Non tutto Trump viene per nuocere. Giovannini: «L’Ue sarà costretta a trasformarsi in una vera Unione»
La Cop29 che si è aperta oggi in Azerbaijan arriva in un momento cruciale per la lotta climatica: tutti i Paesi del mondo sono tenuti a presentare nuovi piani nazionali sul clima – Contributi determinati a livello nazionale (Ndc) – nel corso dei prossimi dodici mesi, mentre già a Baku è atteso un intenso negoziato per un nuovo obiettivo di finanza climatica: il nuovo obiettivo quantitativo collettivo (Ncqg), che è chiamato a soddisfare le esigenze di mitigazione, adattamento e perdite e danni dei paesi in via di sviluppo.
«Abbiamo ora a disposizione le soluzioni alla crisi climatica, ma senza finanziamenti adeguati non possono essere implementate con la velocità e la portata necessarie – spiega Manuel Pulgar-Vidal, responsabile globale del clima e dell’energia del Wwf e presidente della Cop20 – Semplicemente non possiamo permetterci di ritardare ulteriormente l’azione critica. È tempo di investire nel nostro futuro. Un nuovo e ambizioso obiettivo di finanza climatica che soddisfi le esigenze dei paesi vulnerabili e in via di sviluppo è fondamentale. Senza certezze nei finanziamenti, i Paesi in via di sviluppo non possono aumentare i propri impegni sul clima».
Ma per limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5°C, le emissioni globali devono essere ridotte del 43% entro il 2030, del 60% entro il 2035 e raggiungere lo zero netto entro il 2050. Di fatto resta ancora molto da fare per poter essere in linea con questi obiettivi.
«I continui disastri climatici, tra cui l’evento catastrofico di Valencia – sottolinea Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia del Wwf Italia – confermano che la prima minaccia alla sicurezza di cittadini e comunità in tutto il mondo è la crisi climatica. L’azione che intraprenderemo nei prossimi cinque anni sarà fondamentale se vogliamo avere la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C ed evitare i peggiori impatti della crisi climatica. Mentre i Paesi sviluppano i loro nuovi piani nazionali sul clima, devono garantire di attuare urgentemente azioni rapide e trasformative. Tutti i Paesi devono dimostrare che stanno attuando gli impegni della Cop28, incorporando piani di eliminazione graduale dei combustibili fossili nelle loro strategie nazionali. Trasformare il settore energetico è il modo più efficace per ridurre rapidamente le emissioni e cercare di evitare gli impatti catastrofici della crisi climatica».
Un quadro già complesso, dov’è piombata come un meteorite la ri-elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Un contesto in cui però non è possibile – né lecito – gettare la spugna, anche perché inaspettatamente potrebbe arrivare proprio da qui la molla per un balzo in avanti del resto del mondo.
«La rielezione di Donald Trump, prevista da diversi commentatori, rappresenta una chiara sfida per lo sviluppo sostenibile a livello globale – osserva nel merito Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) ed ex ministro del Governo Draghi – Sia per gli impegni assunti da Trump in campagna elettorale, sia per come si è svolto il suo primo mandato: ricordo che uno dei suoi primi atti ufficiali è stata l'uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi. Possiamo immaginare solo risvolti negativi? Non necessariamente. In uno scenario in cui gli Stati Uniti si ritirano dalle proprie responsabilità globali, l'Unione europea e i suoi Stati membri saranno costretti a alzare il proprio livello di ambizione e trasformarsi in una vera Unione politica, dotata di un più ampio bilancio federale, che la metterebbe in grado di accelerare il cammino verso uno sviluppo pienamente sostenibile, in linea con gli impegni presi durante il G7 a presidenza italiana e nel corso del Summit sul futuro di settembre scorso».