Il respiro affannoso del Mediterraneo
Il rapporto “Il respiro degli oceani”, pubblicato dal Wwf alla vigilia della Giornata mondiale degli oceani che si celebra l’8 giugno, analizza attraverso gli ultimi dati e sei esempi concreti gli effetti del climate change sul Mar Mediterraneo ed evidenzia il suo triste primato: «Ormai vero e proprio hotspot del cambiamento climatico, riscaldato sempre più rapidamente e sempre più salato. A causa dell’assorbimento del calore in eccesso provocato dal surriscaldamento globale, gli oceani stanno subendo un costante aumento della temperatura sin dagli anni ’70. Nel periodo 2011-2020 la temperatura ha subito un aumento medio dello 0,88° C rispetto al periodo 1850-1900. Le proiezioni indicano che questa tendenza continuerà. Nell’aprile 2023, infatti, la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto un nuovo record di 21,1° C».
il Panda italiano denuncia che «Il fenomeno ha già avuto impatti significativi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi marini in tutta la sua estensione, generando conseguenze rilevanti su settori economici cruciali come la pesca e il turismo, oltre che sulla nostra salute e alimentazione. L’impatto più rilevante è però sul ruolo chiave che hanno gli oceani per la termoregolazione del clima globale (con il sistema di correnti oceaniche, noto come “Nastro Trasportatore” o “Circolazione Termoalina” che trasporta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo), la produzione di ossigeno (50% dell’ossigeno generato sul nostro Pianeta, in gran parte attribuibile al fitoplancton marino) e l’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno circa un quarto dell’anidride carbonica che viene emessa, corrispondente ad almeno il 30% di tutte le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane in tutto il mondo). Sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico globale il ‘respiro’ degli oceani è sempre più in affanno: è necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità».
Nel report vengono descritte 6 case history che riguardano il Mare Nostrum: tropicalizzazione del Mediterraneo orientale, aumento delle specie aliene invasive, proliferazione di meduse, perdita delle praterie di Posidonia oceanica, scomparsa delle gorgonie, mortalità di massa della Pinna nobilis.
«Eppure – dicono al Wwf - è proprio nella difesa della biodiversità la nostra salvezza contro gli effetti del cambiamento climatico: le specie marine a tutti i livelli della catena alimentare contribuiscono allo stoccaggio naturale a lungo termine del “carbonio blu”, trasferendolo dalla superficie alle profondità oceaniche e ai sedimenti. Questo concetto è noto come “Fish carbon“, che rappresenta le interazioni del carbonio tra tutti i vertebrati marini che contribuiscono al sequestro del carbonio negli oceani, tra cui tartarughe, uccelli marini, mammiferi come balene e delfini e pesci come squali, tonni e sardine».
L’associazione ambientalista ricorda che «Le praterie di Posidonia, oltre a fungere da habitat essenziale per numerose specie marine, sequestrano circa 5.7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Si stima che le praterie di Posidonia abbiano immagazzinato tra l’11% e il 42% delle emissioni totali di CO2 dei Paesi mediterranei dall’epoca della Rivoluzione Industriale. Il fitoplancton, nonostante la sua dimensione microscopica, sintetizza sostanze organiche e genera ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo a produrre oltre il 50% dell’ossigeno terrestre e a catturare circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% di quella prodotta. Questo valore equivale a quello di quattro foreste amazzoniche. Ogni balena può immagazzinare circa 33 tonnellate di CO2, una cifra sorprendente se confrontata con la modesta capacità di stoccaggio di carbonio di un albero medio, che si attesta a meno di 50 kg all’anno. Le specie di squali che effettuano migrazioni verticali e orizzontali, come le verdesche (Prionace glauca) e le mante, svolgono un ruolo fondamentale nel trasporto di nutrienti e nel controllo della produzione primaria del fitoplancton. Grazie alle sue migrazioni orizzontali e verticali, anche il tonno rosso contribuisce a fertilizzare il mare con i propri scarti, aumentando la biomassa del fitoplancton e quindi il sequestro di carbonio e la produzione di ossigeno».
Il report indica diverse soluzioni concrete per contrastare gli impatti del cambiamento climatico, a cominciare dall’abbattimento delle emissioni climalteranti e dalla transizione energetica. E il Wwf sottolinea che «E’ indispensabile, inoltre, proteggere il prezioso scrigno di biodiversità nonché scudo contro il cambiamento climatico che è il Mar Mediterraneo, prima fra tutte la protezione efficace del 30% del suo spazio marittimo entro il 2030. Questo richiede l’istituzione di una rete efficace e coerente di AMP (Aree Marine Protette) e altre misure di protezione spaziale, di cui il 10% deve essere strettamente protetto. Questa sfida è particolarmente impegnativa considerando che attualmente solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e meno del 2% è protetto in modo veramente efficace, mentre la superficie totale delle aree a protezione integrale rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo». Dati diversi da quelli fatti circolare in questi ultimi mesi dal governo italiano – e presi per buoni dalla stessa Ue – che è evidentemente in grosse difficoltà a fraggiungere il 30% di mare protetto come vorrebbero la direttiva europea e gli accordi Onu firmati dall’Italia. E il Wwf conclude facendo notare che «Inoltre, proteggere i corridoi ecologici vitali per la sopravvivenza di numerose specie migratorie come le balene, favorire lo sviluppo di una pesca più sostenibile, e pianificare l’utilizzo dello spazio marittimo rispettando l’ecosistema marino, sotto la guida della Direttiva Europea. L’Italia purtroppo è ancora in procedura di infrazione per non avere implementato un piano di gestione dello spazio marittimo. Inoltre, mentre l’Unione europea si impegna nella decarbonizzazione, l’Italia ha concesso deroghe per l’estrazione petrolifera e deve ancora definire le aree adatte per lo sviluppo delle energie rinnovabili offshore, evidenziando una carenza di prospettiva a lungo termine sia per l’ambiente che per gli aspetti socioeconomici correlati».