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Greenpeace, Legambiente e Wwf contro il decreto Aree idonee: «Ferma la transizione»

«Rappresenta una delega in bianco alle Regioni per provvedere a rivedere le regole sulle rinnovabili anche in modo retroattivo»
 |  Nuove energie

Le principali associazioni ambientaliste hanno espresso una posizione unitaria, di netta contrarietà, al decreto sulle Aree idonee per gli impianti rinnovabili, proposto dal Governo Meloni con l’assenso di Regioni ed enti locali all’interno della Conferenza unificata.

L’ultima versione del testo normativo (in allegato) fondamentalmente «lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie. Risultato: il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato – sottolineano gli ambientalisti – senza una cornice di principi omogenei capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree, da effettuarsi con leggi regionali. L’esito di questo percorso saranno leggi regionali disomogenee, che complicheranno ulteriormente il quadro regolatorio per le rinnovabili, già messo a durissima prova».

Oltre all’aberrazione di inserire all’interno del decreto per le fonti rinnovabili un espresso riferimento al principio della neutralità tecnologica, che molto spesso nasconde la volontà di virare verso tecnologie fossili e/o non rinnovabili, Greenpeace, Legambiente e Wwf osservano come i principali punti problematici della nuova versione del decreto riguardino proprio il rapporto Stato-Regioni: emblematica l’eliminazione di qualsiasi riferimento al necessario aggiornamento degli atti di pianificazione energetica, ambientale e paesaggistica, così come la piena – e arbitraria – discrezionalità delle Regioni nell’estensione della fasce di rispetto, per le aree che presentano beni culturali, fino a 7 km.

Basti osservare l’atteggiamento della Regione Sardegna, che sta portando avanti una moratoria per bloccare fino a 18 mesi l’installazione di nuovi impianti rinnovabili sul proprio territorio. In questo modo la transizione ecologica – che oltre alla difesa del clima tutela anche le tasche dei cittadini, grazie al minor costo delle rinnovabili rispetto alle fonti fossili – non si compirà mai.

Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, all’Italia servono circa 85 GW di nuovi impianti – neanche due mesi fa il ministro Pichetto ne prometteva 140 – ovvero attorno a +12 GW l’anno; peccato che il 2023 si sia fermato a neanche la metà, e che i nuovi decreti del Governo Meloni tirino nuovamente il freno a mano.

La nuova versione del decreto Aree idonee non riesce neppure a confermare in modo uniforme la qualifica di aree idonee per quelle aree espressamente indicate come tali dall’articolo 20, comma 8 del d.lgs. 199/2021, prevedendo sul punto solamente che le Regioni “tengono conto della possibilità di fare salve” tali aree.

Il punto di caduta definitivo è rappresentato, però, dall’eliminazione dell’articolo 10, che faceva salvi i procedimenti autorizzativi già avviati, specificando (precedentemente) che si sarebbero conclusi ai sensi della disciplina previgente. In altre parole, non avendo esplicitato questo punto, si rischia di dare validità retroattiva al provvedimento, ledendo diritti acquisiti e, soprattutto, rendendo l’Italia un Paese inaffidabile per gli investitori.

Alla luce di quanto osservato, per Greenpeace, Legambiente e Wwf la nuova versione del decreto aree idonee «rappresenta una delega in bianco alle Regioni per provvedere a rivedere le regole sulle rinnovabili anche in modo retroattivo. Così il Governo rinuncia a fare sistema e sceglie di non tutelare gli investimenti rinnovabili in Italia (più di 40 miliardi, destinati ad aumentare significativamente in vista degli obiettivi al 2030)».

Ultimo punto, ma non per importanza, lo spettro delle dilatazioni nei tempi burocratici. Il decreto prevede sì che il ministero dell’Ambiente abbia il compito di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi presentati nella tabella e, in caso di inadempienza, “adottare opportune iniziative ai fini dell’esercizio di poteri sostitutivi della costituzione’’ però, prima che possa effettivamente farlo, alle Regioni, tra una richiesta d’osservazioni e l’altra, verranno comunque dati circa 15 mesi di autonomia.  

«Che la transizione energetica e la partecipazione della società civile non fossero una priorità del Governo era piuttosto chiaro anche dallo svolgimento dei lavori sul Pniec – concludono gli ambientalisti –, nei quali le associazioni ambientaliste non hanno mai ricevuto riscontro alle osservazioni presentate, e dal decreto-legge Agricoltura, in relazione al quale non tutti coloro che ne hanno fatto richiesta sono stati auditi. Tuttavia, complicare e di fatto rallentare ulteriormente il quadro autorizzativo per le rinnovabili, senza garantire forme di partecipazione minime nel processo di selezione delle aree, appare un ulteriore tentativo di fermare la transizione di cui Governo e Regioni dovranno rispondere».

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Redazione Greenreport

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