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Intervista a Enrico Giovannini, direttore scientifico ASviS

Tenere i nervi saldi. Il Green deal non finisce con Trump o i suoi dazi, e offre una grande opportunità all'Europa

«Quando vengono minacciati interessi consolidati nascono campagne contro la transizione ecologica, che vanno contrastate attraverso informazioni corrette»
 |  Interviste

In questa intervista Enrico Giovannini, direttore scientifico dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), analizza l'impatto delle politiche di Trump sulla sostenibilità globale, evidenziando contraddizioni tra scelte politiche e dinamiche di mercato favorevoli alla transizione energetica. Discute anche la necessità di un'Europa più integrata per affrontare le sfide globali, con investimenti in innovazione e sostenibilità, e affronta il futuro dell'auto elettrica, le soluzioni per calmierare i prezzi energetici in Italia e l'importanza di accelerare sulle rinnovabili. Infine, analizza il ruolo della disinformazione sui temi ambientali e la qualità dell'informazione in Italia.

Intervista

Lo stop annunciato al Green New Deal, il passo indietro sull’elettrico, il ritiro dall’Accordo di Parigi unito al “drill, baby, drill”: quanto il secondo mandato di Trump inciderà sullo sviluppo sostenibile?

«Distinguiamo tre dimensioni principali. La prima è quella ambientale, che è la più strettamente legata alle scelte politiche. Non c'è dubbio che le dichiarazioni di Trump avranno impatti sulle decisioni delle imprese, in quanto alcune potrebbero decidere di rinviare determinate azioni, cercando di non apparire più come protagonisti del Green Deal che il nuovo Presidente ha dichiarato “morto”. Tuttavia, è importante ricordare che durante la prima presidenza di Trump, nonostante la sua decisione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi, gli Stati Uniti hanno registrato un record storico di installazione di energie rinnovabili e di chiusura delle centrali a carbone. Questo dimostra che il mercato va, e andrà, dove vuole, quindi nella direzione delle rinnovabili.

Inoltre, l'amministrazione Biden, con l’Inflation Reduction Act, ha stimolato investimenti significativi in questo settore, e come mostrano anche le ultime notizie, molti governatori, compresi quelli repubblicani, sono determinati a rispettare gli impegni presi per l'installazione di rinnovabili. È probabile che alcuni nuovi progetti vengano rallentati, ma credo che, tra quattro anni, i dati dimostreranno una forte crescita della quota di rinnovabili negli Stati Uniti, con progressi nell'installazione di tecnologie come l'eolico offshore e i sistemi di stoccaggio dell'energia.

Tuttavia, Trump si trova di fronte a una sfida: mantenere la promessa di tenere bassa l'inflazione. Un eventuale aumento dei dazi potrebbe far lievitare i prezzi e per evitare che questo venga percepito dai cittadini americani il Presidente potrebbe decidere di usare i fondi derivanti dai dazi per ridurre artificialmente il costo dell'energia per cittadini e imprese americane. Questo, a parità di altre condizioni, rischia di rallentare l'orientamento del mercato verso il risparmio e l’efficienza energetica, con implicazioni rilevanti.

Passando a una seconda dimensione, quella sociale, non c’è dubbio che gli ordini esecutivi di Trump riguardano diversi Obiettivi dell’Agenda 2030, come la lotta alla povertà, il miglioramento del sistema educativo e sanitario, il rafforzamento dei diritti e dell'uguaglianza. È probabile che le politiche trumpiane possano avere effetti di lungo termine molto più negativi su questi aspetti fondamentali per il benessere degli americani.

Un ultimo aspetto significativo riguarda la recente decisione di bloccare i fondi federali destinati agli aiuti internazionali, per riorientarli a scopi interni. È sorprendente leggere la circolare inviata alle Agenzie federali, in cui si afferma chiaramente che gli Stati Uniti vogliono smettere di "sprecare” denaro in aiuti allo sviluppo che non giovano direttamente ai cittadini americani. Questo, insieme a una politica estera più votata al bilateralismo rispetto al multilateralismo, potrebbe avere impatti negativi sullo sviluppo sostenibile globale».

Intanto banche e imprese hanno già fatto marcia indietro sul net zero…

«È vero che diverse banche e imprese finanziarie hanno deciso di uscire dall'accordo sul Net Zero, ma non credo che smetteranno di offrire strumenti ESG alla propria clientela. Va ricordato che, in termini di voto popolare, Trump ha ottenuto poco più del 50% dei consensi, il che significa che metà degli elettori, anch’essi risparmiatori e investitori, ha opinioni molto diverse. Per questo motivo, non penso che realtà come BlackRock e altre istituzioni simili smetteranno di offrire prodotti legati agli investimenti sostenibili. Se invece dovessero farlo, si aprirebbe una straordinaria opportunità per le case di investimento europee, che potrebbero colmare questo vuoto. Tuttavia, ritengo che questa eventualità sia poco probabile, anche se la corsa delle grandi società americane (compresa Meta) ad allinearsi al nuovo corso politico è stato sorprendente e molto deludente, anche sul piano culturale».

Quale dovrebbe essere la risposta dell’Europa? E in che modo le decisioni europee possono influire sui rapporti con gli Stati Uniti e altre potenze globali?

«Le divisioni politiche che emergono in Europa possono avere effetti molto negativi, soprattutto di fronte alle politiche trumpiane e al consolidamento della forza economica della Cina. In risposta a queste sfide, l'Europa dovrebbe compiere un salto decisivo verso una maggiore integrazione. Questo implica un bilancio federale più robusto, il superamento del potere di veto degli Stati su alcune materie e una capacità di negoziare alla pari con gli Stati Uniti. In sostanza, sarebbe necessario un significativo salto di qualità. Tuttavia, la debolezza politica in Francia e Germania, almeno fino alle prossime elezioni, rappresenta un freno a questo processo. Inoltre, la presenza di governi dichiaratamente populisti o sostenuti, come in Italia, da forze politiche storicamente contrarie al rafforzamento dei poteri europei, potrebbe rallentare ulteriormente tale processo.

L'Europa ha quindi una grande opportunità di crescere politicamente ed economicamente, ma la vera sfida inizierà dopo le elezioni tedesche di marzo, quando sarà fondamentale capire quale orientamento prevarrà in quel Paese, che pure ha tanti problemi interni. Per ora, è difficile esprimere un giudizio definitivo sul futuro dell'Europa, ma dal punto di vista della razionalità economica, politica e culturale, l'Unione europea non dovrebbe temere il confronto. Anzi, dovrebbe reagire con maggiore coesione, applicando i principi sanciti nei suoi Trattati e non temendo eventuali sanzioni americane, o preparandosi a rispondere in modo adeguato. Non dobbiamo mai dimenticare che l’Europa è il più grande mercato del mondo».

Ursula Von der Leyen nel suo discorso tenuto a Davos in occasione del World Economic Forum ha dichiarato che siamo in “una nuova era di dura concorrenza geostrategica”. La pensa allo stesso modo?

«Condivido questo punto di vista e noto che l'Europa, in questa fase particolare, ha molti interessi comuni con la Cina (per esempio diventare autonoma sul piano energetico, cosa che gli Stati Uniti sono), da sviluppare con attenzione, mantenendo sempre la tutela dell'indipendenza europea. Lo stesso vale per l'Africa. Nei rapporti ASviS abbiamo sottolineato come sarebbe vantaggioso per l'Europa creare un nuovo debito comune, un po' come il "Next Generation EU", per finanziare massicci investimenti in Africa. Se l'Africa non intraprende un percorso di sviluppo sostenibile, cosa che al momento non sta accadendo, sarà l'Europa a pagare le conseguenze maggiori, sia in termini di migrazioni sia di opportunità economiche e occupazionali perse. Perciò, è essenziale rafforzare questo sistema multipolare, in cui l'Europa investe anche risorse consistenti coerentemente con le proprie priorità strategiche».

Su cosa deve basarsi il piano europeo chiamato “Bussola per la competitività” per andare nella giusta direzione?

«Come ha sottolineato Draghi nel suo documento sul futuro della competitività europea, la competitività non è un obiettivo in sé, ma uno strumento fondamentale per garantire benessere, occupazione di qualità, investimenti nella transizione ecologica e per mantenere e migliorare i nostri sistemi di welfare. Il piano che la Commissione europea ha appena approvato prevede una serie di iniziative per stimolare la competitività, purtroppo senza indicare quali e quante risorse verranno destinate a tale scopo.

Vorrei sottolineare che sarebbe un grave errore pensare, come alcuni pensano, che la transizione ecologica e la competitività siano in opposizione anziché in sinergia. Con l’ASviS lo abbiamo dimostrato chiaramente nel Rapporto di primavera dello scorso anno, in cui abbiamo evidenziato che, se trattiamo la transizione energetica come un impegno separato da quello orientato all’innovazione a tutto campo, i costi complessivi potrebbero superare i benefici. Al contrario, se investiamo a fondo nella competitività e nell'innovazione, il risultato netto sarà positivo per il mondo, per l'Europa e per l'Italia. Per questo motivo, l'innovazione (non solo quella tecnologica, ma anche quella sociale) è cruciale per il futuro delle nostre economie e delle nostre società: non solo è indispensabile per la transizione ecologica, ma può anche stimolare la crescita economica, creare occupazione di qualità e favorire il cambiamento nei nostri sistemi economici e sociali. Speriamo che l'Europa si muova rapidamente in questa direzione. In questo contesto, la questione dei finanziamenti e del nuovo bilancio per il periodo 2028-2034 è assolutamente fondamentale».

Veniamo a un tema che sta facendo discutere l’intero Occidente. Trump ha dichiarato che non ci sarà nessun bando dei motori inquinanti; in Europa forze, perlopiù di destra, si oppongono alla data limite del 2035 per il blocco alla vendita di auto inquinanti al tubo di scappamento. Una posizione condivisa anche dal nostro governo. Il tutto mentre la filiera automotive italiana continua a essere in crisi. Quale futuro per l’auto elettrica? 

«È importante ricordare che negli Stati Uniti ben 15 Stati hanno fissato il divieto per la vendita di auto nuove a motore endotermico a partire dal 2035. In questo senso, l'Europa ha fatto scuola, influenzando non solo molti stati americani, ma anche altre nazioni nel resto del mondo. Infatti, numerosi paesi hanno già stabilito scadenze simili per il 2030, 2035 o 2040. La tendenza globale è chiara e corretta: il futuro della mobilità è elettrico e le tecnologie esistenti lo confermano. Nessuno mette veramente in discussione questa direzione, neppure le case automobilistiche.

Molti poi si chiedono perché è stato scelto proprio il 2035? La risposta è in realtà semplice: in Europa il tasso di ricambio del parco auto è tipicamente di otto anni. Questo significa che due cicli di rinnovo equivalgono a 16 anni, e partendo dal 2019, anno in cui è stata decisa la messa al bando, si arriva al 2035. Non è dunque una data arbitraria. Quando ero ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, con il governo Draghi, ho parlato con tutti i produttori, che mi hanno detto chiaramente: "Basta che ci date una data e noi ci adeguiamo".

Il punto cruciale di questa discussione, dunque, è che se si vuole rinviare il bando ai motori inquinanti occorre farlo di almeno otto anni. Ma, mi chiedo, che senso ha rinviare il tutto al 2043 quando gli obiettivi di decarbonizzazione devono essere raggiunti entro il 2050?

Alla luce di questa considerazione, secondo me, la discussione aperta tra produttori e Commissione europea riguarda principalmente il rinvio delle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni in questi anni (o addirittura la loro cancellazione), senza però mettere in discussione l’obiettivo del 2035. Ovviamente, è necessaria l'accelerazione degli investimenti nelle infrastrutture di ricarica e in altre aree cruciali della filiera, il che sarebbe decisamente auspicabile. D’altra parte, anche su questo le tendenze del mercato europeo sono piuttosto evidenti: i consumatori stanno scegliendo principalmente auto ibride, passo intermedio verso la scelta dell’elettrico nel prossimo ciclo di rinnovo, soprattutto a fronte dell’atteso calo dei prezzi e dell’arrivo sul mercato di auto elettriche (prevalentemente cinesi) a basso prezzo. Non a caso molti giovani rinunciano a prendere la patente e se interrogati a proposito del loro desiderio di avere un’auto pongono la condizione che sia elettrica».

I prezzi energetici delle bollette italiane torneranno a salire in questo inverno, e ciò avviene soprattutto per la nostra dipendenza dal gas. Cosa dovremmo fare per calmierare i prezzi?

«Bisogna accelerare davvero sulle rinnovabili, correre come non abbiamo mai fatto prima. I dati del 2024 mostrano già un miglioramento significativo, ma c'è ancora moltissimo da fare. È fondamentale discutere con i produttori e i gestori del mercato per trovare strumenti che fissino i prezzi in modo da spingere verso la transizione energetica. Non dimentichiamo che gli altissimi costi dell’energia hanno stimolato molte misure di risparmio energetico nelle imprese e nelle famiglie. È quindi importante che i nuovi assetti di mercato continuino a spingere in questa direzione e verso l'uso di energie rinnovabili, ovviamente tenendo presente le particolarità settoriali: in alcuni comparti produttivi, le tecnologie esistenti permettono già un ampio uso delle rinnovabili, mentre in altri (per esempio quelli a ciclo produttivo continuo) è ancora necessario usare gas e altri combustibili fossili.

Infine, riguardo al tema delle bollette e degli incentivi per l'uso dei nuovi impianti a basso impatto ambientale, in particolare per le famiglie, il Piano Strutturale di Bilancio non prevede fondi per l’attuazione della direttiva europea sulle "case green", e questo è un serio problema. Al di là della questione degli impianti industriali, infatti, dobbiamo pensare seriamente a un programma di supporto per l’efficientamento energetico del settore residenziale, come evidenziato anche nell’ultimo Rapporto ASviS».

Mentre le rinnovabili non crescono abbastanza il governo vara la sua strategia sul nucleare. Può essere una soluzione per l’Italia?

«La questione dipende dal tipo di nucleare di cui stiamo parlando e dal momento in cui si intende investire. Se parliamo di investire in ricerca e sviluppo per la fusione nucleare, certamente sì, sarebbe la soluzione a molti problemi. È quindi fondamentale continuare a investire in questa direzione. Per quanto riguarda la fissione, dobbiamo ricordare che per il 2030, gli eventuali investimenti in questa tecnologia non darebbero risultati tangibili. Al 2050 potrebbero, ma ci sono ancora ostacoli significativi. I reattori nucleari small modular (SMR) di quarta generazione devono ancora essere sviluppati, resi economicamente competitivi e commercializzati. Inoltre, esiste un grande problema legato alla loro collocazione sul territorio nazionale: tutte le regioni hanno praticamente rifiutato l'installazione di depositi di scorie nucleari, nonostante anni di studi per individuarne la collocazione ottimale.

Insomma, meglio investire per accelerare le rinnovabili e installare i nuovissimi sistemi di accumulo dell’energia da esse prodotta. Infatti, se il problema dello stoccaggio venisse risolto, anche grazie a tecnologie italiane, e molti ritengono che sia già in parte risolto, il nucleare non sarebbe la scelta corretta, in quanto molto più costoso e problematico delle rinnovabili. In sostanza, in un mondo che evolve così rapidamente, la priorità deve essere l'investimento nelle rinnovabili, compreso il riuso dei materiali, per ridurre, per esempio, la dipendenza dalle terre rare. Anche in questo campo, l'Italia ha delle eccellenze».

Il Global Risks Report 2025 pone le questioni ambientali tra i maggiori rischi globali che corriamo nei prossimi dieci anni. Il più grave previsto per i prossimi due anni, invece, fa riferimento alla disinformazione e alla misinformazione (diffusione di notizie false in modo involontario). Quanto sono collegate le cose e come giudica la qualità dell’informazione italiana su questi temi?

«Ormai esistono numerosi rapporti che dimostrano come la disinformazione sulle questioni climatiche sia stata una strategia perseguita da interessi legati principalmente al settore oil and gas, ma anche da gruppi politici. Un rapporto recente mostra come lo sviluppo dei movimenti anti-green sia stato più forte proprio nei luoghi dove i movimenti green hanno fatto maggiori progressi. Questo ci insegna due cose: da un lato, le politiche ambientali devono integrare la questione dell'informazione e della valutazione dei propri impatti fin dall'inizio, e non considerarle come una riflessione successiva. Dall'altro, quando vengono minacciati interessi consolidati, spesso nascono campagne più forti contro la transizione ecologica, che vanno contrastate attraverso informazioni corrette.

Ma la disinformazione viene utilizzata su vari temi, dalla sicurezza alla lotta contro le discriminazioni, anche dai politici. Sono temi che avevo trattato già nel mio libro del 2014 “Scegliere il futuro”. La qualità dell'informazione giornalistica in Italia su queste tematiche è molto variabile e, se posso dire, volubile, in base anche ai cicli politici. È chiaro che c'è una crescente esigenza di maggiore competenza e approfondimento, ma anche una percezione, da parte di alcuni editori, di dover lottare contro le fake news. In sostanza, non solo si può fare meglio, ma bisogna farlo. Quello su cui bisognerebbe concentrarsi di più, al di là dei singoli temi, è aiutare le persone a "connettere i puntini". Per esempio, comprendere che il futuro dell'Africa è strettamente legato alla transizione ecologica globale, ma anche alle migrazioni e quindi al futuro dell’Europa. In sintesi, riuscire a far comprendere meglio queste connessioni, in modo chiaro per il pubblico, è qualcosa su cui i media dovrebbero investire maggiormente».

Chiudiamo con un auspicio per questo anno da poco iniziato.

«Tenere i nervi saldi».

 

I prossimi appuntamenti dell’ASviS 

Martedì 4 febbraio, alle ore 16.30, si terrà presso CEOforLIFE ClubHouse Montecitorio a Roma e in diretta streaming sui canali dell'ASviS, l’evento di presentazione del nuovo Quaderno ASviS “Il diritto del lavoro e il ruolo della contrattazione collettiva per lo sviluppo sostenibile”.

Il 21 febbraio l’ASviS Live sulla Costituzione a tre anni dalla riforma. Un dibattito tra esperte ed esperti per discutere su come tradurre in politiche il principio di giustizia intergenerazionale inserito nella Carta, anche in coerenza con il Patto sul futuro. Qui il programma dell'evento, che sarà reso disponibile in diretta streaming anche su greenreport.

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'ambiente e dello sviluppo all’Università di Siena, dopo diverse esperienze nel mondo del giornalismo ambientale e scientifico entra a far parte del Segretariato e della redazione dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), dove è anche referente del Gruppo di Lavoro sugli SDGs 6-14-15 (acqua, ecosistemi marini e terrestri). Collabora con una serie di testate tra cui QualEnergia, L'Ecofuturo Magazine e Giornalisti nell'Erba. Ritiene che lo sviluppo sostenibile sia la strada da seguire per la massimizzazione del benessere collettivo. Sul sito https://ivanmanzo.it/ è presente una raccolta (in continuo aggiornamento) degli articoli a sua firma.