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41 milioni di persone rischiano di morire di fame in 43 Paesi e Territori

Il patrimonio netto dei miliardari aumenta di 5,2 miliardi di dollari al giorno, ma non si trovano 6,6 miliardi per salvare milioni di esseri umani
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Dal Virtual High-level Event “Action in Support of Preventing and Ending Famine Now” organizzato ieri a Ginevra dall’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) dell’Onu in collaborazione con Group of Friends on Action on Conflict and Hunger, Fao, e World Food Programme (WFP) «A sostegno della prevenzione e della fine della carestia ora» e per «Dare una chiara direzione delle azioni urgenti che la comunità internazionale deve intraprendere per colmare le lacune nella risposta attuale per prevenire un ulteriore deterioramento della gravità e della portata di insicurezza alimentare acuta» è emerso che «Il mondo attualmente affronta livelli catastrofici senza precedenti di insicurezza alimentare acuta e sono necessari urgentemente circa 6,6 miliardi di dollari per sostenere 41 milioni di persone che rischiano di scivolare nella carestia».

Aprendo l'evento,  Martin Griffiths, sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari, ha detto: «Il messaggio principale che penso che tutti noi vorremmo trasmettere e a cui rispondere oggi è che la carestia non è una questione tecnica. La carestia è una minaccia. Esiste. Ci sono quasi certamente persone che muoiono a causa di ciò oggi che non possiamo vedere. E quando la carestia alla fine apre la porta, diventa virale in un modo che forse altre minacce non fanno. La carestia è una terribile compagna da avere quest'anno ed è per questo che siamo così desiderosi di fare questo evento, per sensibilizzare, raccogliere fondi e dare priorità alla carestia».

Martin ha ricordato che «41 milioni di persone, 41 milioni di persone, in 43 Paesi e Territori rischiano di morire di fame e cause associate a meno che non ricevano un aiuto immediato. Si tratta di un aumento del 50% negli ultimi 2 anni. In Etiopia, come abbiamo sentito di recente, nel sud del Madagascar, nel Sud Sudan e nello Yemen, 584.000 persone stanno vivendo le cosiddette condizioni di carestia. Anche le comunità nel nord della Nigeria stanno affrontando un rischio estremamente elevato di catastrofica insicurezza alimentare. Questo è un mix tossico di declino economico, cambiamento climatico, Covid-19 e, naturalmente, soprattutto, guerra che guida questo terribile flagello, con donne e ragazze, come sempre, particolarmente vulnerabili. Le donne ci raccontano delle misure disperate che devono prendere per trovare cibo per sfamare le loro famiglie, compreso lo scambio di sesso in cambio di cibo, il ricorso a matrimoni precoci, come ho sentito dire quando ero in Siria abbastanza di recente».

Ma i Paesi citati dall’alto funzionario Onu non sono gli unici: «Ci sono 43 Paesi, altri Paesi, nella nostra lista di massima allerta che includono Afghanistan, Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Sudan e Siria. E in ciascuno di questi paesi gli effetti a catena della fame si sono molto diffusi. I sistemi sanitari vengono rapidamente sopraffatti. I mezzi di sussistenza vengono spazzati via. I bambini ritirati dalla scuola. Il tessuto sociale si è sfilacciato. Un bambino in Siria, quando gli ho chiesto perché avesse perso la scuola per due anni, mi ha detto: "Perché avevo bisogno di badare a mia madre, perché nessun altro era lì per farlo". Ma la verità è che possiamo anche fermare la fame di punto in bianco».

Per questo il segretario generale dell’Onu António Guterres ha formato un Task Force di alto livello e poi FAO, WFP  e OCHA hanno preso provvedimenti urgenti per prevenire la carestia insieme all’Inter-Agency Standing Committee (IASC), governi e istituzioni finanziarie. Una collaborazione che però non è riuscita a smuovere davvero il Consiglio di sicurezza Onu e il G7, ma che ha permesso agli aiuti umanitari di raggiungere zone problematiche come quelle del Burkina Faso  e del Madagascar, mentre il denaro raccolto dai donatori ha permesso di accelerare le operazioni umanitarie nei Paesi ad alto rischio.

Martin ha fatto l’esempio del Sud Sudan: «Abbiamo potenziato l'assistenza nelle aree con maggiore insicurezza alimentare, salvando migliaia di persone dalla carestia e impedendo a donne e ragazze di esporsi a una maggiore violenza di genere. In Etiopia - ne abbiamo parlato molto negli ultimi giorni - continuiamo gli sforzi per evitare l'insicurezza alimentare nel Tigray, e ora nelle regioni di Amhara e Afar. In Burkina abbiamo fornito cibo o denaro a 1,1 milioni di persone, comprese quelle in aree di difficile accesso. Lo Yemen è passato dall'essere criticamente sottofinanziato a diventare il piano di risposta umanitaria meglio finanziato quest'anno. Questo ci ha permesso di raggiungere 10 milioni di persone ogni mese in ogni provincia e distretto dello Yemen. E insieme al sostegno di Stati membri generosi e agli sforzi delle ONG locali in particolare, ma anche delle ONG internazionali e dei partner dell’Onu, penso che siano stati in grado di salvare molte, moltissime vite dalla fame. Ma molti altri ora sono ancora in crisi. E ci sono due ragioni per questo. Primo, ci mancano fondi sufficienti per raggiungere tutti coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Abbiamo bisogno di 6,6 miliardi di dollari per prevenire questo tipo di catastrofe. Finora è arrivata solo la metà di questi fondi. Quindi servono più di 3 milioni di dollari. Nel Grand Sud del Madagascar, ad esempio, abbiamo evitato la fame a quasi un milione di persone. Ma mentre cerchiamo di estendere questo aiuto ad altri, la carenza di fondi significa che ora dobbiamo dimezzare la quantità di cibo che distribuiamo. Secondo,  i problemi relativi all'accesso umanitario significano che non siamo stati in grado di raggiungere le persone bisognose in molti degli hot spot più vulnerabili. Dobbiamo i lavorare insieme. Abbiamo bisogno che continuate a esercitare tutta la pressione che potete per aiutarci a garantire l'accesso alle comunità a rischio. E’ tempo, come suggerirebbe questo evento, di raddoppiare i nostri sforzi e di dimostrare che possiamo raccogliere collettivamente questa sfida davanti a noi. C'è tempo, non molto, e abbiamo bisogno che avvenga».

Nel suo intervento, il direttore generale della Fao Qu Dongyu ha detto che «Cibo e assistenza devono essere dati in tandem. Sostenere i sistemi agroalimentari e fornire assistenza a lungo termine, apre la strada alla ripresa, oltre la semplice sopravvivenza, e aumenta la resilienza. Ringrazio i membri della Fao per il loro sostegno. Non c'è tempo da perdere».

A marzo, al Consiglio di sicurezza, il segretario generale dell’Onu aveva chiesto una risposta rapida e coordinata, che non c’è stata, almeno al livello in cui sarebbe necessaria.

Il direttore esecutivo del WFP, David Beasley, è sia speranzoso che indignato: «E’ necessario diffondere il messaggio. I leader mondiali reagiranno quando sapranno qual è la realtà.  Attualmente, ci sono  400 trilioni di dollari di ricchezza nel mondo e, al culmine della pandemia di Covid-19, i miliardari avevano in media un aumento del patrimonio netto di 5,2 miliardi di dollari al giorno.  E il fatto che siamo seduti qui a implorare 6,6 miliardi di dollari per salvare 41 milioni di persone, e per impedire alle nazioni di destabilizzarsi, e per prevenire la migrazione di massa… non so cosa sia andato perso nel mondo. E’ una vergogna che stiamo avendo questa conversazione».

Redazione Greenreport

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