Il Bel Paese della crisi climatica, con 38mila morti e danni per 60 miliardi di dollari in 30 anni
Dal rapporto Climate Risk Index 2025, pubblicato ieri dall’organizzazione ambientalista Germanwatch, emerge il conto sempre più salato – in termini economici, ma soprattutto di perdita vite umane – che sta imponendo l’avanzata della crisi climatica.
Si parla di quasi 800.000 morti e danni per 4,2 trilioni di dollari causati da eventi meteorologici estremi in trent’anni, dal 1993 al 2022. In questo lasso di tempo sono aumentati il numero e l’intensità degli eventi meteorologici estremi (alluvioni, siccità, tempeste e ondate di calore), specie nei Paesi del sud del mondo. Tuttavia, colpisce il dato che riguarda alcuni Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo, in particolare Italia – la più colpita tra i Paesi europei – Spagna e Grecia, tutti e tre entro i primi dieci posti dell’indice.
Dopo Dominica, Cina, Honduras e Birmania ecco dunque spiccare il Bel Paese nella triste classifica degli Stati più colpiti dalla crisi climatica, con 38mila morti (soprattutto nel 2003 e nel 2022) e danni per 60 miliardi di dollari.
«I Paesi del Mediterraneo dimostrano di essere i più colpiti dagli eventi climatici estremi, il cui aumento in numero e intensità è legato alla crisi climatica – commenta Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf nazionale – Non solo: i Paesi del Nord del Mediterraneo stanno già soffrendo moltissimo, l’impatto di alluvioni e ondate di calore colpisce la popolazione e le attività economiche. Chi si illude che a soffrire per il cambiamento climatico saranno solo le future generazioni, non solo è un egoista contro-natura, visto che non protegge la propria prole e i propri discendenti, ma sbaglia di grosso. Ci auguriamo che questi dati inducano anche il Governo e il Parlamento italiani a prendere iniziative attive per rilanciare l’azione climatica in tutte le sedi, da quelle multilaterali al G7 e G20. E a fare la propria parte per abbattere le emissioni di gas serra, a partire da quelle provocate dai combustibili fossili e dalla deforestazione, e per cominciare ad attuare il Piano di adattamento. Molto importante, anche alla vigilia del proseguimento della COP16 sulla biodiversità a Roma, che vengano garantiti i soldi necessari per la transizione e si rendano disponibili i fondi necessari per aiutare il Sud del Mondo ad affrontare la crisi: quando parliamo di decine e decine di punti di PIL a rischio – con casi già oggi ancor più catastrofici – non c’è scusa che tenga».