L’importanza della Casa di Sabbia per la biodiversità costiera del Mediterraneo
Lo studio “Sandy bottoms have limited species richness but substantially contribute to the regional coastal fish β-diversity: A case study of the Central Mediterranean Sea”, pubblicato su Marine Environmental Research da un team di ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN), del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’università di Palermo, stima della biodiversità come uno degli aspetti chiave per descrivere e preservare gli ecosistemi ed il loro funzionamento e ne emerge che «Gli habitat rocciosi sono quelli che ospitano il maggiore numero di specie ittiche, seguiti dalle praterie di Posidonia oceanica e poi dalle aree sabbiose. Ma le specie presenti in queste ultime sono in gran parte uniche, esclusive e caratterizzanti per questo habitat e contribuiscono significativamente alla diversità complessiva dell’ambiente marino costiero, con un contributo elevato alla β-diversità (intesa come il grado di differenza tra le specie presenti nei diversi habitat)».
Antonio Di Franco, primo ricercatore della SZN ricorda che «Le strategie di protezione degli ambienti costieri generalmente si focalizzano su habitat rocciosi, che ad esempio ricoprono una percentuale considerevole delle zone a protezione più elevate nelle Aree Marine Protette. I risultati di questo studio ci dicono che al fine di proteggere efficacemente la diversità ittica dobbiamo considerare anche altri habitat generalmente negletti, e che invece rappresentano degli elementi chiave nel supportare la biodiversità costiera»
Alla SZN sottolineano che «La biodiversità degli ecosistemi marini, in particolare, e la distribuzione delle specie è influenzata da innumerevoli fattori che interagiscono tra loro. Negli ultimi decenni è stata osservata una riduzione della biodiversità, con conseguenze su interi ecosistemi e sui servizi ecosistemici che sono alla base del vivere comune di tutti i popoli che abitano il pianeta. Sorprendentemente anche per ambienti marini generalmente accessibili come gli ecosistemi costieri, e per gruppi di specie macroscopiche e potenzialmente facilmente osservabili come i pesci, le stime di biodiversità sono limitate, specialmente per alcuni ambienti poco studiati come le aree sabbiose ed in misure minore le praterie a Posidonia oceanica, dove solo pochi dei tanti studi effettuati sono stati focalizzati sulle specie ittiche associate».
Il nuovo studio è stato condotto proprio per colmare questo gap di conoscenza e riguarda la caratterizzazione della diversità della fauna ittica in tre ambienti (aree rocciose, praterie di Posidonia ed aree sabbiose) ed a valutare il contributo di questi habitat alla diversità ittica complessiva dell’ecosistema marino costiero. Per questo è stata realizzata una campagna che ha coinvolto numerosi operatori scientifici subacquei che hanno identificato e quantificato in immersione l’abbondanza delle specie ittiche costiere in 62 siti lungo le coste calabresi. I ricercatori spiegano che «La Calabria è stata scelta come area di studio in quanto è una regione le cui coste sono bagnate da mari diversi quali il Tirreno, lo Ionio e lo Stretto di Messina. Queste coste risultano essere ancora poco studiate e conosciute, nonostante il potenziale che hanno come possibile habitat per molte specie Mediterranee».
Per quanto riguarda le singole specie, quelle che contribuiscono maggiormente a creare le differenze tra gli habitat sono soprattutto quelle che abitano esclusivamente ambienti sabbiosi (quali ad esempio il pesce pettine, il rombo e la tracina). Lo studio ha inoltre consentito di identificare dei fattori che influenzano la diversità della fauna ittica, ed in particolare, oltre l’habitat, anche la salinità e la temperatura.
I ricercatori fanno notare che «Lo studio quindi complessivamente ha messo in luce il ruolo rilevante degli habitat sabbiosi per la struttura della diversità ittica costiera, ed ha identificato dei fattori strutturanti la diversità, fornendo quindi delle informazioni rilevanti al fine di gestire e conservare gli ambienti marini. Queste informazioni possono contribuire a raggiungere gli obiettivi di conservazione e gestione marina come definito dagli accordi internazionali».
Il principale autore dello studio, Enrico Cecapolli del Cnr, ricorda a sua volta che «Nei prossimi anni è stato richiesto a livello internazionale un aumento della percentuale di aree protette ad almeno il 30% dei mari ed oceani nel mondo. La protezione consapevole del mare passa però da una conoscenza più approfondita degli organismi e degli ecosistemi che lo compongono. E’ quindi fondamentale iniziare questo lavoro anche da zone costiere non ancora studiate, considerandole nella loro interezza ed eterogeneità, al fine di ottenere un quadro più completo sul loro potenziale»
Antonio Calò dell’università di Palermo conclude: «Molti habitat marini, spesso trascurati, potrebbero essere fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi e per i beni e servizi che ne ricaviamo. La maggior parte degli ecosistemi marini rimane ancora poco conosciuta o ricade in zone quasi del tutto inesplorate, e la loro biodiversità potrebbe essere già stata compromessa senza che ce ne rendessimo conto. È essenziale approfondire la conoscenza di questi ambienti per poterli proteggere efficacemente».