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L’economia italiana è circolare al 20,8%? Dietro i nuovi dati Eurostat c’è di più

Il tasso di circolarità nel nostro Paese è arrivato a quasi il doppio della media Ue, ma non si tratta di uno specchio fedele della realtà
 |  Green economy

La movimentazione e l’utilizzo dei materiali contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di gas serra, ed è proprio in occasione della Cop29 sui cambiamenti climatici – in corso a Baku, Azerbaigian – che l’ufficio statistico dell’Unione europea ha aggiornato i dati sul tasso di circolarità del Vecchio continente.

Eurostat documenta che nell’ultimo anno (2023) il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (Cmu) è arrivato all’11,8%, in lievissima crescita rispetto all’11,5% registrato nel corso del 2022: si tratta della quota più alta mai registrata, per quanto ancora modesta.

In questa particolare classifica europea l’Italia svetta al secondo posto, con un tasso di circolarità pari al 20,8% (+0,2% in base ai dati revisionati), piazzandosi tra Paesi Bassi (30,6%) e Malta (19,8%). A rigor di logica, questo significherebbe che circa l’80% dell’economia nazionale non è circolare, in quanto non impiega materiali provenienti da riciclo. Ma in realtà il quadro è più complesso di quanto appare.

Come spiegato su queste colonne da Andrea Sbandati e messo in evidenza da un recente rapporto Assoambiente, il tasso di circolarità misura quanta parte dei complessivi flussi di materia impiegati dal nostro sistema economico – in totale oltre 500 mln di tonnellate di materie prime l’anno, il dato più alto da almeno un quinquennio – provengono dal riciclo dei rifiuti (urbani e speciali), ma lo fa considerando nei flussi di materia anche i combustibili fossili usati (che non possono per natura essere riciclati, ma solo bruciati) e il materiale stoccato in manufatti e beni (come opere, edifici, prodotti): per questo motivo le percentuali risultano così basse: in altre parole, se anche riciclassimo il 100% dei rifiuti, in Italia non supereremmo il 25% come tasso di circolarità.

Sarebbe dunque utile individuare nuovi e più efficienti indicatori per misurare – e guidare – lo sviluppo dell’economia circolare in Europa come nel nostro Paese, contribuendo così a chiarire i numerosi punti oscuri che ancora restano dietro i molteplici record di circolarità di cui l’Italia si fa vanto.

Qualche esempio? Ancora oggi non sappiamo neanche – come denunciano da tempo Legambiente e gli imprenditori della filiera – quanti rifiuti della maggiore frazione generata ogni anno, quelli da costruzione e demolizione, vengano effettivamente reimmessi sul mercato. Per dare un’idea del gap di cui si parla, secondo i dati Ispra il tasso di riciclo per i rifiuti da costruzione e demolizione si attesta nel 2021 all’80,1% (al di sopra dell’obiettivo Ue del 70%), ma le stesse imprese di settore rappresentate da Anpar e Nadeco informano che «poco più della metà dei rifiuti riciclati oggi viene effettivamente utilizzato».

Sullo sfondo di un contesto così ingarbugliato resta la razionalità della proposta avanzata dalla Federazione europea per la gestione dei rifiuti  (Fead) prima delle elezioni Ue di quest’anno, per chiedere al legislatore europeo – e dunque anche a quelli nazionali – una politica industriale in materia di economia circolare, che sappia partire da dati chiari per supportare davvero lo sviluppo della filiera, mettendo in campo anche i necessari incentivi per sostenere l’impiego dei materiali riciclati, a partire dalla plastica. Incentivi ad oggi di fatto assenti nel nostro Paese.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.