Istruzione e occupazione: in Italia si è rotto l’ascensore sociale
Secondo il rapporto Istat “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2023, «Quando i genitori hanno un basso livello di istruzione quasi un quarto dei giovani (24%) abbandona precocemente gli studi e poco più del 10% raggiunge il titolo terziario; se almeno un genitore è laureato, al contrario, le quote diventano rispettivamente 2% e circa 70%».
Eppure, nonostante quel che credono in molti. essere più istruiti aiuta a trovare lavoro: «Tra i 25-64enni, il tasso di occupazione dei laureati è 11 punti percentuali più alto di quello dei diplomati (84,3% e 73,3%, rispettivamente); il gap sale a 15,7 punti tra gli under 35 che hanno conseguito il titolo da uno a tre anni prima (75,4% e 59,7%)».
E, nell’Italia dell’autonomia differenziata incombente, l’Istat conferma che «Il divario territoriale nel tasso di occupazione è più ampio per le fasce di età giovanili. Il tasso di occupazione dei 30-34enni nel Mezzogiorno è più basso rispetto ai giovani del Nord di 19,8 punti percentuali tra i laureati (70,8%, contro 90,6%) e di 25,8 punti percentuali tra i diplomati (57,2% contro 83,0%)».
Il diploma è considerato il livello di formazione minimo indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro che abbia potenziale di crescita professionale e il 65,5% dei 25-64enni italiani ha almeno un titolo di studio secondario superiore, il 2,5% in più rispetto al 2022. Più o meno quanto la Spagna (64,2%) ma lontanissimo dall’83,1% della Germania, dell’83,7% della Francia e ben al di sotto della media Ue27 (79,8%). In crescita anche la quota di chi ha conseguito una laurea (21,6%) ma che resta più bassa della media europea (35,1%) e che è circa la metà di quella di Francia (42,4%) e Spagna (41,4%).
E anche qui la Laurea non è solo “un pezzo di carta” come dicono sprezzantemente in molti ma è invece ancora un grosso vantaggio occupazionale rispetto sul diploma. Tra i laureati il tasso di d raggiunge l’84,3%, l’11% in più rispetto a quello di chi ha un titolo secondario superiore e il 30% in più rispetto a chi si è fermato alla scuola media. Il tasso di disoccupazione dei laureati è bassissimo: 3,6%.
Le donne sono più istruite ma meno occupate degli uomini: nel 2023, il 68,0% delle 25-64enni aveva almeno un diploma o una qualifica (62,9% tra gli uomini) e le laureate erano il 24,9% (18,3% tra gli uomini), con differenze di genere più marcate della media Ue. «Il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo: il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (59,0% contro 79,3%)», dice l’Istat, anche se al crescere del titolo di studio, i differenziali occupazionali di genere si riducono con un aumento dei tassi di occupazione femminili più marcato di quelli maschili per le laureate.
E, a proposito di autonomia differenziata che farebbe bene al Sud, nel Mezzogiorno ci sono meno istruiti e meno occupati rispetto al Centro-nord: solo il 39,6% ha un titolo secondario superiore e solo il 18,1% ha un titolo terziario; nel Nord e nel Centro la quota dei diplomati supera il 45% e quella dei laureati il 22%. Un gap che riguarda sia uomini che donne ma che è più marcato per quest’ultime e con un livello di disoccupazione molto più alto, anche tra chi ha un titolo di studio elevato 6,1% rispetto al 2,4% nel Nord. Eppure, nel Mezzogiorno i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono superiori rispetto al Centro-nord, in particolare tra le donne laurate.
Tra gli stranieri tra i 25 e i 64 anni residenti in Italia quelli con almeno un titolo secondario superiore scende sotto la media: 53,3% e i laureati solo il 12,4%, con un tasso di occupazione degli stranieri laureati (69,6%), molto basso anche se aumento.
Il 17,0% degli occupati tra i 25 ed i 64 anni lavora part-time (Il 6,6% degli uomini e il 30,7% delle donne) e per il quasi la metà delle occupate a orario ridotto (49,1%)è part-time involontario. Tra gli uomini in part-time involontario sale addirittura al 70,5%. Con un maggiore livello di istruzione la quota di part-time involontario diminuisce: le occupate part-time con basso titolo di studio sono ben il 59,3%; tra le laureate il 42,6% (negli uomini si attesta rispettivamente al 77,0% e al 55,8%). A differenza di quanto osservato tra i giovani uomini, tra le giovani donne, il possesso della laurea rispetto al diploma non riduce sensibilmente la quota di part-time involontario.
Il lavoro a termine è più diffuso tra chi ha un basso livello di istruzione. Tra i dipendenti 25-64enni il 13,6%, ha un contratto e tra i 25-34enni si sale al 23,8% se uomini e il 29,6% se donne. La quota dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti si riduce marcatamente, indipendentemente dall’età, nel passaggio da chi ha un titolo secondario inferiore a chi ha un titolo secondario superiore; rimane invece piuttosto simile se dai diplomati si passa ai laureati (anche in questo caso senza evidenti differenze per classe di età). Ma per i 25-34enni l’incidenza del lavoro a termine è addirittura superiore tra i laureati rispetto a chi ha un titolo inferiore, presumibilmente per effetto del minor tempo trascorso tra il conseguimento del titolo e l’entrata nel mercato del lavoro, spesso caratterizzata da contratti di lavoro a termine.
I gap con l’Europa nei tassi di occupazione giovanile sono decisamente ampi e maggiori rispetto alla popolazione complessiva ma il tasso di occupazione delle 30-34enni laureate sale all’82,4% (+1,8% rispetto al 2022 e +7,1% rispetto al 2018); quello dei giovani laureati all’86,5% (-1,0% rispetto al 2022 e +2,7% rispetto al 2018). In un quinquennio il gap di genere sul tasso di occupazione dei laureati si è dimezzato.
Nel 2023, il 25,0% dei 25-34enni aveva una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche (STEM - Science, Technology, Engineering and Mathematics), il 37,0% tra gli uomini e il 16,8% tra le donne, evidenziando un marcato gap i genere particolarmente elevato nel Mezzogiorno.
Il gap occupazionale delle donne rispetto agli uomini è decisamente ampio tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e raggiunge il massimo per le lauree STEM.
Intanto, mentre un livello di istruzione medio-alto sta diventando indispensabile, continua il calo dei giovani che hanno abbandonato gli studi precocemente: in Italia, nel 2023, la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione era al 10,5%, in diminuzione dell’1% rispetto al 2022, ma resta tra i più alti dell’Ue (media Ue 9,5%).
E che l’ascensore sociale sia fermo è confermato da fatto che l’abbandono scolastico è fortemente influenzato dal livello di istruzione dei genitori che, se è basso, corrisponde a un’incidenza degli abbandoni precoci molto elevata. IL 23,9% dei giovani 18-24enni con genitori che hanno al massimo la licenza media, ha abbandonato gli studi prima del diploma, quota che scende al 5,0% se almeno un genitore ha un titolo secondario superiore e all’1,6% se laureato.
E per chi abbandona gli studi è difficile trovare lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno: in questa fascia il tasso di occupazione è del 44,4% e, anche se è aumentato del 5,4% rispetto al 2022 resta inferiore a quello Ue. Il rapporto Istat a notare che «La mancanza di opportunità educative implica dunque una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro italiano» e aggiunge che «I giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico/formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), presentano un concreto rischio di esclusione dal mercato del lavoro, che aumenta al crescere del tempo trascorso in tale condizione». In Italia, la quota di NEET sul totale dei 15-29enni, stimata al 16,1% per il 2023, registra un ulteriore importante calo (-2,9% sul 2022) e si attesta su un valore inferiore a quello del 2007 (18,8%). Nell’Ue, il valore italiano è tuttavia inferiore soltanto a quello della Romania (19,3%) e decisamente più elevato di quello medio europeo (11,2%).
Quasi un NEET disoccupato su due cerca lavoro da almeno un anno. La quota degli inattivi è minima tra i NEET del Mezzogiorno, che nel 72,5% dei casi (59,4% nel Nord e 62,4% nel Centro) si dichiarano interessati al lavoro (rientrando tra i disoccupati o le forze di lavoro potenziali), confermando le minori opportunità lavorative che caratterizzano quest’area del Paese. Non a caso, anche i NEET alla ricerca attiva di lavoro da almeno 12 mesi risiedono prevalentemente nelle regioni meridionali, dove rappresentano il 57,8% dei NEET disoccupati (33,7% nel Nord e 35,4% nel Centro). Questo sottogruppo, che a livello nazionale rappresenta il 46,7% dei NEET disoccupati, è quello più a rischio di transitare nell’area dell’inattività.
Invece aumenta ancora l’occupazione tra i neo diplomati: dal 49,9% del 2021 al 56,5% del 2022 e raggiunge il 59,7% nel 2023. Nell’ultimo quinquennio, l’aumento del tasso di occupazione dei neo laureati è passato dal 62,9% del 2018 al 74,6% del 2022 e attestandosi nel 2023 a +4,9 punti percentuali rispetto al 2008. Però, nel 2023 tra diplomati e laureati cresce leggermente anche il tasso di disoccupazione, pari rispettivamente al 24,3% e al 13,3%.
Per quanto riguarda la transizione scuola-lavoro di diplomati e laureati, l’Italia è lontana dall’Ue: i tassi di occupazione medi europei dei neo diplomati e neo laureati sono rispettivamente del 78,1% e dell’87,7% (il 18,4% e il 12,3% in più dei quelli italiani) e i tassi di disoccupazione europei sono molto inferiori (12,1% e 6,1%) rispetto a quelli italiani). L’Italia è ultima tra i Paesi Ue per occupabilità dei giovani diplomati e penultima, dopo la Grecia, per quanto riguarda i laureati.
La partecipazione degli adulti a corsi e ad attività formative è in aumento ma ed è fortemente associata al livello di istruzione conseguito: nel 2023, il 25,2% di chi ha un titolo terziario partecipa ad attività formative (il valore medio europeo si ferma al 20,8%), la quota scende all’11,5% tra i diplomati (9,7% nell’Ue) e cala al 3,2% tra chi ha un basso titolo di studio. Quest’ultimo valore è significativamente inferiore a quello medio europeo (5,2%), nonostante gli individui con una bassa istruzione dovrebbero rappresentare un target prioritario, alla luce delle maggiori difficoltà che hanno nel tenere il passo con l’innovazione tecnologica e le trasformazioni da questa indotte. Inoltre, la formazione continua potrebbe più efficacemente supplire alla ridotta istruzione formale ricevuta, favorendo la crescita personale e la partecipazione attiva alla vita sociale.
Le differenze con l’Europa sull’apprendimento permanente si osservano soprattutto per i disoccupati, che dovrebbero essere i principali destinatari delle azioni di riqualificazione e aggiornamento delle competenze al fine di riallocarsi nel mondo del lavoro: la quota di chi è in formazione è invece circa la metà di quella media europea (6,9% contro 14,1%). Simile alla media europea è la quota degli occupati che partecipa ad attività formative (nel 2023 il 13,0%; 13,5% nell’Ue); tra questi, l’80,5% lo ha fatto per ragioni professionali e l’87,5% con l’aiuto del datore di lavoro (perché svolto in orario di lavoro o perché pagato dal datore).