Gli edifici sostenibili convengono. Ma in Italia oltre 8 abitazioni su 10 sono obsolete
Secondo i dati presentati al Well Regional Summit organizzato a Milano dall’International Well Building Institute (Iwbi), «Gli edifici privati che hanno adottato interventi per migliorare la salute e benessere di chi vi risiede ottengono affitti più alti del 7,7% rispetto ad equivalenti immobili privi dell’apposita certificazione, e raggiungono durate degli affitti più alte in media del 17,3%, 88 mesi contro 75, determinando così un aumento nel valore immobiliare sul mercato».
Rita Trombin, psicologa ambientale ed esperta di biophilic design della Sima - Società italiana di medicina ambientale ha spiegato che «la creazione di connessioni tra uomo e natura in ambienti confinati come case e uffici, denominata “architettura biofilica”, consente non solo di ottimizzare l'efficienza energetica, ma anche di aumentare in modo considerevole il benessere umano, migliorando la qualità della vita e riducendo lo stress: in ufficio aumentano fino al +25% la qualità delle performance dei dipendenti; a scuola la velocità di apprendimento degli studenti sale in media tra il +20% e il +26%, Benefici anche nel settore retail, dove gli ingressi dei clienti nei negozi che hanno adottato soluzioni “green” e più attente al benessere umano salgono fino al +28,8% e le vendite del 15-20%. E nelle strutture ricettive “sostenibili”, il tempo di permanenza degli ospiti sale fino al +36%».
Daniele Guglielmino, Ceo di Get Consulting e promotore dell’evento, ha sottolineato che «salute, benessere, inclusione ed equità sono i contenuti chiave, unitamente alla decarbonizzazione e al contrasto ai cambiamenti climatici, che la filiera immobiliare è chiamata a sviluppare nei nuovi interventi edilizi e urbani. Nel progettare spazi urbani sostenibili, l'integrazione dei principi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) e il focus sulla salute e il benessere degli utenti sono fondamentali per garantire ambienti resilienti e di alta qualità». Rachel Hogdon, Ceo di Iwbi ha detto che «il WellSummit di Milano è un’occasione unica per coinvolgere i leader italiani della filiera immobiliare e imparare dalle loro esperienze per costruire gli spazi del futuro». E, in un contesto come quello italiano, in cui oltre 8 edifici residenziali su 10 sono obsoleti, la redditività “verde” potrebbe essere un notevole incentivo per trovare tra gli 800 e i mille miliardi di euro di investimenti necessari per attuare la direttiva “Case Green” e riqualificare il patrimonio immobiliare nazionale.
A rivelarlo è un’analisi di Deloitte presentata nel corso dell’evento “Greenhouse Legislation: black hole or pink future per il Real Estate italiano?” e Claudio Scardovi, partner Deloitte responsabile per M&A e private equity, conferma che «Rendere la direttiva europea “Case Green” un’opportunità di crescita per il Paese è possibile. Per farlo, però, serve una soluzione sistemica capace di indirizzare le criticità patrimoniali ed economiche che la direttiva “Energy Performance of Buildings Directive” potrebbe far ricadere sui cittadini e sul sistema bancario in assenza di una strategia coordinata. Serve, dunque, un piano programmatico che coinvolga developer e costruttori, investitori istituzionali e retail e il sistema bancario, con il contributo mirato dello Stato, a supporto del “built environment” del Paese e di un settore strategico per la competitività e per il benessere di tutta l’Italia».
Secondo la rielaborazione di Deloitte da dati Istat, nel 2024 «il parco immobiliare italiano è costituito da più di 13 milioni di edifici, di cui circa l’89% ad uso residenziale. Gli immobili produttivi e commerciali rappresentano solo il 2% ciascuno del patrimonio complessivo, mentre gli edifici con altra destinazione d’uso corrispondono a circa il 7% del totale. Oltre l’83% degli edifici residenziali risulta costruito prima del 1990 – un dato leggermente più alto della media Ue (76%) – e più della metà (57%) è risalente a prima degli anni ‘70. L’obsolescenza degli edifici è considerata una delle principali cause di inefficienza energetica degli immobili ed è il motivo che ha spinto la Commissione Europea a promuovere la direttiva “Energy Performance of Building Directive”».
La nuova legislazione europea – che non piace per nulla alla presidente del consiglio Giorgia Meloni e al suo vice Matteo Salvini - entrerà in vigore il 28 maggio e stabilisce nuove misure che imporranno ai governi europei un miglioramento strutturale dell’efficienza energetica degli edifici per abbattere i consumi energetici e le emissioni di CO2. Deloitte ricorda che «L’obiettivo è tracciare un percorso per raggiungere un parco edifici neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050 tramite riduzione del consumo energetico, azzeramento delle emissioni, eliminazione delle caldaie alimentate a combustibili fossili e installazione di pannelli solari. Quanto alla sua attuazione, la Commissione prevede che ogni stato membro possa declinare la normativa sul proprio territorio in maniera autonoma, purché almeno il 55% del calo di energia derivi dalla ristrutturazione degli edifici con classi energetiche meno efficienti».
L’Italia degli abusi e dei condoni è strutturalmente molto indietro rispetto agli altri Paesi europei e il report stima che «Per riqualificare il patrimonio immobiliare degli edifici potrebbero essere necessari investimenti dagli 800 ai mille miliardi di euro. Se si analizza la percentuale di immobili di classe energetica F e G, infatti, si vede che in Italia gli edifici appartenenti a questa categoria sono oltre il 60%, mentre in Germania arrivano al 45%, in Spagna al 25% e in Francia appena al 21%».
Deloitte avverte che «senza una visione sistemica, la nuova direttiva europea potrebbe portare a una serie di impatti e rischi per le banche italiane. In primis potrebbe registrarsi un aumento dell’esposizione al rischio, con una potenziale svalutazione degli asset a garanzia delle banche e un impatto negativo sui Risk Weighted Assets (Rwa) delle banche e dei “loan to value” dei mutui erogati. Inoltre, potrebbe esserci una limitazione nell’erogazione del credito, con una stretta sulla vendita di prodotti finanziari associati a immobili con alti consumi energetici, alcuni dei quali diventeranno non più affittabili. Infine, c’è il tema di una possibile revisione delle regole Ue per le maggiori banche, che potrebbe avere un maggior impatto per quelle italiane, visto il contesto sistemico peggiore rispetto agli altri Paesi».
Angela D’Amico, real estate sector Leader di Deloitte Italia, conclude: «Il parco immobiliare residenziale italiano rappresenta circa il 55% della ricchezza complessiva delle famiglie Italiane. Per questo, è necessaria una strategia per far sì che la direttiva non si trasformi in un “buco nero”, ma, al contrario, diventi un’opportunità. Si tratta di un processo lungo e articolato che chiama in causa tutti i soggetti in campo – famiglie, imprese, banche e investitori istituzionali – e che deve essere affrontato sotto il profilo tecnico, giuridico e finanziario insieme. L’adeguamento del patrimonio immobiliare alle previsioni della direttiva Epbd richiederà, infatti, soluzioni tecniche non solo per i singoli edifici, ma anche a livello infrastrutturale. Renderà necessarie soluzioni giuridiche sia per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, sia per quelli connessi alla proprietà che, in ambito residenziale, in Italia è tra le più frazionate in Europa. Necessiterà, infine, del supporto di nuovi strumenti finanziari che, tuttavia, non potranno prescindere dalle dinamiche di mercato, già influenzate da molti fattori, tra cui quelli demografici e di trasformazione della società. Su queste basi, ciò che si prospetta è una grande opportunità per la trasformazione immobiliare».