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Le Libie immaginarie di Giorgia Meloni e la Libia reale di Abdoulaye Bathily

E’ tempo che il popolo libico abbia accesso alla pace e alla stabilità a cui aspira
 |  Nuove energie

Ieri la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto il primo ministro della Repubblica Ceca, Petr Fiala e ha detto che «ci siamo certamente confrontati sul tema della migrazione, altra questione sulla quale ci siamo sempre trovati d'accordo. Siamo d'accordo sul fatto che per gestire la migrazione la priorità sia quella di lavorare sulla dimensione esterna, quindi di lavorare con i Paesi terzi, di lavorare con i nostri partner per prevenire il flusso piuttosto che doverlo gestire. L'Italia, come sapete, sta dando il buon esempio con il Piano Mattei per l'Africa, che ha come obiettivo quello di costruire un modello di sviluppo e di cooperazione nuovo rispetto al passato, da pari a pari, senza un approccio paternalistico, senza un approccio caritatevole, e senza intenzioni predatorie».

Il 7 maggio la Meloni era stata per l’ennesima volta in Libia dove aveva incontrato a Tripoli il presidente del consiglio presidenziale Al-Menfi e il primo ministro ad interim del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh con il quale ha firmato dichiarazioni di intenti nella cornice del Piano Mattei per l’Africa. Poi è andata a Bengasi dove ha avuto un cordialissimo colloquio con l’uomo forte dell’altro governo libico – quello non riconosciuto dalla comunità internazionale e dalla stessa Italia - il Maresciallo Khalifa Haftar con il quale ha parlato delle stesse cose.

Alla fine degli incontri con i due governi rivali libici l'un contro l'altro armato, la Meloni ha ribadito «l’impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti, in particolare nel settore energetico e infrastrutturale».

In una nota ufficiale si legge che «con i suoi interlocutori, il Presidente del Consiglio ha discusso anche dell’importanza di indire le elezioni libiche presidenziali e parlamentari, nel quadro della mediazione delle Nazioni Unite che va rilanciata. L’Italia, in tal senso, continuerà a lavorare per assicurare una maggiore unità di intenti della Comunità internazionale e per promuovere la cooperazione tra Libia e Unione Europea».

Non si capisce bene a quale delle due Libie si riferisca la Meloni che comunque ha espresso «apprezzamento per i risultati raggiunti dalla cooperazione tra le due Nazioni in ambito migratorio. In questa prospettiva, per il Presidente Meloni permane fondamentale intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani, anche in un’ottica regionale, e in linea con l’attenzione specifica che l’Italia sta dedicando a questa sfida globale nell’ambito della sua Presidenza G7».

Un quadro quasi idilliaco che non è esattamente quello tracciato in un’intervista a UN News dal capo uscente dell’United Nations Support Mission in Libya (Unsmil) Abdoulaye Bathily che ha ricordato che «La Libia ha vissuto diversi regimi di transizione dal 2011, e tutti hanno deciso, prima o poi, di creare le condizioni necessarie per lo svolgimento delle elezioni al fine di stabilire la pace e la stabilità nel Paese. Tuttavia, ciò che abbiamo visto negli ultimi dieci anni è che si trattava solo di buone intenzioni proclamate, ma non attuate. Inoltre, abbiamo scoperto che tutti i leader di transizione in Libia hanno continuato la loro rivalità e non erano interessati a tenere elezioni. Non erano interessati a stabilizzare il Paese e hanno alimentato le tensioni nel Paese e persino le rivalità tra i loro sostenitori - i gruppi armati - che rispettivamente li sostengono. Abbiamo anche riscontrato che sono molto soddisfatti della situazione attuale, che permette loro di condividere tra loro i frutti del governo. La Libia non è un Paese povero. Nonostante questa crisi, la Libia produce ancora 1,3 miliardi di barili di petrolio al giorno. Ci sono risorse sufficienti affinché ogni libico possa vivere in prosperità. Tuttavia, abbiamo visto che il cittadino libico è diventato più povero negli ultimi dieci anni».

Bathily ha spiegato perché non si trova una soluzione alla guerra civile libica e geopoliticamente non sono buone notizie per il confuso Piano Mattei meloniano: «A un certo punto del conflitto, c'era un certo consenso tra gli attori internazionali e regionali sul fatto che dovevano aiutare i libici a trovare un accordo per un consenso, per una soluzione politica che riunisse tutti i leader libici, unisse il Paese e, naturalmente, portare pace e stabilità. Tuttavia, quello che ho visto negli ultimi mesi è che a causa dell’impatto della crisi ucraina sulla Libia – sia in termini di ricchezza, petrolio e gas, ma anche di posizione militare e geopolitica della Libia nel Mediterraneo centrale – questa posizione geografica della Libia ha ravvivato una sorta di interesse geopolitico da parte di un certo numero di potenze regionali e internazionali. La crisi ucraina ha dato una nuova dimensione alla crisi libica a causa delle sue conseguenze economiche e geopolitiche. Allo stesso tempo, negli ultimi mesi la guerra in Sudan ha avuto ripercussioni anche sulla situazione economica e di sicurezza. Al di là dell'immediato confine meridionale della Libia c'è la crisi del Sahel, che negli ultimi mesi è peggiorata anche in Mali, Burkina Faso e, ovviamente, la situazione dei rifugiati in Ciad. Tutto ciò ha avuto un impatto considerevole sulla situazione interna della Libia».

L'ormai ex capo dell’Unsmil accoglie con favore la recente dichiarazione del Consiglio di Sicurezza Onu che ha riaffermato l’impegno a favore di un processo politico inclusivo, guidato dalla Libia, controllato e facilitato dalle Nazioni Unite, ma fa notare che «Questo è un problema che abbiamo sempre avuto in Libia perché finché i leader che non sono stati disposti a impegnarsi in un processo negoziale inclusivo per una soluzione pacifica continueranno a monopolizzare il processo politico, temo che non potremo trovare una soluzione in Libia».

E a boicottare le libere elezioni in Libia sono proprio quelli sui quali la Meloni ripone così tante speranze. Bathily ha spiegato che «l’Alto Consiglio di Stato, il Consiglio Presidenziale, il Governo di Unità Nazionale e l’Esercito Nazionale Libico sono oggi le strutture che possono fare la pace o la guerra in Libia, e che sono al centro dei problemi del Paese. Ecco perché, per noi, si trattava di un meccanismo inclusivo che avrebbe potuto portare a una soluzione pacifica, se fossero stati disposti a farlo. Sfortunatamente, alcuni di loro hanno condizioni o prerequisiti stabiliti. Inoltre, sono stati purtroppo sostenuti da alcuni attori esterni che hanno intrapreso iniziative parallele tendenti a neutralizzare le nostre iniziative. Finché questi stessi attori saranno supportati in un modo o nell’altro da attori esterni, non saremo in grado di avere una soluzione. Questo è il motivo per cui ho detto al Consiglio che è importante che tutti gli attori internazionali e tutti gli attori regionali non solo parlino la stessa lingua, ma agiscano anche di conseguenza per sostenere un processo pacifico e inclusivo in Libia».

L’impasse politica sta facendo diventare la situazione economica libica molto tesa e Bathily ha sottolineato che «Il deterioramento della situazione economica è evidente a tutti. La sterlina libica è in caduta libera rispetto al dollaro. Il potere d'acquisto dei cittadini è sempre più debole, e i cittadini si lamentano molto di questa situazione. Nonostante l’enorme ricchezza del Paese, la maggioranza della popolazione non ne beneficia. Oggi la Libia è regredita. C’è più povertà e insicurezza e meno democrazia e sicurezza per la maggior parte della popolazione. Questa è purtroppo la realtà della Libia oggi».

E, a proposito di porti e Paesi sicuri, Bathily fa un quadro della Libia che costantemente i nostri governi fanno finta di non vedere: «Sappiamo tutti che la Libia oggi è quasi un supermercato aperto di armi, che vengono utilizzate per la competizione politica interna tra gruppi armati, ma anche per i mercati delle armi, la corsa agli armamenti e il commercio di armi con i loro vicini e oltre. La situazione della sicurezza è sempre più preoccupante per i cittadini, poiché tutti questi gruppi competono per il potere e l’accesso alle ricchezze del Paese, e le loro rivalità stanno quindi esacerbando le tensioni in tutta la Libia, e in particolare nella Libia occidentale».

Per quanto riguarda la terribile situazione dei migranti e dei rifugiati in un Paese che secondo la Meloni e i suoi alleati dovrebbe gestirli e aiutarci a impedire la migrazione in tutto il globo terracqueo, Bathily non usa mezzi termini: «La migrazione è una delle questioni scottanti in Libia oggi. Come sappiamo, il traffico di esseri umani è molto intenso. Purtroppo, a causa della situazione di sicurezza, non vi è alcuna speranza che questa situazione migliori a medio e lungo termine. La Libia sta diventando sempre più una specie di stato mafioso, dominato da una serie di gruppi coinvolti nel traffico di benzina, migranti, metalli come l’oro e droga. Tutto questo traffico è collegato e portato avanti dagli stessi gruppi di individui chiaramente identificati in diverse regioni della Libia, nei paesi vicini e su entrambe le sponde del Mediterraneo». E' con questi signori che la Meloni e i suoi alleati europei stringono patti e mani.

Bathily si sta preparando a lasciare il suo incarico e lo fa inviando un messaggio finale ai governanti libici e ai loro alleati: «Chiedo loro ancora una volta di avere il senso della storia e di pensare al futuro del loro Paese. Devono assumersi le proprie responsabilità morali davanti al proprio Paese. Faccio appello anche ai loro mentori, a coloro che li sostengono continuando a mantenere questa impasse che va a detrimento degli interessi del popolo libico e della regione, non solo del Nord Africa, ma anche del Sahel. E’ tempo che il popolo libico, che aspira alla pace e alla stabilità, abbia accesso alla pace e alla stabilità a cui aspira».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.