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Lo sostiene il World Petroleum Congress

Sarà la Russia il nuovo Eldorado del gas e petrolio da scisti

Ma a preoccupare sono l’offensiva jihadista in Iraq e la crisi del gas in Ucraina
 |  Nuove energie

E’ in corso a Mosca il 21esimo World Petroleum Congress al quale partecipano oltre 5.000 rappresentanti provenienti da 90 Paesi che discutono di come “Dinamizzare con responsabilità un mondo in crescita” e in Russi, nel Paese del petrolio e del gas da trivellare tra i ghiacci terrestri e marini che si sciolgono, il direttore generale  BP Robert Dudley, ha detto che proprio la Russia «E’ uno dei quattro Paesi nei quali la valorizzazione dei giacimenti da idrocarburi da scisti ha le migliori prospettive».

Insieme al più grande Paese del mondo, i nuovi Eldorado del fracking di gas e petrolio sono Algeria, Cina ed Argentina, mentre «L’estrazione degli idrocarburi da scisti nelle regioni europee è problematica a causa dell’assenza dei grandi spazi indispensabili».

Precedentemente la Bp aveva detto che «Durante i due prossimi decenni, la Russia ed I Paesi dell’America Latina saranno I campioni dell’estrazione degli idrocarburi da scisti». Ma gli esperti dell’International energy agency sono convinti che un secondo boom degli scisti e del fracking, come quello che sta avvenendo negli Usa, abbia poche possibilità di ripetersi.

Forse la Russia, abituata a grandi progetti energetici imposti dall’alto, ha più possibilità di realizzare centinaia di pozzi con un impatto ambientale notevole, ma l’America Latina, dove già c’è una forte opposizione all’estrazione di idrocarburi e allo stesso fracking, difficilmente avrà un boom del gas shale in maniera indolore, visto anche che Papa Francesco non nasconde le sue simpatie per i movimenti anti-fracking argentini.

Ma al World Petroleum Congress di Mosca più che gli ambientalisti ed il Papa ecologista sono soprattutto le questioni geopolitiche a monopolizzare l’attenzione, in particolare il timore che l’offensiva jihadista in Iraq per creare un califfato islamista comprometta gli obiettivi di recupero della produzione petrolifera del Paese e sposti l’equilibrio verso una rafforzata presenza iraniana nell’area ed una probabile indipendenza del Kurdistan, provocando una fiammata dei prezzi petroliferi che già in questi giorni hanno registrato i più alti livelli da settembre. L’atro problema riguarda proprio i padroni di casa: la disputa gasiera tra Russia e Ucraina (che ha sullo sfondo lo sfruttamento dei presunti grandi giacimenti di shale gas ucraini) che potrebbe portare ad un taglio dei rifornimenti verso l’Unione europea

Inoltre c’è anche il problema delle sanzioni occidentali di Usa ed Ue contro la Russia per l’annessione della Crimea ed il sostegno dato ai ribelli russofoni indipendentisti dell’Ucraina sud-orientale.  A fine aprile  il patron di Rosneft, Igor Setchin, è stato incluso nella lista delle personalità colpite dalle sanzioni statunitensi, ma le multinazionali petrolifero-gasiere occidentali, come la britannica Bp, la norvegese Statoil e l’americana ExxonMobil, non sembrano curarsi molto della cosa e  vogliono proseguire i lucrosi partenariati con Rosneft, della quale la Bp possiede il 20% delle quote.

Come scrive il quotidiano algerino l’Expression, «Il clima glaciale tra Mosca e le cancellerie occidentali non ha per nulla dissuaso importanti compagnie europee accordi alla luce del sole con  dei gruppi russi, durante il forum economico di San Pietroburgo a fine maggio».  Il gigante francese Total ha fatto una joint venture con il gruppo privato russo Lukoïl per sfruttare il petrolio di scisti nella Siberia Orientale; la Bp ha firmato un accordo da 300 milioni di dollari per esplorare insieme a Rosneft dei giacimenti di petrolio non convenzionale nel Volga e negli Urali».

Per le Big Oil l’Ucraina vale davvero poco e puntano alle vaste risorse russe di idrocarburi per rimpinguare la loro produzione, mentre i gruppi energetici russi legati a doppio filo al potere putiniano hanno bisogno di questa alleanza con le multinazionali petrolifere occidentali per beneficiare della loro expertise tecnologica, da utilizzare per estrarre gas e petrolio in alcune delle aree più pericolose ed inaccessibili del pianeta. Che da tutto questo ci rimettano l’ambiente e la democrazia al World Petroleum Congress non sembra fregare niente a nessuno.

Redazione Greenreport

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