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«Dal governo colpo di grazia alle rinnovabili, si cambi». La denuncia degli esperti di diritto riuniti a Milano da Elettricità Futura

Al centro del convegno l’analisi del decreto Agricoltura e di quello Aree idonee. Con il vincolo dei 7 Km dai beni tutelati, praticamente impossibile realizzare nuovi impianti green in Italia. Il nodo del Pnrr
 |  Nuove energie

Parlano di «labirinto» e di come uscirne, ma a mettere in fila tutti gli elementi evidenziati dalla loro analisi si direbbe che l’Italia, sulle rinnovabili, si è cacciata in un vero e proprio cul de sac. Il decreto Agricoltura e quello Aree idonee hanno rappresentato un micidiale uno-due da cui sarà difficile riprendersi. E ora il governo deve invertire con urgenza la rotta, pena la condanna del nostro paese a gravi conseguenze dal punto di vista economico, produttivo ed energetico.

A lanciare l’allarme sono Elettricità Futura, Green Horse Advisory, L&B Partners e Legance, che hanno riunito a Milano oltre 250 persone per discutere del quadro normativo e autorizzativo riguardante gli impianti green venutosi a creare dopo le recenti decisioni dell’esecutivo. Se è vero che l’iter legislativo che definisce le norme per individuare le aree idonee alla realizzazione dei nuovi impianti eolici e fotovoltaici è ancora in corso di definizione, perché mancano le diverse leggi regionali attuative del decreto pubblicato lo scorso 2 luglio, e se è anche vero che le Regioni hanno 6 mesi di tempo per farlo, è però anche vero che nel frattempo in molte zone d’Italia sono intervenute con normative e delibere che di fatto già impediscono gli obiettivi fissati per il 2030. Il caso della Sardegna e la moratoria di 18 mesi decisa dalla giunta Todde, su cui pure era intervenuta nei giorni scorsi Elettricità Futura chiedendo un intervento di Calderoli e Pichetto Fratin, è il caso più eclatante, ma non è isolato.  E le recenti mosse dell’esecutivo Meloni non fanno che peggiorare la situazione. 

«Gli ultimi due provvedimenti approvati dal governo hanno avuto un ruolo decisivo nell’aumentare l’incertezza del quadro normativo in Italia, determinando il blocco della quasi totalità dei nuovi progetti rinnovabili», ha denunciato nel corso dei lavori il presidente di Elettricità Futura Agostino Re Rebaudengo, che ha aggiunto: «La conseguenza è un effetto domino che porta all’aumento dei costi dei terreni, già adesso tra i più cari d’Europa (che sul costo di impianto incidono per oltre il 20%), di realizzazione degli impianti per i maggiori costi del permitting, e quindi del costo dell’energia elettrica prodotta. Siamo in una situazione paradossale, l’Italia con 4 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati non ne vuole usare 70.000 per installare gli impianti che producono elettricità elettrica al minor costo».

I decreti Aree Idonee e Agricoltura, sottolineano i partecipanti all’incontro, hanno dato il colpo di grazia allo sviluppo degli impianti rinnovabili. Il motivo? Il settore era già in seria difficoltà tra le criticità burocratiche e organizzative, i ritardi nella pubblicazione di provvedimenti chiave, come il FER X (secondo Terna, 8 GW di impianti autorizzati non partono in attesa delle aste), la saturazione virtuale della rete e le moratorie delle Regioni da cui peraltro adesso dipende la normativa delle aree idonee. E ora – è stato evidenziato nel corso del convegno organizzato dall’associazione operante nella filiera elettrica e aderente a Confindustria insieme alle sigle del settore giuridico – con le ultime mosse del governo l’Italia avrà le mani legate e non potranno essere costruiti nuovi impianti di eolico o fotovoltaico. Un’esagerazione? No, perché se le Regioni applicassero in modo restrittivo la distanza di 7 Km dai beni tutelati per i nuovi progetti che d’ora in poi verranno presentati, la quasi totalità del territorio nazionale sarebbe non idoneo alle rinnovabili, essendo il nostro paese ricco di opere e luoghi soggetti a vincoli per motivi artistici, storici, paesaggisti, archeologici e via elencando. 

Alla questione hanno dedicato dettagliate analisi diversi esperti di diritto, e le conclusioni a cui sono arrivati sono state piuttosto sconfortanti, per chi punta a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Un po’ per quello che sta avvenendo in Sardegna ma anche in altre parti d’Italia (i casi esaminati hanno riguardato anche delle situazioni critiche venutesi a creare nel Friuli Venezia Giulia e in Lombardia), e un po’ per il quadro complessivo nazionale. Carlo Montella, Co-Founder e Managing Partner, Green Horse Legal Advisory, ha dichiarato: «Per comprendere appieno la portata del DM Aree Idonee, gli investitori dovranno necessariamente attendere le leggi regionali ad individuazione delle rispettive aree idonee, non essendo, purtroppo, utile affidarsi a un’interpretazione sistematica e “di buon senso” dell’apparato normativo esistente». Ecco che allora, ha aggiunto, «il prossimo autunno gli investitori si troveranno di fronte a una sorta di “impairment test” per valutare quanti GW delle proprie pipeline potranno effettivamente essere realizzati e per quanti, invece, andranno fatte altre considerazioni. Nell’attesa, non ci resta che prendere atto dell’importante tema politico che affligge il nostro paese: il MASE ha perso il ruolo fondamentale di cabina di regia nel coordinamento di una strategia energetica centrale, ruolo a cui ha sostanzialmente rinunciato a favore delle Regioni, che hanno ricevuto una delega “in bianco” non solo rispetto all’identificazione delle aree idonee, ma anche rispetto alla sorte dei procedimenti in corso».

Un’altra criticità è stata poi evidenziata dal vicepresidente di Elettricità Futura Pietro Pacchione, che ha fatto riferimento all’obbligo di durata minima di 6 anni, prorogabili di altri 6, per i contratti, anche preliminari, di diritto di superficie per i terreni destinati agli impianti fotovoltaici: «Questo obbligo è di dubbia legittimità in quanto interferisce con la libera contrattazione tra privati ed incide anche su accordi già esistenti con effetto retroattivo. La norma potrebbe creare incertezze, rischiando di compromettere investimenti già effettuati dalle imprese».

Inoltre, spiegano gli esperti di diritto che hanno esaminato la recente normativa introdotta dal governo, l’articolo 5 del Dl Agricoltura sembra ammettere solo l’agrivoltaico avanzato, che rappresenta una soluzione molto più costosa rispetto all’agrivoltaico standard, che a sua volta è già più costoso del fotovoltaico tradizionale. E, come se non bastasse, è stato evidenziato che la formulazione dell’articolo è ambigua e potrebbe portare a interpretazioni paradossali, come quella che l’installazione degli impianti sia vincolata ai fondi del PNRR, che scadono nel 2026. «Questo porterebbe al paradosso di non poter più installare nuovi impianti dopo tale data», ha fatto notare Pacchione. 

Al 2026 non manca tanto, anzi. E con il decreto Aree idonee che concede alle Regioni il potere decisionale, intanto si aggiungono ulteriori incertezze e altri freni che possono limitare ulteriormente lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.