Al ministro del made in Italy non piace lo stop alle auto termiche al 2035
In vista del Consiglio Competitività del 26 settembre, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato in video conferenza il ministro dell'Industria e del Commercio della Repubblica Ceca, Jozef Síkela, un sovranista regionalista del partito Starostové a nezávislí, con il quale si è trovato in piena sintonia sulla necessità di rivedere la politica europea sull'auto. Urso ha poi illustrato i punti chiave della sua proposta di politica industriale europea per il settore dell’auto, che prevede tra l'altro di anticipare dalla fine del 2026 ai primi mesi del 2025 l’attivazione della clausola di revisione prevista dal “Regolamento in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli leggeri».
Proposta condivisa non a caso dall’European Automobile Manufacturers' Association, che raggu<ruppa le case automobilistiche europee che ancora una volta tentano di rallentare la transizione energetica e ambientale.
Una proposta che invece non piace per niente a Campagna Sbilanciamoci!, Filt Cgil, Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, Transport&Environment e Wwf che esprimono il loro dissenzo con un comunicato congiunto: «Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, si fa promotore in Europa di una richiesta che va contro qualsiasi logica ambientale, sociale e industriale. Posticipare lo stop alle auto termiche, fissato a livello europeo al 2035, o indebolire la normativa Ue per fare spazio ai biofuels di ENI, non solo rallenta la lotta alle emissioni climalteranti, in un momento storico in cui i cambiamenti climatici colpiscono duramente il Paese, ma determina confusione e incertezza nell’intero settore dell’automotive, con gravi conseguenze sulla competitività dell’industria europea e sulla stabilità della forza lavoro».
Secondo le organizzazioni firmatarie, «La mossa del Ministro Urso a Bruxelles è non solo dannosa, ma anche incoerente. Il governo di cui fa parte, lo stesso che in Europa fa la guerra all’auto elettrica, continua in Italia a spendere - in maniera inefficiente - miliardi di soldi pubblici per incentivare l’acquisto di auto meno emissive; e si impegna con la Cina tramite un memorandum di collaborazione industriale - dove la mobilità elettrica ha un ruolo di primo piano - firmato dalla premier Meloni e dal presidente cinese Xi Jinping lo scorso luglio. Ma perché all’industria di Pechino dovrebbe mai interessare insediarsi in un contesto apertamente ostile alla mobilità elettrica? Mentre giochiamo una partita perdente contro una tecnologia sulla quale investono tutte le maggiori economie mondiali, nei primi otto mesi di quest’anno l’automotive nazionale registra una riduzione della produzione di auto di oltre il 35%, con migliaia di lavoratori in cassa interazione. Al momento sono questi, e non altri, i traguardi conseguiti».
Sbilanciamoci!, Filt Cgil, Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, T&E e Wwf concludono: «Il ministro Urso e l’esecutivo Meloni sono chiamati a mostrare concretezza: se il loro intento è quello di garantire la stabilità del settore automotive e una prospettiva chiara e sostenibile all’industria europea, il loro impegno dovrebbe volgersi verso maggiori investimenti e sostegno al settore, accompagnando la transizione con misure di finanza pubblica, così come già suggerito dal report di Mario Draghi. La crisi dell'automotive italiana, sono i numeri a dirlo, comincia ben prima dell'auto elettrica e non ha alcun rapporto con quella tecnologia. Tenere fuori l'Italia dalla sfida della decarbonizzazione della mobilità vuol dire giocare con la pelle dei lavoratori, che non possono pagare per la miopia di chi, invece di investire nella transizione, la ritarda o la ostacola. Oggi, per quella miopia, sono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro, e condividiamo le preoccupazioni dei sindacati dei lavoratori del settore metalmeccanico che manifesteranno a Roma il prossimo 18 ottobre, e del settore autoferrotranvieri che sciopereranno il prossimo 8 novembre per il rinnovo del CCNL, bassi salari e risorse per il settore. L’unica strada giusta è quella che conferma e sostiene con valide azioni politiche i target europei di decarbonizzazione e riduzione di CO2. Il resto sono battaglie di retroguardia, inesorabilmente perdenti sul fronte del clima, dello sviluppo, dell’occupazione».