Skip to main content

L’analisi del think tank climatico Ecco

Oltre il 50% dell’export di beni Usa in Ue è legato ai combustibili fossili, ecco perché Trump vuole fermare il Green deal

L’obiettivo è evitare che l’Europa, di fronte alla scelta degli Stati Uniti di rinunciare agli accordi sul clima, aumenti l’autonomia strategica con le rinnovabili e rafforzi il rapporto con la Cina
 |  Nuove energie

Per la prima volta nella storia, nonostante la presidenza Trump, oggi meno della metà dell’elettricità prodotta negli Stati Uniti arriva dai combustibili fossili. Guidata dalle sempre più economiche fonti rinnovabili, la transizione energetica corre ormai veloce anche al di là dell’Atlantico, rendendo ogni giorno più fragile il vecchio – ma ancora robusto – sistema di potere, che si appiglia al drill, baby, drill! promesso da The Donald al momento del suo insediamento.

S’inserisce in questo interregno anche la minaccia trumpiana di dazi (al momento sospesi) al 20% sulle importazioni dall’Unione europea, che negli ultimi anni è diventata un mercato fondamentale per l’industria fossile statunitense. La bilancia commerciale di beni e servizi tra Stati Uniti ed Europa è solo leggermente a favore dell’Europa – nel 2023 del 3% –, ma guardando ai soli beni «più del 50% dell’export commerciale americano in Europa consiste in prodotti fossili, di combustibili o tecnologie di uso finale: petrolio greggio, prodotti petroliferi, motori, aviazione e gas. Settori fortemente esposti alla transizione climatica sostenuta dagli accordi globali siglati a Parigi e da cui l’amministrazione repubblicana si vuole chiamare fuori», come documenta una nuova analisi prodotta dal think tank climatico Ecco.

import beni usa in ue

Vista da questa prospettiva, diventa più chiara la proposta Usa di rivedere la politica dei dazi contro l’Ue se l’Europa si mostra disposta ad acquistare altri 350 miliardi di dollari in beni energetici, a partire dal gas naturale liquefatto (Gnl); è una strategia per limitare sia l’autonomia strategica del Vecchio continente – dove le rinnovabili sono in grado di spiazzare i combustibili fossili – sia la possibilità di rafforzare i legami commerciali con nuovi partner (in primis la Cina) meglio posizionati su tecnologie pilatro della transizione ecologica, a partire dalle auto elettriche a prezzi più popolari della Tesla per super ricchi.

«Se nel 2019 l’Ue copriva circa il 60% del proprio fabbisogno energetico attraverso le importazioni, negli ultimi anni si è registrata una progressiva riduzione della dipendenza, scesa al 58% nel 2024, grazie alla crescita delle energie rinnovabili – evidenzia nel merito Ecco – L’obiettivo non è quindi solo “comprare il gas per ridurre lo sbilancio commerciale” ma imporre di acquistarlo nel lungo periodo impedendo così all’Europa di costruire la propria indipendenza energetica e competitività, anche rivolgendosi a nuovi fornitori sui mercati globali. Lo stesso vale per le tecnologie finali di uso delle fossili, come, ad esempio, per il settore auto».

La strategia dell’Amministrazione Biden, sintetizzata dall’Inflation reduction act (Ira), era quella di sfidare la Cina rafforzando gli Usa nelle tecnologie per la transizione nel mercato interno e in quello globale, mentre Trump prova ostinatamente a restare ancorato al passato attraverso l’imposizione di dazi negoziali. «Proprio la strategia aggressiva dell’Amministrazione Trump – sottolinea Ecco – ha ulteriormente evidenziato come per l’Europa, il Green deal non rappresenti unicamente una politica di decarbonizzazione, ma il centro della sicurezza, dell’indipendenza energetica e della competitività di un continente povero di energia fossile e intenzionato a costruire la crescita del proprio mercato interno sull’innovazione green».

Eppure l’Ue e ancor più singoli Stati come l’Italia, mostrano ad oggi grande apertura sulla possibilità di incrementare l’import fossile dagli Usa. Secondo le parole del commissario europeo per l’Energia Jorgensen, è manifesto l’interesse per nuovi acquisti di Gnl americano, ma non vi è intenzione di offrire alcun allentamento del Green deal, cosa che invece sostiene la presidente Meloni.

Ma né adesso né per il prossimo futuro ci occorre nuovo gas statunitense, a meno che questo non significhi tagliare contestualmente altri canali di approvvigionamento (magari a partire dal Gnl russo, che nonostante gli embarghi ha visto crescere le importazioni in Ue del 18% nell’ultimo anno, passando dalla “flotta fantasma” di Putin).

«La domanda di gas in Europa e in Italia si è ridotta del 18% negli ultimi 3 anni, passando – concludono da Ecco – da un totale annuo di circa 76 Mld mc nel 2021 a meno di 62 Mld mc nel 2024.  Il nostro studio “Stato del gas” mostra come l’infrastruttura esistente sia sufficiente a garantire la sicurezza delle forniture grazie ai flussi da Algeria, Azerbaigian, Libia, all’utilizzo della capacità di rigassificazione esistente e la produzione nazionale. Nuovi investimenti determinerebbero un ulteriore costo per un’infrastruttura in transizione. Gli effetti della penetrazione delle fonti rinnovabili nei mercati elettrici, altamente più competitive, dell’elettrificazione dei consumi civili, risparmi ed efficienza nelle abitazioni e calo della produzione industriale, fortemente dovuta al costo del gas, dipingono uno scenario di progressiva riduzione della domanda di gas nel mercato europeo, incrementando i costi infrastrutturali sui clienti finali».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.