quindicina di miliardi e passa, insomma, non potrebbero riscattare il Sud aprendo migliaia di cantieri per opere e interventi diffusi per prevenire o ridurre ogni pericolo con tanto lavoro e anche tanto business per i privati? Non sarebbe questo il miglior brand positioning per la politica? Perché si fatica a immaginare un brulicare di cantieri per manutenzioni e modernizzazioni, ed è così semplice invece farsi prendere la mano da sogni di grandezza, mire faraoniche con i benefici tutti da provare rispetto agli elevatissimi costi in campo? Insomma, non è più urgente e opportuna lanciarsi più che in un solo progetto faraonico, in micro-infrastrutture più utili che porterebbero sicuramente più benefici e persino più consenso?
MA OGGI COME SI ATTRAVERSA LO STRETTO?
L’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, due anni fa presentò all’allora Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, il chek-up della portualità nello Stretto e la programmazione del sistema dei servizi portuali collegata alla rete trasportistica nazionale. Indica, tra gli scali di Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria, il transito medio annuo di oltre 10 milioni di passeggeri, 1.800.000 autovetture e 400.000 mezzi pesanti. A questi, si aggiungono altri 1.500.000 passeggeri e altri 800.000 tra mezzi pesanti ed autovetture sulle tratte Tremestieri-Villa San Giovanni-Reggio Calabria. Per tutti i trasferimenti vengono effettuate circa 100.000 corse con traghetti, navi ferroviarie e mezzi veloci-aliscafi per una media giornaliera di una partenza di una nave ogni 5 minuti tra i vari porti. Al netto del traffico merci, in media sullo Stretto ogni giorno transitano quindi non meno di 20.000 passeggeri, e di questi circa un quarto sono pendolari tra le provincie di Messina e Reggio Calabria. E nei periodi estivi, i flussi raddoppiano.
Con gli investimenti del Ministero delle Infrastrutture è stato avviata la riqualificazione delle infrastrutture di accoglienza per i passeggeri nei porti di Villa San Giovanni e di Messina, e in particolare per i pendolari, con infrastrutture integrate e sicure sulla base del concetto di interoperabilità tra ferrovia e mezzi navali, sia in termini infrastrutturali che dei servizi di trasporto. Per Villa San Giovanni sono stati realizzati nuovi scivoli per traghetti passando da uno a due ormeggi in contemporanea per due navi traghetto e a quattro ormeggi per i mezzi veloci, con possibilità di aumentare il numero delle corse e ridurre i tempi di attesa. Nei nuovi banchinamenti è prevista la realizzazione di una nuova stazione marittima in prossimità degli attracchi direttamente collegata con la stazione ferroviaria, con passerelle coperte fino agli imbarchi e su un piano sfalsato rispetto al piano stradale. Si prevede il completamento delle opere entro il 2025.
A Messina, invece, è programmata la riqualificazione degli spazi portuali per spostare tutti gli ormeggi dei mezzi veloci a ridosso della stazione FS in un’unica stazione marittima passeggeri integrata con le ferrovie, realizzando l’interoperabilità ferro-nave, con percorsi pedonali protetti Stazione marittima-banchine. Per i mezzi veloci soprattutto per il traffico dei pendolari dello Stretto e per le Isole Eolie, saranno realizzati accanto alla banchina Rizzo due pennelli di accosto, adeguando il lay-out dell’”invasatura” delle ferrovie RFI utilizzata dalle navi traghetto. Verranno potenziati gli ormeggi dei traghetti raddoppiando gli scivoli e sistemando la viabilità di accesso in porto. Anche in questo caso, la sinergia con RFI renderà gli interventi perfettamente integrati, migliorando l’accessibilità per i passeggeri a piedi o in auto o con servizi pubblici. L’ultimazione dei lavori è fissata entro il primo trimestre del 2025.
Con i finanziamenti del “Fondo complementare per l’efficientamento e la transizione energetica nell’area dello Stretto”, sono previsti interventi di elettrificazione delle banchine di tutti i porti del sistema portuale e per la realizzazione di un deposito costiero di GNL a Messina, per una spesa complessiva di circa 110 milioni di euro, per quasi metà coperta da finanziamenti pubblici. La conclusione dei lavori è prevista entro il primo trimestre del 2026.
Diversi altri interventi miglioreranno l’accoglienza dei porti e i loro collegamenti con il sistema retro-portuale per sostenere lo sviluppo della portualità e della logistica per il rilancio dell’economia dei territori.
MA È TUTTO IN REGOLA? TRE SCOGLI FERMANO IL PONTE
SCOGLIO 1: PER L’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE SENZA GARA È UN REGALO AI PRIVATI, SERVE LA NUOVA GARA PER NON VIOLARE NORME UE
“Il decreto legge N. 35 sul Ponte sullo Stretto di Messina, essendo entrato in vigore facendo proprio il progetto dei privati del 2011, ha determinato una posizione di vantaggio del Contraente generale privato. È stato riconosciuto come valido nel 2023 il progetto del 2011, evitando la gara pubblica, senza aver risolto il contenzioso precedente”. Parole e monito del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Giuseppe Busia.
Il 18 aprile del 2023, nell’Audizione alla Camera dei Deputati sul Decreto Ponte sullo Stretto, aveva già messo in guardia Governo e Parlamento dal concedere “vantaggi giuridici ed economici” al Contraente generale, senza aver prima definito e risolto il contenzioso in corso per 700 milioni di euro contro lo Stato come risarcimento per la liquidazione dell’infrastruttura nel 2013, chiedendo almeno l’introduzione di specifici obblighi in capo al Contraente generale trasferendogli eventuali rischi connessi all’opera per evitare che restino in capo alla parte pubblica. Con estrema chiarezza, ha spiegato che “con il Decreto Ponte è stato assegnato al privato un notevole potere contrattuale che va bilanciato modificando il Decreto in sede di conversione in legge. In caso contrario, basterà una semplice relazione del privato per determinare le modifiche e gli adeguamenti necessari al ponte. È il privato che decide gli adeguamenti necessari e quindi i costi dell’opera, e non lo Stato. Sembrerebbe pertanto necessario che questa relazione sia predisposta dal Ministero, non dallo stesso soggetto contraente…Inoltre il Decreto fa accettare al pubblico il progetto dei privati, senza chiedergli di rinunciare al contenzioso in corso con lo Stato, e non stabilisce obblighi in capo al Contraente generale sui tempi di realizzazione dell’opera, i costi, l’assunzione di tutti i rischi”.
Busia ha anche richiamato l’attenzione sui vincoli europei, spiegando: “Se si vuole evitare la nuova gara occorre rispettare quanto previsto dall’articolo 72 della direttiva europea, che pone un limite invalicabile, e cioè che l’aumento dei costi non debba superare il 50%...Suggerisco al Parlamento di modificare questa parte, per non favorire eccessivamente un privato, che è già stato ampiamente posto in vantaggio dalla decisione di non fare la gara, accettando il vecchio progetto del 2011 di loro proprietà…Attenzione, la decisione di non fare la gara sta in piedi rispettando i vincoli europei solo se non si aumentano i costi oltre il 50% di quanto originariamente previsto. Altrimenti le decisioni del contraente privato potranno comportare oneri nuovi e sconosciuti per lo Stato. È lo stesso soggetto che detiene il progetto, che dice allo Stato cosa modificare, stabilendo quindi i costi. Suggerisco al Parlamento di modificare questa parte…Chiediamo, inoltre, di inserire nel decreto obblighi precisi in capo al Contraente generale, sui tempi di realizzazione, sui costi, sull’assunzione dei rischi, e anche di controllare gli eventuali subappalti, così da evitare nocivi subappalti a cascata. Chiediamo che l’intero iter dell’opera sia trasparente e controllabile”.
Per l’ANAC, quindi, sarebbe stato indispensabile procedere con una nuova gara, e con “un progetto esecutivo unitariamente considerato, altrimenti si rischierebbe di approvare singole fasi del progetto senza essere certi che queste fasi vadano a collegarsi l’una con l’altra”. In quel caso, aggiunse ancora Busia “la parte pubblica finirebbe per prendere su di sé rischi che non le competono ed i costi potrebbero aumentare oltre il limite fissato dalla normativa europea”.
C’è poi da aggiungere anche l'incertezza sui costi: se il Documento di Economia e Finanza inserisce la cifra di 14,6 miliardi come spesa complessiva da oggi al 2032 - 13,5 miliardi per l’infrastruttura-ponte più 1,1 miliardi per collegamenti ferroviari coast to coast più quelli stradali -, e se l'Ad della “Stretto di Messina Spa” Pietro Ciucci nega violazioni di norme Ue e annuncia i cantieri nel 2025, la cifra esatta è ancora attesa con la relazione sul costo finale dell'opera.
Ma in ogni caso, siano 13,5 o 14,7 i miliardi da spendere, la cifra supera del 50% il vincolo Ue per il capitolato d’appalto originario e renderebbe la spesa palesemente in violazione delle norme europee. L’Italia vuole rischiare l’ennesima procedura di infrazione europea? E pende anche il ricorso annunciato dal Wwf ha in sede europea per “l’assegnazione dell’opera senza gara di appalto avvenuta grazie ad una sottostima dei costi, la violazione delle direttive Habitat e Uccelli e quindi delle normative su Rete Natura 2000, la mancata applicazione della procedura di Valutazione Ambientale Strategica”.
SCOGLIO 2: PER LA CORTE DEI CONTI IL PONTE SVALUTA I CONTI DELL’ANAS PER 69,172 MILIONI DI EURO, E SERVE LA NUOVA GARA
Lo ha messo nero su bianco anche la Corte dei Conti nella delibera 143 del 4 dicembre scorso nella Relazione sulle attività di controllo della gestione finanziaria di Anas 2023. Scrive: “Il valore della partecipazione nella società “Stretto di Messina”, al 31 dicembre 2023, presenta una svalutazione per 69,172 milioni di euro”. L’operazione Ponte sullo Stretto ha aperto quindi finora una prima voragine di perdite per la “non corretta valorizzazione” della sua partecipazione alla Spa “Stretto di Messina”.
La relazione non lancia solo un alert finanziario, ma i magistrati contabili chiedono anche la conformità alle regole europee che oggi non prevedono rinnovi automatici di contratti nel caso superino del 50% il costo della prima gara e indica come indispensabile una nuova gara. Ma Anas, rileva la Corte dei Conti, nel suo bilancio non cita questo suo colossale rischio d’impresa certificando il business del Ponte da oggi fino all’anno 2052.
La Corte dei Conti rileva dunque danni per l’Anas derivanti dal Decreto che nel 2023 ha rimesso in piedi la vecchia società facendo rivivere i vecchi contratti con il Consorzio Eurolink, considerati “caducati” dal governo Monti. Sul contenzioso avviato dieci anni fa contro lo Stato per un risarcimento da 700 milioni di euro, i giudici in primo grado hanno dato peraltro ragione allo Stato. E i magistrati contabili, argomentano le opposizioni in Parlamento, avevano già allertato Anas e Stretto di Messina Spa ricordando nella Relazione che: “La non corretta valorizzazione era stata oggetto di specifico intervento del magistrato delegato al controllo il quale faceva rilevare come il progetto di bilancio 2022 ometteva l'analisi dei costi funzionali al riavvio dell'opera di collegamento stabile tra Sicilia e Calabria esplicitamente richiesta dal decreto legge del marzo 2023. Infatti, nonostante il medesimo decreto avesse introdotto il principio di rilevanza dei soli costi funzionali al riavvio della citata opera, il cda di Anas ha approvato il progetto di bilancio 2022 che replicava la valorizzazione di Stretto di Messina Spa seguita negli anni precedenti con una quantificazione indistinta dei costi sostenuti dalla Stretto di Messina”. Da qui il danno da oltre 69 milioni per l’Anas.
SCOGLIO 3: I RICORSI AL TAR DEI COMUNI DI VILLA SAN GIOVANNI E DELLA CITTÀ METROPOLITANA DI REGGIO CALABRIA
Nessuna valutazione strategica, non sono state previste né l’opzione zero né le soluzioni alternative, è palese l’insussistenza del presupposto dell’emergenza o dell’urgenza che giustifica i decreti del governo, ci sono violazioni di direttive europee e di leggi nazionali, e anche dell’articolo 9 della Costituzione che “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Con 49 pagine e 15 motivi di ricorso, il Comune di Villa San Giovanni e la Città Metropolitana di Reggio Calabria hanno impugnato di fronte al TAR il parere positivo con il quale la commissione VIA-VAS, l'organo indipendente che esamina tutti i progetti e le opere infrastrutturali, verificandone la valutazione strategica e l'impatto ambientale ha dato via libera con prescrizioni al progetto del Ponte sullo Stretto e all’annuncio dell’apertura dei primi cantieri nel 2025. Il ricorso potrebbe produrre una sospensiva.
Lo Stretto, spiegano i ricorrenti, è un patrimonio unico celebrato nella letteratura mondiale come “visione incomparabile” e “non può considerarsi esclusivamente un progetto, costituendo un’immane infrastruttura, che assume una veste programmatoria, derogando ai piani urbanistici vigenti dei Comuni nel cui territorio insiste e, quindi, comportando la modifica della pianificazione urbanistica di tutto il territorio interessato”. Sarebbe stata necessaria una “valutazione strategica”, vagliando anche l’ipotesi della mancata costruzione dell’opera. Invece ad oggi c’è stata solo una “valutazione di impatto ambientale…condotta sulla base di documentazione anacronistica ed inattuale”. Uno studio più approfondito “si rivela necessario allo stato attuale” sulle ricadute sulla navigazione e sulle attività economiche e commerciali collegate, a partire dal Porto di Gioia Tauro poiché “… l’altezza di 65 metri del ponte impedirebbe il passaggio delle navi da crociera (con compromissione della navigazione turistica) e delle navi portacontainer, con incalcolabili conseguenze sulla navigazione commerciale del Mediterraneo”. Ma soprattutto mancano i presupposti per la decretazione d’urgenza, utilizzata per ricapitalizzare la società Stretto di Messina, in liquidazione da undici anni. “Non si comprende quale sia la necessità e l’urgenza di realizzare un’opera che…non è obiettivamente realizzabile”.
Il parere della commissione VIA-VAS, si legge nel ricorso, è quindi considerato “illogico” perché rinvia alla progettazione esecutiva la definizione di aspetti fondamentali. “È evidente che gli studi sismologici e tettonici debbano essere completi già in sede di progettazione definitiva” come quelli “idrologici e idrochimici” o “l’individuazione dei siti di stoccaggio dei detriti”. E ancora: “Come può valutarsi l’impatto ambientale di un’infrastruttura viaria senza neppure conoscere le previsioni di traffico da cui sarà interessata, con il conseguente inquinamento?” Risulta grave, pericoloso e in palese violazione del principio di precauzione, di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di una direttiva europea e di una norma nazionale che non sia stata valutata la presenza di una faglia attiva nell’area del pilone a Cannitello, sulla sponda calabrese. Sul punto, c’è stato “difetto assoluto di istruttoria e di motivazione”, alle contestazioni si è risposto con “irrazionalità ed illogicità manifeste”.
Il ricorso, come quelli presentati al Tar da Wwf e da comitati locali, indica nel parere espresso dalla Commissione VIA-VAS profili di “dubbia costituzionalità, vizi di violazione di legge ed eccesso di potere”, spiegano le amministrazioni di Villa San Giovanni e Reggio Calabria, che ricorrono al TAR per motivi di “Tutela del paesaggio quale valore costituzionale, tutela degli espropriandi, paventato rischio di un’eterna incompiuta con ricadute nefaste inimmaginabili per la sopravvivenza dello stesso tessuto sociale metropolitano”. E con la consapevolezza che “le nostre comunità vogliono essere protagoniste di ogni decisione di sviluppo di questo territorio straordinario”.
NELLE PROSSIME PUNTATE…
Dalla prossima puntata e in podcast, Greenrport inizia un ripasso di miti e di storia, partendo dall’Odissea di Omero che racconta il tragico attraversamento in nave di Ulisse e dal primo e finora unico tentativo riuscito dei Romani che 2204 anni fa collegarono le sponde di Scilla e Cariddi.
La soluzione del genio Makkox per il Ponte sullo stretto su Propaganda Live La7