Biodiversità italiana: il primo report annuale del National biodiversity future center
Il primo "Rapporto annuale sulla biodiversità in Italia", presentato oggi dal National biodiversity future center (Nbfc), parte dalla consapevolezza che «L'emergenza ambientale di oggi affonda le sue radici nei processi di domesticazione dell'ambiente, iniziati 10mila anni fa che, non considerando la specie umana come parte dei sistemi naturali, insieme alla crescita demografica associata a profonde modifiche territoriali e ambientali indotte dallo sfruttamento della natura, hanno generato profonde disuguaglianze tra i Paesi e danneggiato in modo considerevole tutti gli ecosistemi del Pianeta, con un’enorme produzione di scarti e rifiuti. Per invertire questa tendenza, già nel secolo scorso, sono state intraprese azioni di conservazione della natura, portando nel 2024 alla protezione di circa il 16% della superficie terrestre e l'8,2% delle zone marine».
AL Nbfc dicono che «Sebbene rilevanti, tali valori sono considerati modesti e insufficienti per garantire la resilienza della biodiversità presente e futura. E’ necessario proteggere almeno il 30% delle aree per favorire il recupero degli ecosistemi marini e terrestri». Il National biodiversity future center nasce proprio con l’idea che «Studiare la biodiversità non ha solo importanti ricadute in termini di gestione e conservazione del territorio, ma anche in termini di costruzione di un nuovo approccio culturale che porti a un futuro più sostenibile per tutti gli abitanti del pianeta e per consentire alle generazioni future di continuare a godere dei benefici derivanti dalla natura. E’ quindi necessario creare un nuovo rapporto tra l'uomo e la biodiversità, passando dal semplice sfruttamento della natura a un modello in cui noi esseri umani siamo parte dei sistemi naturali. Questo significa uscire dall'Antropocene, un'epoca caratterizzata dalla conquista da parte dell’uomo del pianeta e per adattarlo alle sue esigenze dell'uomo, ed entrare nel Simbiocene, una nuova era nella quale gli esseri umani sviluppano relazioni di collaborazione e vantaggio reciproco con altre specie e con l'intera biosfera».
Una necessità che si scontra con una situazione che il report riassume così: «Degli otto milioni di specie viventi presenti sulla Terra, un milione è a rischio estinzione. Più dell'80% degli habitat in Europa versa in cattivo stato di conservazione con conseguenze anche sui servizi e funzioni ecosistemici, come la capacità di assorbimento del carbonio o la resistenza ai disturbi climatici e antropici». Anche per questo, il primo obiettivo della Strategia sulla Biodiversità dell'Ue per il 2030 è il restauro di almeno il 30% delle aree terrestri e marine, con misure di protezione dell'ambiente, ma anche azioni di mitigazione delle cause di degrado della biodiversità come l’abbattimento dell’uso di pesticidi (da ridurre del 50%).
Il report ricorda che «L’Italia è il Paese europeo con maggior abbondanza di specie, di habitat e con il maggior tasso di specie endemiche. Ben oltre il 50% delle specie vegetali e il 30% delle specie animali di Interesse Conservazionistico a livello europeo sono endemismi italiani, ovvero si trovano solo all’interno dei nostri confini. Il nostro Paese vanta 85 tipologie di ecosistemi terrestri, ma il 68% è in pericolo e oggi in Italia il 30% delle specie è a rischio di estinzione». Per Nbfc la conservazione della biodiversità vegetale e animale è una delle sfide più importanti per il nostro Paese e per il Mediterraneo e i suoi scienziati e scienziate hanno evidenziato una serie di minacce tra cui l’alterazione, il degrado e la frammentazione degli habitat, il sovra-sfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento e la diffusione delle specie invasive anche in contesti protetti. Attualmente, le Aree protette italiane coprono il 17% della superficie terrestre nazionale e l'11% di quella marina, anche se - aggiungiamo noi - quest’ultima cifra è molto ballerina negli stessi dati ufficiali e si raggiunge solo se si considera un’area protetta il Santuario dei mammiferi marini Pelagos che di protetto ha veramente poco e i siti di interesse comunitario a mare che hanno spesso protezioni solo sulla carta. Tolto questo non si arriva nemmeno al 3% di Aree marine protette, cioè meno di un decimo di quel che ci chiede l’Europa entro il 2030.
Ma il report di Nbfc evidenzia casi in cui le pratiche virtuose legate alla biodiversità hanno prodotto risultati concreti come la sperimentazione di approcci e tecnologie per ripristinare la biodiversità in aree degradate (ad esempio interventi di forestazione urbane oppure il ripristino di praterie di posidonie); l’innovazione tecnologica per il monitoraggio di aree a rischio, linee guida per conservare le specie a rischio e per prevenire la diffusione di specie infestanti.
Dal rapporto emerge chiaramente che La maggior proporzione di habitat soggetta a degrado in Europa si trova nel Mar Mediterraneo (32%) e il Nbfc sottolinea che « Dobbiamo salvaguardare le nostre coste e il nostro mare e in questo caso è fondamentale il ruolo dei Citizen scientist che osservando i fondali, monitorando le coste e promuovendo azioni di recupero possono fare il primo passo. Insieme a loro anche i ricercatori di Nbfc che hanno sviluppato strategie per la salvaguardia degli ecosistemi marini che richiedono: l'ampliamento delle zone marine protette in aree strategiche del Paese (arrivare almeno al 30% delle acque territoriali) con implementazione delle pratiche di pesca sostenibili; una drastica limitazione dell'inquinamento marino, specialmente da plastiche e da contaminanti chimici; lo sviluppo di una economia blu sostenibile, incentrata sull'utilizzo responsabile delle risorse marine per alimenti, energia e materiali. Le ricette sono pronte, le tecnologie sono in fase di test in tutto il territorio nazionale».
Il Nbfc mette in luce anche il valore economico della biodiversità: nell’ultimo anno ha studiato quasi 1000 specie di piante, alghe e organismi marini del Mediterraneo, in cerca di sostanze nuove e preziose che possano essere utilizzate per prevenire e curare malattie molto diffuse, come quelle metaboliche, il cancro e le malattie neuro-degenerative. I ricercatori dicono che «La nostra salute e il nostro benessere sono intrinsecamente legati alla salute degli ecosistemi da cui attingiamo non solo l'aria che respiriamo e l'acqua che beviamo ma anche gli alimenti che costituiscono la base della nostra nutrizione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa il 24% delle malattie dell’uomo è attribuibile a fattori ambientali e in un prossimo futuro il cambiamento climatico potrebbe essere responsabile di 14,5 milioni di decessi entro il 2050».
Applicando la bioprospezione sono state raccolte e studiate piante provenienti dagli ambienti più diversi e gli scienziati italiani evidenziano che «Grazie alle nuove tecnologie di chimica analitica e di intelligenza artificiale, si stanno analizzando tutti i composti presenti, con particolare riferimento ai metaboliti secondari - piccole molecole che molto spesso interagiscono con le nostre cellule producendo vari tipi di effetti - per identificare nuovi nutrienti che non solo possono arricchire la nostra dieta, ma anche offrire benefici antiossidanti e antinfiammatori e prevenire malattie. E’ ormai acclarato che esiste una correlazione diretta tra qualità ambientale-natura e salute umana. Si va da quelle dirette come l'associazione tra inquinamento atmosferico e malattie respiratorie (asma e bronchite) sino ad effetti sul benessere psicofisico e correlazioni indirette con patologie anche gravi come le malattie cronico degenerative, incluse quelle neurodegenerative. Possiamo trovare nella biodiversità molecole che agiscono su recettori diversi o che semplicemente agiscono in sinergia con farmaci già disponibili e li rendono più potenti».
Secondo il rapporto, una delle grandi sfide è quella di riportare la biodiversità nella nostra vita, partendo dalle città: «La forestazione urbana è diventata una delle politiche prioritarie delle città del mondo per il contrasto ai cambiamenti climatici e all'inquinamento». L’Italia, che nel 2018 ha ospitato il primo forum mondiale delle foreste urbane a Mantova, ha avviato con il Decreto Legge del 2019 (Decreto Clima) il primo bando nazionale per la riforestazione urbana nelle 14 Città Metropolitane mettendo a disposizione 30 milioni di Euro per la piantagione e il reimpianto di 6,6 milioni di alberi nelle vaste aree cittadine dove vivono più di 21 milioni di persone. Il Green Deal prevede di piantare 3 ulteriori miliardi di alberi entro il 2030. Nbfc sta attuando 3 strategie concrete: individuare e produrre le specie più adatte a ripopolare le città; produrre modelli di forestazione e rinverdimento sostenibili e partecipati, generando ecosistemi urbani resilienti gestibili nel tempo. Il fine ultimo è il benessere dei cittadini, la riduzione dell’inquinamento urbano, l’abbattimento delle temperature e in generale il miglioramento della vita nelle città.
Un altro fronte di investimento sono le biotecnologie: «Si parte dalle fitotecnologie e in generale fitorimedio dei diversi comparti: aria, acqua e suolo. NBFC ha generato cataloghi di specie adatti alle diverse problematiche per generare ‘boschi urbani’ che, oltre a portare il verde e i servizi ecosistemici, sono anche attivi verso gli inquinanti. Uno dei prodotti concreti è il modello FlorTree, il cui database, in continuo aggiornamento, al momento include circa 250 specie adatte al contesto urbano e capaci di traspirare e ridurre le temperature. Un'altra area di successo è la generazione del catalogo delle Nature-Based Solutions, ovvero soluzioni ispirate alla natura per riportare la biodiversità nelle città, come aree umide urbane, filari verdi, aiuole e spazi verdi di connessione tra i grandi parchi urbani e la promozione della mobilità sostenibile. Grazie a questo strumento potremmo riportare il verde in tutte quelle piccole aree urbane ed extraurbane marginali o comunque dimenticate, con soluzioni idonee a ciascun contesto».
E, con forse negli orecchi gli slogan ecoscettici che risuonano in campagna elettorale, gli scienziati italiani avvertono che «La tutela della biodiversità non è un lusso ma una necessità urgente. La Banca Mondiale ha stimato che le conseguenze economiche della perdita di biodiversità sono sostanziali e la perdita dei servizi ecosistemici potrebbe costare 2,7 trilioni di PIL globale nel 2030. Le nostre filiere primarie, a partire da quella del cibo, sono strettamente intrecciate con la salute del suolo, delle acque, dell’aria. Larga parte dei nostri processi produttivi, nonostante poggino su mirabili innovazioni tecnologiche, continuano a utilizzare il pianeta come “pattumiera” per i nostri prodotti di scarto».
Il Nbfc ha attivato ricerche per trovare soluzioni innovative, con azioni volte alla minimizzazione degli scarti e degli impatti ambientali dei processi produttivi ed è convinto che «Questo creerà ricchezza culturale, economica, e nuove professioni. Gli strumenti del cambiamento si basano su sulle biotecnologie, ingegneria metabolica, biologia sintetica e ingegneria di processo. Queste metodologie permettono di trovare nella biodiversità microrganismi capaci di rigenerare le risorse in una logica di bioraffineria, permettendo di riconsiderare il fine vita di prodotti e merci, processi che mirano a realizzare alcuni dei compiti chiave dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite in più di uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile».
Per quanto riguarda la riqualificazione e la bonifica delle aree contaminate dalle attività industriali le piante possono rappresentare una soluzione valida con il fitorisanamento, una tecnica che per richiedendo mediamente tempi di bonifica più lunghi rispetto agli approcci ingegneristici, è economicamente molto più vantaggiosa ed è in grado apportare notevoli benefici per l'ambiente e per l’uomo.
Il piano strategico di Nbfc per la conoscenza della biodiversità e per generare cultura si compone di azioni rivolte ai giovani, ai cittadini e alle istituzioni. In un Paese dove da sempre la cultura umanistica ha dominato quella scientifica e naturalistica, Nbfc promuove la Citizen Science, che sta assumendo ormai connotazioni da vera e propria disciplina professionale, che consente di coinvolgere la cittadinanza in maniera capillare partendo dalle scuole e dalle singole comunità territoriali. In autunno, Nbfc realizzerà una grande mostra nazionale dove l'arte si incontrerà con la scienza.
La recente modifica dell'articolo 9 della Costituzione Italiana, che ora include la preservazione della biodiversità «anche nell'interesse delle generazioni future», dove «anche» individua una duplice forma di responsabilità, sia intergenerazionale che intragenerazionale, fornisce una base giuridica e morale per questa alleanza e per l'azione dell'Nbfc che è convinto che «C'è un ampio consenso sociale sull'importanza della conservazione e ripristino della biodiversità, ma spesso nella percezione comune questo obiettivo rimane piuttosto astratto. Le iniziative messe in atto da amministrazioni a vari livelli e su diverse scale, come la costituzione di nuovi parchi e aree protette, la realizzazione di giardini condivisi, i progetti di riforestazione e de-asfaltatura delle strade, talvolta risultano azioni propagandistiche e spesso generano conflitti sul territorio tra amministrazioni e cittadini. NBFC opera secondo modelli partecipati in cui tutti gli attori interessati, incluse le amministrazioni pubbliche, sono coinvolti nelle azioni di ricerca e innovazione per migliorare l’ambiente e la natura».
Un punto centrale, tuttavia, è la conoscenza. Nbfc ha sviluppato metodi digitali innovativi per la raccolta e analisi delle opinioni di diversi gruppi di utenti su temi legati alla biodiversità con lo scopo di un osservatorio scientifico digitale capace di raccogliere suggestioni, opinioni e proposte. L'osservatorio vuole essere un punto di contatto tra le attività messe in atto dai ricercatori di Nbfc e la società civile. La prima azione di questo osservatorio è stata quella di valutare se i cittadini conoscono davvero la biodiversità e quindi se sono pronti a riportarla nella loro vita quotidiana. Infine, c’è il rapporto con i cittadini per generare cultura della biodiversità. Un primo studio realizzato da Nbfc ha riguardato la percezione della popolazione in relazione agli animali urbani. I ricercatori spiegano che «La piattaforma analizzata è stata TikTok, dove piccione, cinghiale, gabbiano e scoiattolo risultano gli animali più menzionati in relazione all’ambiente urbano italiano, mentre animali più piccoli come api e farfalle risultano poco rappresentati. Per alcuni animali come il cinghiale e il ragno viene spesso usato l’aggettivo “pericoloso”, mentre lo scoiattolo e la nutria sono spesso descritti con aggettivi positivi e la cornacchia è l'unico animale ad essere definito con l’aggettivo “intelligente”. Quanto alle emozioni, esiste una netta contrapposizione tra animali che suscitano sentimenti di meraviglia e stupore (come airone, cicogna, farfalla e pappagallo) e animali che invece generano disgusto e fastidio (ragni, cimici, zanzare e altri insetti). Insomma, nella percezione comune, esiste una chiara distinzione tra animali considerati "buoni" e quelli considerati "cattivi", ma questa percezione non sempre corrisponde al parere degli esperti e alla realtà scientifica. Questo semplice esempio evidenzia che serve cultura della biodiversità ma anche un nuovo linguaggio per rendere efficace le azioni sulla natura».
E tra le azioni future c’è anche quella di educare una nuova generazione di scienziati: «Grazie anche all’impiego di nuove tecnologie come la bio-robotica, l’intelligenza artificiale e le biotecnologie, Nbfc sta formando giovani ricercatori flessibili e aperti alla relazione con diversi stakeholder, permeabili all’impatto del contesto internazionale, oltre che in grado di adottare nuove tecnologie, come l’Intelligenza Artificiale o la Bioinformatica, capaci insomma di guardare alla biodiversità secondo modelli nuovi, un po’ meno antropocentrici e un po’ più sostenibili».
II report conclude: «Nel contesto attuale di cambiamento climatico, perdita di habitat, estinzione locale e globale delle specie, è fondamentale riconoscere il ruolo cruciale che la biodiversità svolge nel mantenimento del funzionamento del pianeta. L’Italia è tra i Paesi del Mediterraneo più ricchi di biodiversità e di specie endemiche. Questo va riconosciuto e valorizzato. Nonostante negli ultimi decenni la comunità scientifica nazionale e internazionale si siano dedicate allo studio della biodiversità e a proporre soluzioni efficaci per la conservazione, ripristino, monitoraggio e valorizzazione, mancava una struttura di coordinamento che da un lato raccogliesse e valorizzasse gli sforzi della ricerca e dall’altro rendesse accessibili le conoscenze e le tecnologie agli enti preposti ad agire sul territorio. NBFC ha interpretato tale esigenza connettendo oltre 2000 ricercatori e ricercatrici provenienti da centri di ricerca, università e imprese, sul tutto il territorio nazionale, per realizzare azioni di ricerca applicata e di innovazione dedicate alla biodiversità del Mediterraneo per creare valore per il nostro Paese. La dimensione di sfida nell’ambito del PNRR si è tradotta con il più ambizioso programma mai tentato dallo Stato italiano per sostenere la ricerca e l’innovazione nell’ambito della biodiversità. Gli investimenti nel settore della biodiversità, sostenuti dal PNRR, mirano a produrre un ritorno tangibile, sia in termini di biodiversità (Return on Biodiversity), sia economico (Return on Investment). Questo si traduce in benefici duraturi per l'ambiente e per la società, creando un modello di sviluppo che valorizza la nostra natura, cercando in questa nuovi modelli per produrre senza inquinare, imparando dalla biodiversità a rigenerare le risorse naturali per una crescita sostenibile. Investire in biodiversità deve generare ricchezza in misura trasversale e in ogni comparto economico, incidendo su condizioni di povertà ambientale/energetica. La sfida non è banale. Parafrasando il termine "Moonshot", ripreso dalla famosa sfida Apollo che portò l'uomo sulla luna e simboleggia imprese audaci e tecnicamente complesse che si propongono di raggiungere obiettivi che sembrano irraggiungibili, "non stiamo monitorando, preservando, ripristinando e valorizzando la biodiversità perché è facile, lo facciamo perché è difficile". Ma tutto questo ha un senso solo se ci assicuriamo che duri nel tempo».