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Accordo Italia - Libia: subito occupato da manifestanti il gasdotto Green stream al centro dell’intesa

Meloni a Tripoli conferma le politiche dei governi precedenti e l’accordo con un governo debole e che controlla solo una parte del Paese
 |  Crisi climatica e adattamento

Durante la visita del presidente del Consiglio italiano Georgia Meloni a Tripoli Il 28 gennaio, dove ha incontrato il premier della parte occidentale della Libia, Abdul Hamid Dbeibah, la Libia e l'Italia hanno firmato sabato un accordo 25ennale da 8 miliardi di dollari per la fornitura di gas all'Italia che a sua volta lo utilizzerà per aumentare le forniture energetiche all'Europa, diminuite a causa della guerra in Ucraina. La firma è avvenuta durante la.

L'accordo è stato firmato dal presidente della National Oil Corporation (NOC), Farhat Bengdara  e dall'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi e Bengdara ha affermato rappresenta «Una chiara indicazione che il settore petrolifero in Libia è privo di rischi e sulla strada per rialzarsi per competere. La Libia tornerà tra i ranghi dei Paesi più importanti produttori di petrolio di tutto il mondo».

Bengdara è stato subito smentito dall’occupazione -  da parte di un gruppo di manifestanti chiaramente appoggiato dall'e amministrazioni locali e da milizie - dell’impianto che è al centro dell’accordo Italo-libico. Infatti, secondo quanto riferisce The Libya Observer «Un gruppo di diplomati dei college petroliferi della regione occidentale (quella goiverbata dal governo di Tripoli con il quale l’Italia ha firmato l’accordo, ndr) ha chiuso sabato il gasdotto di collegamento (Mellitah con l'Italia) perché i recenti elenchi di collocamento emessi dalla National Oil Corporation (NOC) non li includevano». Una fonte del settore petrolifero ha confermato a The Libya Observer che «Le quantità di gas esportate in Italia attraverso l'oleodotto Green Stream sono diminuite della metà dopo che i manifestanti hanno preso d'assalto la sala di controllo principale nel complesso di Mellitah, aggiungendo che i negoziati con i manifestanti che chiedevano posti di lavoro nel settore petrolifero stavano continuando per risolvere la questione».

Eni spiega che «Attraverso il gasdotto Green Stream il gas libico prodotto dai giacimenti di Wafa e Bahr Essalam operati da Mellitah Oil & Gas, società operativa compartecipata paritariamente da Eni e NOC, raggiunge l’Italia. Il gasdotto, composto da una linea di 520 chilometri, attraversa il Mar Mediterraneo collegando l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia. La capacità del gasdotto ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi all’anno».

Il 28 gennaio la Mellitah Oil and Gas Complex Workers Union ha confermato che «Un certo numero di manifestanti ha preso d'assalto il cancello del complesso» e ha sottolineato che «La protesta non era stata presa sul serio, nonostante gli sforzi e le continue comunicazioni con l'amministrazione per trovare una soluzione a questo problema».

Prima della firma del nuovo accordo con Eni, la NOC aveva annunciato che avrebbe assunto centinaia di diplomati nel  settore petrolifero, ma negli elenchi delle chiamate al lavoro mancavano molti neo-diplomati, cosa che ha scatenato la rabbia dei giovani in diverse aree sotto il controllo del governo di Tripoli, in particolare in quella occidentale che ha visto il minor numero di diplomati inseriti negli elenchi. Proteste che sono riprese in coincidenza con la visita a Tripoli della Meloni e mentre Eni e NOC firmavano un accordo che prevede in investimento plurimiliardario soprattutto negli impianti offshore “A” e “H” che Bengdara ha definito Investimenti che il settore petrolifero libico non aveva visto negli ultimi 25 anni». Con buona pace delle promesse del ministro dell’ambiente Pichetto di utilizzare il gas come “energia ponte” per passare rapidamente alle rinnovabili e rispettare g l’Accordo di Parigi, Bengdara ha spiegato che «L'accordo prevede anche lo sviluppo di giacimenti di gas con riserve vicine ai 6 trilioni di piedi cubi di gas e una capacità produttiva compresa tra 750 e 800 milioni di piedi cubi al giorno».

Anche per Descalzi l’uscita dai combustin bili fossili sembra confinata alle rassicuranti pubblicià televisive di Eni: «L" accordo tecnico economico con la Libyan National Oil Corporation (NOC) mira a sviluppare in Libia grandissime potenzialità di gas, che a regime forniranno oltre 160.000 barili di petrolio equivalente al giorno, e potrebbe essere in grado di coprire la maggior parte del fabbisogno di elettricità della Libia, e fornire almeno un terzo della capacità del fabbisogno energetico italiano come esportazioni. Il progetto da 8 miliardi di dollari svilupperebbe non solo risorse petrolifere libiche, ma anche risorse professionali e aziende libiche, oltre alle aziende italiane che potrebbero venire a lavorare in Libia per Eni e NOC. Questo sviluppo porta ad altri importanti sviluppi energetici sia nella parte offshore che onshore della Libia, con il potenziale per raddoppiare la produzione di gas esistente». Non poteva mancare il tocco finale di greenwashing che ormai è usuale in tutte le firme di accordi con i Paesi arabi: «Questi progetti non solo svilupperanno gas, ma cattureranno anche l'anidride carbonica prodotta da questi prodotti e sviluppare l'energia solare. I progetti futuri per esportare non solo gas ma anche elettricità in Italia avverranno attraverso il gasdotto Green Stream». Quello subito occupato dai manifestanti.

Eni spiega che  «”Strutture A&E” è il primo grande progetto ad essere sviluppato nel paese dall'inizio del 2000. Consiste in due giacimenti a gas, chiamati rispettivamente “Stuttura A” e “Struttura E”, situati nell'area contrattuale D, al largo della Libia. La produzione di gas inizierà nel 2026 e raggiungerà un plateau di 750 milioni di piedi cubi di gas standard al giorno. La produzione sarà assicurata attraverso due piattaforme principali collegate agli impianti di trattamento esistenti presso il complesso di Mellitah. Il progetto prevede anche la costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) a Mellitah, che consentirà una significativa riduzione dell'impronta carbonica complessiva, in linea con la strategia di decarbonizzazione di Eni».

La Meloni ha ricordato di agire in continuità con i governi precedenti (d’altronde era l’attuale presidente d Ignazio La Russa il ministro della difesa che esultava a ogni decollo di aereo che andava a bombardare la Libia dell’ex amico Gheddafi)  e ha sottolineato che «L'altra questione fondamentale è quella che riguarda la cooperazione, che è antica e solida tra Italia e Libia, nel campo dell'energia. L’energia rappresenta uno dei contributi più significativi che si possono dare alla stabilizzazione e alla crescita della Libia. Eni è presente in Libia dal 1959 - ringrazio Claudio Descalzi per essere qui oggi –  ha di fatto contributo a una parte importante della storia libica di questi anni, dello sviluppo economico della Libia. Oggi, grazie al gasdotto Green Stream, condividiamo anche uno strumento fondamentale per favorire il processo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e la firma oggi dell'intesa tra Eni e Noc è un passaggio molto importante, storico nella lunga e proficua collaborazione tra Italia e Libia. L'intesa rilancia una serie di iniziative per diversificare le fonti energetiche, per lavorare sulla sostenibilità delle fonti energetiche. E’ un'iniziativa fatta soprattutto per garantire energia ai cittadini libici e per garantire maggiori flussi verso l'Europa in un progetto che l'Italia sta con forza portando avanti, che ormai la stampa italiana conosce e si comincia a conoscere anche fuori dai confini nazionali: fare dell'Italia un Hub di approvvigionamento energetico per l'intera Europa e quindi aiutare l'Europa nelle forniture energetiche in un momento di difficoltà e dare maggiore strategicità al ruolo della nostra Nazione».

In realtà nell’accordo con il governo libico di Tripoli (come in quello con l’Algeria) c’è poco di nuovo, visto che Descalzi ed Eni in Libia sono di casa e che la sicurezza degli impianti italiani è garantita spesso non tanto dall’esercito libico quanto da accordi con le milizie jihadiste e tribali che lo appoggiano in cambio di prebende su gas e petrolio con le quali acquistare armi e mantenere il controllo del territorio. E’ questo che ha consentito ad Eni di restare «Il principale produttore internazionale di gas in Libia, con una quota dell'80% della produzione nazionale (1,6 bscfd nel 2022). La società opera in Libia dal 1959 e attualmente dispone di un ampio portafoglio di asset in esplorazione, produzione e sviluppo. Le attività produttive sono operate attraverso la società mista Mellitah Oil and Gas BV (Eni 50%, NOC 50%). La produzione equity è stata di 165.000 barili di petrolio equivalente al giorno nel 2022».

Laccordo firmato sotto gli occhi benevoli della Meloni viene in realtà dal precedente governo di Mario Draghi, infatti, nell’agosto 2022 Descalzi aveva già in contrato Bengdara,  «Per discutere delle attività di Eni in Libia e i progetti strategici» e aveva i ha confermato al presidente della NOC «L’impegno di Eni nelle attività operative nel Paese e la volontà di lanciare una nuova fase di investimenti volti a incrementare la produzione di gas, facendo leva sul potenziale esplorativo e sugli impianti esistenti che garantiscono l’accesso al mercato domestico e a quello di esportazione europeo». Inoltre, sempre per restare nell’ambito di questo sig ngolare concetto del rispetto dell’Accordo di Parigi e della svolta green, l’Amministratore delegato di Eni aveva «Accolto con favore il piano della NOC di incrementare la produzione giornaliera del Paese fino a 2 milioni di barili di olio al giorno confermando il supporto di Eni nel raggiungimento di questo obiettivo». A agosto «Si è inoltre discusso dell’implementazione di progetti legati alle rinnovabili in Libia», informa Eni. Ma le rinnovabili sembrano un orpello in più. Un po’ di greenwashing che ormai è obbligatorio – sempre declinato al futuro e quasi sempre «allo studio» -  mentre si firmano concretissimi accordi per incrementare la produzione delle energie fossili.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.