Con l’acciaio sostenibile -70% di CO2 entro il 2050 e 52 mila posti di lavoro: il report del Wwf
È possibile abbattere da qui al 2050 le emissioni di CO2 di circa il 70% e occupare 52 mila lavoratori. Come? Ripensando il settore siderurgico italiano. O, per dirla con il Wwf, seguendo «la via per l’acciaio sostenibile».
La domanda di acciaio in Italia va soddisfatta attraverso la produzione interna, non solo per ridurre la dipendenza dalle importazioni, ma anche per ragioni sociali in quanto il numero totale di dipendenti nel settore è di circa 70 mila addetti (che salgono a tre volte tanto, se si considerano le industrie correlate). La gestione di un impianto siderurgico integrato presenta però diverse sfide, la più importante delle quali è la futura domanda di energia e il conseguente aumento delle emissioni di gas climalteranti.
È partito da queste considerazioni, il Wwf, per arrivare poi a commissionare all’Università di Trieste un’indagine ad hoc su «criticità e opportunità» del settore dell’acciaio in Italia. Il report è stato presentato focalizzando l’attenzione sulla situazione attuale e sui tre scenari futuri che potrebbero verificarsi a seconda delle scelte che imprenditori e istituzioni compiranno in futuro. Ogni scenario prevede la stessa quantità di acciaio prodotta nel nostro paese, ovvero 25 milioni di tonnellate l’anno, derivanti per il 72% dalla fusione di rottame (in forni elettrici ad arco, EAF) e il 28% da produzione di acciaio primario. A seconda delle tecnologie utilizzabili, delle riduzioni complessive di gas climalteranti, degli investimenti richiesti e dei livelli occupazionali generabili, si realizzerebbe uno scenario più o meno desiderabile.
Lo Scenario definito «Conservativo» dai relatori che hanno presentato il report prevede una prospettiva a breve termine in cui si elimina l’uso del carbone, sostituito dal gas, con possibili azioni correttive consistenti nell’aggiunta della cattura e del riuso della CO2 alle tecnologie già presenti in Italia (ovvero altiforni BF-BOF e forni elettrici ad arco EAF). Nonostante ciò riduca in modo consistente le emissioni dirette, la riduzione complessiva di emissioni al 2050, pari a -10,02 milioni di tonnellate di CO2 (-53,37% rispetto al dato 2022 proiettato al 2050), risulta piuttosto limitata rispetto agli altri scenari di decarbonizzazione. Inoltre, l’effettiva riduzione è legata alla conversione della CO2 in prodotti utili che non riemettano la CO2 in un secondo momento e che rispettino tutte le condizioni imprescindibili previste dal Carbon Capture Use and Storage (Ccus). Gli investimenti annuali necessari ammontano in questo scenario a 1,478 miliardi di euro. Il costo livellato di produzione dell’acciaio (LCOP) potrebbe assestarsi intorno a 612,76 euro per tonnellata. L’occupazione si attesterebbe su 42.600 addetti impiegati nel settore siderurgico e circa 4.000 nel settore delle rinnovabili.
Lo «Scenario Prospettico» prevede una prospettiva a medio termine, che introduce modifiche sostanziali nei processi produttivi al fine di ottenere una decarbonizzazione completa del settore sul lungo periodo. La tecnologia BF-BOF verrebbe sostituita dalla tecnologia DRI (Direct Reduced Iron) basata sull’utilizzo del gas naturale (e possibilmente biometano), le cui emissioni di anidride carbonica verranno catturate e convertite in prodotti utili. L’energia elettrica necessaria ai vari processi produttivi deriverebbe sia da impianti di produzione di energia rinnovabile che dalla rete elettrica nazionale, che sarà sempre più decarbonizzata. Grazie al DRI la riduzione delle emissioni dirette sarebbe molto più consistente dello scenario conservativo, anche se sempre legata alla cattura della CO2 e al suo utilizzo appropriato. E ciò porterebbe ad un abbattimento delle emissioni complessive al 2050 di -12,735 MtonCO2 (-67,85% rispetto al dato 2022 proiettato al 2050). Gli investimenti annuali necessari sarebbero 1,845 miliardi di euro, piuttosto elevati a causa della necessità di accoppiare gli impianti DRI alla cattura della CO2. Il costo livellato di produzione dell’acciaio (LCOP) si stima intorno a 607,28 €/ton. Gli occupati sarebbero 39.400 unità nel settore siderurgico e circa 5.000 nel settore delle rinnovabili.
Lo «Scenario Auspicabile», infine, prevede una prospettiva a medio-lungo termine in cui l’acciaio primario sarebbe prodotto tramite la tecnologia DRI basata sull’utilizzo dell’idrogeno verde. Tutti i combustibili fossili verrebbero sostituiti da fonti rinnovabili equivalenti ed il mix energetico nazionale sarebbe basato principalmente su fonti decarbonizzate. Il carbonio introdotto nel sistema produttivo sarebbe principalmente di tipo biogenico, che non necessita della presenza di sistemi di cattura post-combustione. Le emissioni di CO2, in questo caso, sarebbero quindi legate principalmente alla componente indiretta che, ad oggi, non è ancora sufficientemente decarbonizzata e che quindi richiede uno sforzo congiunto da parte delle istituzioni sulle politiche energetiche e da parte delle aziende siderurgiche nell’autoproduzione di energia pulita, in modo da rendere questo scenario il più virtuoso sul lungo periodo.
In questo scenario, la riduzione delle emissioni complessive entro il 2050 sarebbe pari a quella dello scenario prospettico, ovvero -12,735 MtonCO2 (che corrispondono a -67,84% rispetto al dato 2022 proiettato al 2050), ma con la differenza sostanziale che tale riduzione potrà aumentare nel tempo di pari passo con l’aumento della percentuale di fonti decarbonizzate nel mix energetico nazionale. Gli investimenti richiesti sarebbero di 1,386 miliardi di euro all’anno, inferiori allo scenario precedente, poiché non sarà richiesta l’installazione di impianti di cattura della CO2. Il costo livellato di produzione dell’acciaio (LCOP) potrebbe invece assestarsi intorno a 621,61€/ton. Gli occupati faranno segnare quota 39.400 addetti nel settore siderurgico e più di 12.000 nel settore delle rinnovabili.
Alla presentazione del report hanno partecipato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia di Wwf Italia, e i professori Andrea Mio, dipartimento di Ingegneria e architettura, Romeo Danielis, dipartimento di Scienze economiche, e Giovanni Carrosio, dipartimento di Scienze politiche e sociali, tutti e tre dell’Università degli Studi di Trieste. «La decarbonizzazione dei settori ‘hard to abate’ non è semplice, e a nostro parere la scommessa è la capacità di governo e industria di saper governare e gestire la complessità», spiega Midulla.