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Servono investimenti per i trasporti, in Toscana luci e ombre

Troppi ancora scelgono l’auto

Legambiente sarà alla manifestazione dei pendolari del 2 febbraio. Intervista a Lorenzo Cecchi, responsabile Mobilità sostenibile di Legambiente Toscana
 |  Interviste

Domenica 2 febbraio 12 amministrazioni comunali toscane e 2 emiliane saranno in piazza, a Borgo San Lorenzo, insieme a CGIL CISL UIL alle associazioni di categoria per protestare contro i disservizi di una linea ferroviaria (in questo caso la Faentina). È forse la prima volta di un fronte così ampio. Almeno questa è una buona notizia, qualcuno ci crede ancora a un servizio pubblico efficiente.

«Ci saremo anche noi di Legambiente in questo fronte ampio dell’iniziativa sulla Faentina – spiega a greenreport Lorenzo Cecchi, responsabile Mobilità sostenibile di Legambiente Toscana –, che in modo costruttivo cercherà di riaccendere un faro su una linea importante che da troppo tempo non riceve l’attenzione e la cura che merita. Riqualificare e potenziare le linee ferroviarie regionali, e in particolare alcune direttrici importanza interregionale come la Faentina, la Pontremolese e la Porrettana, dovrebbe rientrare tra le priorità, sia per garantire un servizio pubblico efficiente alle tante persone coinvolte, sia per fornire un’alternativa concreta all’uso dell’auto privata, in coerenza con gli obiettivi europei e nazionali sulla decarbonizzazione dei trasporti (Fit for 55, PNIEC)».

Intervista

Detto ciò, anche in Toscana problemi e ritardi sulla linea ferroviaria non mancano. Pendolaria se si può così riassumere assegna alla Toscana una sufficienza scarsa, lontana dai disastri del sud ma anche da quello che potrebbe e dovrebbe essere.

 

Sì, il rapporto Pendolaria ci consegna un ritratto in chiaroscuro delle ferrovie toscane, con dati generali ancora positivi per numero ed età media dei convogli rispetto alla media nazionale, ma anche molte, troppe situazioni negative, specie su alcune linee come Firenze-Pisa, Firenze-Arezzo, Siena Grosseto. I dati sugli indici di affidabilità specie negli ultimi mesi dell’anno sono stati davvero preoccupanti. E se certamente uno dei fattori è la presenza di diversi cantieri in parte finanziati dal PNRR, destinati in prospettiva ad apportare migliorie alla rete (compresa l’implementazione del sistema di segnalamento ERTMS in alcune tratte), questo non basta a spiegare frequenza ed entità dei disagi che su alcune linee si stanno verificando.

 

I pendolari non hanno mai smesso di usare il treno, per necessità spesso, per scelta a volte. Ma ancora non siamo tornati ai numeri del 2019 e men che mai a quelli del 2009. Cosa manca?

Quelli citati sono due spartiacque cruciali nella storia recente del trasporto pubblico, ben visibili anche nei grafici che mostrano le variazioni annuali di passeggeri e pax*km: la prima ovviamente la pandemia del 2020, che ha spostato sul mezzo privato molte persone che poi non sempre hanno scelto di tornare alla precedente abitudine, complice la sfiducia nei mezzi pubblici che tutte le difficoltà degli ultimi tempi contribuiscono ad alimentare ulteriormente. Eppure in moltissime tratte l’uso del treno, dell’autobus, del tram, resta anche oggi il modo più rapido comodo ed economico per spostarsi.

L’altra data “nefasta” è il 2010, anno in cui il governo Berlusconi decise di tagliare drasticamente (40%) il Fondo Nazionale Trasporti, ridimensionando quindi la capacità di investimento del settore, che non è poi mai stato rifinanziato in modo da tornare agli standard precedenti.

Mancano quindi investimenti, ma soprattutto talvolta manca la capacità di concentrarli sulle reali esigenze dell’utenza, su una capillare quanto necessaria “ricucitura” del tessuto ferroviario fatta di raddoppi, elettrificazioni, passanti (V. Sinalunga), potenziamenti e velocizzazioni di linee esistenti, piuttosto che in grandi opere, talvolta anche di discutibile utilità. In prospettiva sarebbe importante anche il recupero di alcune linee ferroviarie sospese o dismesse, perché un servizio di trasporto pubblico sufficiente andrebbe garantito anche in quei territori che per bacino d’utenza non garantiscono la redditività delle corse, almeno nell’immediato.

Le Regioni, non tutte allo stesso modo per la verità, spendono molto per il trasporto pubblico. Per la Toscana è la seconda voce di spesa nel bilancio. Per quanto riguarda il trasporto ferroviario il rapporto con il gestore è regolato da un contratto di servizio. È uno strumento appropriato? Tutela davvero i viaggiatori?

In questa edizione 2025 a dire il vero la Regione non ha reso disponibili nel dettaglio i dati di spesa nel settore per il nostro rapporto Pendolaria. In ogni caso si tratta certamente di un impegno economico importante, ma credo necessario. Lo strumento del contratto di servizio non ha molte alternative, il problema è soprattutto come viene redatto allo scopo di disciplinare adeguatamente quantità e qualità del servizio; ciò che conta sono le condizioni stabilite dal contratto, e la conseguente capacità di garantirne il rispetto in modo rigoroso e puntuale.

Che il servizio sia concesso in affidamento diretto o messo a gara, il rischio che il contratto di servizio risulti uno strumento poco efficace c’è, e lo si è visto anche nella prima fase della gestione regionale del TPL su gomma, che per fortuna inizia a dare dei segnali di ripresa.

Non manca giorno che i pendolari non denuncino “l’inchino”, la sosta del treno regionale per far passare l’alta velocità. A parte che almeno nelle ore di punta questo non dovrebbe succedere resta il fatto che la stazione di SMN è congestionata. Con la nuova stazione sarà un’altra vita?

Sì, la consuetudine del c.d. “inchino”, se – come spesso accade - non costituisce uno strumento eccezionale ma una prassi consolidata, tanto più frequente a seguito della saturazione della linea AV, crea gravi conseguenze sulla puntualità e affidabilità dei treni regionali e InterCity.

La stazione e il sottoattraversamento AV, senza entrare nel dettaglio delle specifiche criticità dell’opera, comporteranno alcuni benefici alla mobilità complessiva se adeguatamente gestite, per via della liberazione di binari di superficie, ma solo fino alla stazione di Rovezzano, e non oltre. Purtroppo molte delle criticità più gravi insistono proprio nella tratta tra Rovezzano e il Valdarno, che non trarrebbe benefici diretti dall’opera, e che necessiterebbe di altre soluzioni infrastrutturali e soprattutto gestionali.

A proposito di AV, Toscana e Umbria si contendono la stazione Medio Etruria e anche il Mugello ne vorrebbe una. Quanto conta per il territorio avere una stazione dei treni veloci?

Le ipotesi valutate dal tavolo tecnico ministeriale per una stazione AV in linea per servire parte della Toscana meridionale e dell’Umbria erano essenzialmente quattro: Arezzo, Rigutino, Creti/Farneta, Chiusi.

L’ipotesi scelta della nuova Stazione AV a Creti, una vera e propria cattedrale nel deserto senza possibilità di interscambio “ferro su ferro” (richiesto anche dal Regolamento UE 1315/2023) , ci rende fortemente perplessi: adattare le stazioni esistenti di Arezzo e Chiusi permetterebbe di servire adeguatamente i territori interessati con l’Alta Velocità, e al contempo dirottare fondi importanti sulle linee regionali e IC.

Una stazione AV in linea ha senso se ci sono certe condizioni, altrimenti è più importante garantire la capillarità e l’efficienza della rete ferroviaria di adduzione alle Stazioni AV esistenti. L’esempio della stazione in linea “Mediopadana” di Reggio Emilia si può considerare virtuoso, perché adeguatamente posizionata e interconnessa, già l’analoga stazione di Afragola invece sconta un certo isolamento infrastrutturale.

L’80% dei pendolari fa viaggi nell’arco di 10 km, l’attrazione verso i centri urbani è evidente. Chi non prende il treno scende in auto e le città, Firenze lo farà con lo scudo verde, cercano di difendersi da questa invasione. È lo strumento giusto?

Questo fenomeno è in crescita, tra gli altri fattori anche per gli aumenti del mercato immobiliare e degli affitti, per cui sempre più persone si trasferiscono dalla città al comprensorio e oltre, ma spesso l’attività lavorativa e i servizi che restano in città, costringono al pendolarismo. Strumenti come lo Scudo Verde o l’Area B di Milano, già presenti da tempo in molte città europee, affiancati al potenziamento della rete di trasporto pubblico e dei servizi di sharing mobility, sono una soluzione necessaria, per quanto impopolare, per disincentivare l’uso del mezzo privato, soprattutto dei veicoli più inquinanti, che saranno i primi ad essere “bloccati”. A dire il vero a Firenze si tratta di una semplice e fin troppo timida applicazione di divieti di circolazione vigenti addirittura dal 2007 e disattesi, che ci auguriamo vengano gradualmente estesi, perché la tutela della salute di chi abita in periferia è importante quanto quella di chi abita all’interno dell’attuale ZTL.

È giusto poi che in futuro lo Scudo Verde non venga interpretato solo come uno strumento di protezione del singolo comune, e che si estenda il provvedimento in accordo con gli altri comuni dell’area metropolitana. Ma intanto era necessario partire e non procrastinare ancora, per mostrare almeno l’abbozzo di un modello alternativo di gestione della mobilità urbana.

Ci sarebbero anche i bus, la rivoluzione avviata con la gara regionale sta dando i suoi frutti?

Come accennavo in precedenza, la prima fase dell’affidamento del servizio su scala regionale ad Autolinee Toscane non è andata bene, e ha portato con sé gravi disservizi, in parte legati ad un’importante carenza di personale (che è un problema diffuso a livello non solo nazionale ma addirittura europeo).

L’azienda sta correggendo il tiro e attraverso l’acquisto di nuovi mezzi, le nuove assunzioni, e alcune novità come i sistemi di pagamento, si iniziano a vedere dei segnali di ripresa, che speriamo si consolidino nel 2025. Certamente però c’è bisogno di un salto di qualità, e in particolare i livelli del servizio in alcune aree della regione sono ancora insufficienti.

Chiudiamo con quella che per noi è una buona notizia, una nuova per ora piccola linea della tranvia che finalmente accede al centro di Firenze e soprattutto l’inizio dei lavori per quella che collegherà i due capi della città.

Legambiente è da sempre favorevole allo sviluppo della rete tramviaria, i cui punti forti sono la capienza e soprattutto l’affidabilità, dato che non dipende dalle variazioni del traffico veicolare. Ogni nuovo tassello aumenta in modo consistente il bacino d’utenza coinvolto, considerando anche la possibilità di interscambio modale del tram con gli autobus in adduzione, con i servizi di sharing mobility, o con bici e monopattini privati. Le alternative all’uso dell’auto privata continuano a crescere, serve in alcuni casi anche uno sforzo nel tentativo di cambiare le abitudini di mobilità da parte dei cittadini: a Firenze circa il 60% degli spostamenti quotidiani sono al di sotto dei 5 km, dunque facilmente effettuabili con bici, monopattini, mezzi pubblici, o anche a piedi. Sempre più spesso in città, usare l’auto è solo un’abitudine residuale e costosa, non certo il mezzo più veloce per spostarsi.

Ci auguriamo che sulla linea 3 si proceda nel rispetto dei tempi previsti, ma non possiamo non guardare con favore anche ai progetti di linee a servizio di Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, e il supposto tram-treno che collegherebbe anche Prato con Campi e l’Osmannoro. E ci auguriamo che anche a Pisa si proceda con lo sviluppo della rete tramviaria che si è iniziato a progettare. Certamente poi sui singoli progetti ci riserviamo di valutare aspetti specifici e fare proposte migliorative, perché la realizzazione delle tramvie costituisca anche uno strumento di riqualificazione delle aree coinvolte, con particolare attenzione alla realizzazione o mantenimento delle piste ciclabili, e alla minimizzazione degli abbattimenti di alberature (alcuni dei quali purtroppo necessari), e alla loro compensazione con un numero adeguato di nuove messe a dimora.

Maurizio Izzo

Giornalista, responsabile comunicazione di una azienda che si occupa di produzioni video, organizzazione di eventi, multimedia. Ho prodotto numerosi documentari sulla cooperazione internazionale.