La disuguaglianza di genere e negoziati globali sul clima
Lo studio “Bridging the gender, climate, and health gap: the road to COP29”, realizzato da un team internazionale di ricercatrici e ricercatori guidato da Kim Robin van Daalen del Barcelona Supercomputing Center e dell'università di Cambridge, è stato pubblicato in occasione della 29esima Conferenza della parti dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (Cop29 Unfccc) in corso a Baku, in Azerbaigian e sostiene che «C'è ancora molto da fare per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici sulle donne, sulle ragazze e sugli individui con diversità di genere».
Concentrandosi particolarmente sul rapporto tra cambiamento climatico, genere e salute umana, i ricercatori invitano i Paesi di tutto il mondo a «Impegnarsi di più per garantire l'equità di genere all'interno delle loro delegazioni alle conferenze sul clima e per garantire che le strategie climatiche identifichino i rischi e le vulnerabilità specifici di genere e affrontino le loro cause profonde».
le preoccupazioni sulla rappresentanza di genere e l'uguaglianza sono aumentate dopo che nel comitato organizzatore della COP29 nel gennaio 2024 erano stati nominati 28 uomini e nessuna donna. Eppure, come fanno presente Barcelona Supercomputing Center e università di Cambridge, «Gli effetti del cambiamento climatico – dalle forti piogge, all’aumento delle temperature, alle tempeste e alle inondazioni, fino all’innalzamento del livello del mare e alla siccità – esacerbano le disuguaglianze sistemiche e colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni emarginate, in particolare quelle che vivono in aree a basso reddito». E, sebbene la situazione specifica possa essere diversa a seconda di dove le persone vivono o del loro background sociale (come classe, etnia, istruzione e formazione professionale, sesso, età o posizione sociale), «Donne, ragazze e minoranze di genere sono spesso maggiormente a rischio a causa degli impatti del cambiamento climatico».
Per esempio, in molti Paesi è più difficile che le donne possiedano terreni e risorse per proteggerle in situazioni post-disastro e hanno meno controllo sul reddito e meno accesso alle informazioni, quindi sono più vulnerabili agli impatti di eventi climatici estremi e e di quelli lungo termine del cambiamento climatico.
I ricercatori dicono che le donne «Sono anche particolarmente a rischio per le minacce alla salute legate al clima, affermano i ricercatori. Ad esempio, gli studi hanno collegato le alte temperature a esiti avversi del parto, come parti pretermine spontanei, preeclampsia e difetti alla nascita. Gli eventi estremi, che si prevede diventeranno più probabili e intensi a causa del cambiamento climatico, hanno anche un impatto grave sul benessere sociale, fisico e mentale delle donne. Numerosi studi evidenziano che la violenza di genere aumenta durante o dopo eventi estremi, spesso a causa di fattori correlati all'instabilità economica, all'insicurezza alimentare, alle infrastrutture danneggiate e allo stress mentale.
La van Daalen sottolinea: «Dato quanto sproporzionatamente il cambiamento climatico colpisce donne, ragazze e minoranze di genere, una situazione che probabilmente peggiorerà, dobbiamo garantire che le loro voci siano ascoltate e significativamente incluse nelle discussioni su come rispondere a questa urgente crisi climatica. Al momento, questo non sta accadendo nemmeno lontanamente al livello di cui avrebbe bisogno».
Il team di ricercatori ha studiato l'inclusione di genere, salute e il loro collegamento nelle decisioni e iniziative chiave nell'ambito dell’Unfccc e ha analizzato la rappresentanza di genere tra i delegati degli Stati Parte e Osservatori alle COP tra il 1995 e il 2023 e affermano che «I progressi sono stati lenti», evidenziando come i precedenti studi sul tema abbiano costantemente notato che «L'enfasi resta principalmente sul raggiungimento di un "equilibrio numerico" di genere nella governance climatica, rispetto all'esplorazione di rischi e vulnerabilità di genere specifici e all'affrontare le loro cause profonde».
Lo studio fa notare anche quanto «Rimanga limitato il riconoscimento del ruolo del cambiamento climatico nel peggiorare gli impatti di genere sulla salute, tra cui la violenza di genere e la mancanza di salvaguardia della salute riproduttiva di fronte al cambiamento climatico».
Sebbene la situazione stia lentamente migliorando, alla COP28 del 2023, Il 73% delle delegazioni del partito erano ancora in maggioranza uomini e solo il 16%) mostrava parità di genere (vale a dire, 45-55% donne). In realta, la parità di genere è stata raggiunta solo nel raggruppamento Onu "Europa occidentale e altri" (che include anche Nord America, Australia e Nuova Zelanda) e lo studio prevede che «Sulla base dei trend attuali, si prevede che diversi Paesi, in particolare quelli nelle regioni Asia-Pacifico e Africa, impiegheranno almeno un decennio dalla COP28 prima di raggiungere la parità di genere nelle loro delegazioni».
Uno degli autori dello studio, Ramit Debnath del Cambridge Collective Intelligence and Design Group and climaTRACES Lab e del Caltech-Cambridge Climate and Social Intelligence Lab, ha commentato: «L'urgenza dell'azione climatica, così come la lenta comprensione delle connessioni tra clima, genere e salute, sono motivo di preoccupazione. Istituzioni come l'Unfcc devono riconoscere queste disparità, progettare metodi appropriati per migliorare la parità di genere nella governance del clima e impedire che questi gap di rappresentanza si trasformino in ingiustizie sociali e sanitarie».
Lo studio, oltre a chiedere che le voci delle donne e delle minoranze di genere vengano ascoltate ribadisce che un'inclusione più equa delle donne potrebbe trasformare il processo decisionale nei sistemi politici e sociali, inclusa l’approvazione di politiche che rappresentino meglio gli interessi delle donne. Recenti analisi realizzate in 49 Paesi europei hanno rivelato che «Una maggiore rappresentanza politica delle donne è correlata a disuguaglianze ridotte nella salute, disuguaglianze geografiche inferiori nella mortalità infantile e meno anni di vita segnati da disabilità persi tra i sessi».
Risultati positivi simili sono stati segnalati anche per quanto riguarda le politiche ambientali, con la rappresentanza femminile nei parlamenti nazionali che associata a una maggiore ratifica dei trattati ambientali e a politiche più severe sui cambiamenti climatici. Ad esempio, è stato scoperto che le donne legislatrici nel Parlamento europeo e nella Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti sono più inclini a sostenere la legislazione ambientale rispetto agli uomini. Evidentemente l’Italia che ha una premier donna e diverse ministre donna e numerose parlamentari fa eccezione a questa regola, vista la deregulation ambientale messa in atto dal governo Meloni e l’ostinata avversione dell’esecutivo italiano e dei Partiti di destra-centro che lo sostengono verso le politiche climatiche e ambientali dell’Unione europea.
Una delle autrici del nuovo studio, Ronita Bardhan del Sustainable Design Group e del Cambridge Public Health dell’università di Cambridge, è convinta che «Raggiungere un'equa rappresentanza di genere nell'azione climatica non è solo una questione di equità, è una necessità strategica con significativi co-benefici. Possiamo dare forma a politiche e infrastrutture climatiche che affrontino uno spettro più ampio di esigenze sociali, portando a soluzioni più inclusive che migliorino la salute pubblica, l'equità sociale e la resilienza ambientale».
Mentre le analisi dei ricercatori si sono concentrate sul raggiungimento dell'equilibrio di genere, gli studi sul coinvolgimento delle donne nella governance climatica suggeriscono che «Una maggiore rappresentanza non porta sempre di per sé a cambiamenti politici significativi. Anche quando formalmente inclusa, la partecipazione attiva delle donne in istituzioni dominate dagli uomini è spesso limitata da norme sociali e culturali esistenti, pregiudizi impliciti e barriere strutturali».
La van Daalen conferma: «Se vogliamo incorporare in modo significativo il genere nelle politiche e nelle pratiche climatiche, dobbiamo comprendere i rischi e le vulnerabilità che sono specifici del genere e analizzare come possiamo affrontarli e le loro cause profonde in tutte le fasi di sviluppo del programma e delle politiche. Ma dobbiamo anche resistere alla tentazione di ridurre le donne a un singolo gruppo omogeneo, il che rischia di approfondire le disuguaglianze esistenti e trascura le opportunità di rispondere alle esigenze di tutti gli individui. E’ fondamentale riconoscere la diversità delle donne e la loro incarnazione in identità multiple e intersecanti che modellano le loro esperienze climatiche e le loro esigenze di mitigazione e adattamento».
Il team di ricerca conclude: «Le persone con diversità di genere affrontano rischi unici per la salute e il clima a causa della loro maggiore vulnerabilità, stigma e discriminazione. Ad esempio, durante e dopo eventi estremi, le persone transgender negli Stati Uniti riferiscono di essere state minacciate o di essere state private dell'accesso ai rifugi. Allo stesso modo, nelle Filippine, in Indonesia e a Samoa, gli individui con diversità di genere spesso affrontano discriminazione, scherno ed esclusione dai centri di evacuazione o dall'accesso al cibo. Tuttavia, ci sono grandi lacune nella conoscenza delle implicazioni per la salute del cambiamento climatico per tali gruppi».