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Sussidi ambientalmente dannosi, entro l'anno l'Italia dovrà tagliare almeno 2 miliardi di euro

Nel frattempo continuano a crescere, secondo le stime del Governo a quota 24,2 miliardi di euro l’anno
 |  Green economy

Dopo un lungo silenzio il ministero dell’Ambiente ha appena aggiornato al 2022 il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi, con relativa relazione alle Camere; anche se per legge (la n. 221 del 28 dicembre 2015) il Catalogo dovrebbe essere aggiornato ogni anno, a sbloccare la nuova edizione del rapporto ci ha pensato il Pnrr.

«Nell’ambito del processo di revisione del Pnrr per consentire l’integrazione degli obiettivi del RePowerEu, è stata approvata – spiega lo stesso ministro Pichetto – la nuova Missione 7 e la Riforma 2 perla riduzione dei Sussidi dannosi per l’ambiente (Sad) e il Catalogo è stato indicato quale riferimento tecnico per la consultazione dei dati. La Riforma pone un primo obiettivo di riduzione dei Sad al 2026 e un percorso di ulteriore graduale riduzione fino al 2030, a seguito di un’ampia consultazione con gli stakeholders. Nel percorso da qui al 2030, si dovrà sicuramente tenere conto anche di altri obiettivi europei in materia, quali ad esempio gli obiettivi di riduzione degli incentivi ai prodotti energetici. Le modifiche alla direttiva Iva, obbligherà i Paesi membri al phase out delle aliquote ridotte o delle esenzioni dell’Iva sui combustibili fossili o su altri beni aventi un impatto analogo sulle emissioni di gas a effetto serra entro il primo gennaio 2030 nonché sui pesticidi chimici e sui fertilizzanti chimici entro il primo gennaio 2032».

A che punto siamo? Per il 2022 il ministero censisce 55 Sad, che complessivamente pesano sulle casse dello Stato per 24,2 miliardi di euro: il 15% in più rispetto all’anno precedente, soprattutto a causa dei sussidi varati per fronteggiare l’improvviso aumento dei prezzi del metano sui mercati internazionali e la conseguente crisi energetica su famiglie e imprese, ostaggi del gas fossile.

Non essendoci una definizione condivisa a livello internazionale su questi sussidi, le stime sono comunque molto aleatorie; se il Governo parla di 24,2 mld di euro, per lo stesso anno il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima 63 miliardi di dollari, e Legambiente arriva a 94,8 mld di euro.

Comunque li si voglia conteggiare, è utile ricordare che i sussidi ai combustibili fossili – ovvero la larghissima maggioranza dei Sad – si suddividono in espliciti e impliciti. I primi rappresentano spese statali dirette a tenere artificialmente bassi i prezzi in favore dei consumatori, come nel caso dei sussidi contro il caro energia; i secondi – la larghissima maggioranza – sono invece una sottostima dei costi ambientali e sociali dei combustibili fossili (le cosiddette esternalità negative) e rinunce alla tassazione sul loro consumo.

Messa in quest’ottica, è evidente perché il taglio dei Sad sia un tema politicamente molto delicato, come mostra da ultimo la recente quanto sterile polemica tra Governo e opposizione sull’allineamento delle accise tra benzina e gasolio.

A fare chiarezza su questo punto è arrivato ieri anche l’Osservatorio dei conti pubblici italiani, riclassificando i Sad per far emergere quali sarebbero le categorie più colpite da un loro taglio: l’economista Enrico Franzetti mette in fila gli agricoltori, a cui vanno 1,7 miliardi come sconti su accise e Iva; gli autotrasportatori, col rimborso dell’accisa sul gasolio per 1,1 miliardi; le imprese manifatturiere (3,9 miliardi), che ricevono gratuitamente permessi di emissione di CO2, più qualche sconto di tasse sull’energia; le imprese che conferiscono rifiuti in discarica senza recupero di energia, che beneficiano di Iva agevolata per 0,9 miliardi; chi acquista abitazioni non di lusso, per prima o altre case, attraverso sconti sull’Iva (5,6 miliardi); chi consuma elettricità domestica nella prima casa (Iva al 10%: 3,1 miliardi); chi riceve come fringe benefit auto aziendali, che sono solo parzialmente tassate (1,2 miliardi); sussidi che riguardano il trasporto aereo, marittimo, ferroviario e su taxi (2,1 miliardi), in gran parte dovuto a convenzioni internazionali; nonché l’annosa minore accisa sul gasolio rispetto alla benzina (3,1 miliardi).

«I tagli ai Sussidi ambientalmente dannosi sono visti come ideali per finanziare nuove spese o riduzioni fiscali, grazie ai benefici ambientali. Tuttavia – sottolinea l’Osservatorio – è più facile proporli genericamente che specificare cosa tagliare e chi ne subirà le conseguenze. Ciò detto, qualche misura sarà necessaria per rispettare gli impegni del Pnrr e del Piano strutturale di bilancio».

In particolare, si evidenzia che la legge di Bilancio per il 2025 riduce di 25 milioni (fino a 120 milioni nel 2027) la sottotassazione dei fringe benefit per le auto aziendali e di 148 milioni il beneficio per le imprese che conferiscono beni in discarica. Soprattutto, come già accennato il Governo dovrà ridurre ancora i Sad perché «il Pnrr che prevede un taglio di almeno 2 miliardi entro dicembre 2025 e la definizione di un calendario per ridurre i sussidi di ulteriori 3,5 miliardi entro il 2030. Anche il Piano strutturale di bilancio di medio termine copre questo impegno, includendo il taglio di 3,5 miliardi nel raggiungimento di una riduzione complessiva di 7,3 miliardi delle spese fiscali, e prevede di riallineare la tassazione di gasolio e benzina».

Come praticamente ogni altro impegno sotto il profilo ambientale, se l’Italia potrà migliorare è dunque grazie all’input in arrivo dall’Europa. Ma affinché il taglio dei Sad sia davvero efficace, è necessario renderlo socialmente sostenibile.

La stessa Legambiente stila annualmente proposte di tagli specifici ai Sad – l’ultima verte sull’eliminare subito sussidi per 25,9 mld di euro, sui 78,7 censiti per il 2023 –, ma oltre a salvaguardare il profilo ambientale occorre però redistribuire il relativo gettito e lavorare a una complessiva riforma fiscale in senso progressivo. Gli spazi di manovra di certo non mancano.

Come documenta un recentissimo studio, presentato oggi su queste colonne dai ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del LMU di Monaco che l’hanno prodotto, in barba all’art 53 della Costituzione, ad oggi il sistema fiscale risulta regressivo per i contribuenti più ricchi, esacerbando le già elevate e crescenti disuguaglianze presenti nel tessuto economico del nostro Paese.

In particolare, lo studio propone una riforma organica della tassazione nazionale su reddito e/o capitale, dalla quale potremmo ricavare circa 26 miliardi di euro attingendo solo dall’1% più ricco della cittadinanza, trovando così un’importantissima fonte di finanziamento per la transizione ecologica del Paese, rendendola al contempo socialmente più equa e (dunque) più accettabile dalla popolazione.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.