Le alluvioni riducono il nord a “palude padana”, mentre al sud restano invasi vuoti e siccità
Dal 15 al 22 ottobre sono stati ben 236 i nubifragi che si sono abbattuti sull’Italia ma i dati messi in fila dall’ultimo Osservatorio Anbi sulle risorse idriche documentano che gli effetti sono stati molto diversi nelle varie regioni lungo lo Stivale, spaziando dall'ormai "palude padana", ma è così anche per l'inaridito Meridione.
«Al nord, dove solamente un anno e mezzo fa si combatteva contro la peggiore siccità della storia – ricorda Francesco Vincenzi, presidente dell'associazione nazionale dei Consorzi di bonifica (Anbi) – l'imperativo è tornato ad essere quello di allontanare nel più breve tempo possibile l'acqua in eccesso ed asciugare la pianura stremata da eventi climatici estremi, frequenti ed ormai ingestibili con gli strumenti attualmente a disposizione».
Ci troviamo oggi in un Paese spezzato in due fra territori devastati da oltre un anno di siccità estrema e zone con i serbatoi acquiferi stracolmi, nonché terreni saturi d'acqua dopo mesi di piogge abbondanti. Solo tra Bologna e il suo hinterland i corsi d'acqua, tombati o scoperti, esondati durante i recenti nubifragi sono stati almeno 7: Ravone, Savena, Zena, Idice, rio Brolo, rio Caurinziano, canale di Reno. Sempre in centro Italia, la fascia settentrionale della Toscana è quella maggiormente colpita da fenomeni meteorologici avversi in questo autunno 2024: solamente sul Massese, negli scorsi 30 giorni si sono registrate cumulate di pioggia tra 500 e 600 millimetri con record di mm. 737 sul comune di Mulazzo; notevoli anche gli accumuli di pioggia su pistoiese, lucchesia e livornese, dove in molte località si sono superati i 400 millimetri, mentre l'Arno registra flussi più che doppi rispetto a 7 giorni fa e nell'Ombrone sta transitando oltre il 200% d'acqua in più.
Nonostante le forti piogge, invece, nel Mezzogiorno non si registrano incrementi nei volumi idrici trattenuti dalle dighe, ma addirittura si assiste ad un costante svuotamento dei bacini artificiali. Negli invasi della Basilicata, la decrescita idrica è quantificabile in 8 milioni di metri cubi in una sola settimana; in Calabria crescono le portate dei fiumi, mentre gli invasi, nonostante la tanta pioggia caduta, registrano incredibilmente volumi inferiori a quelli di agosto.
Anche l'assetata Sicilia ha visto cadere, su alcune zone, più acqua di quanta ne sia piovuta da inizio anno: alle pendici del vulcano Etna così come in altre zone della Sicilia orientale e occidentale, dove sono bastati 75 millimetri di pioggia in un giorno per far tracimare il torrente Salso, inondando Licata. Sarà interessante verificare quanto queste piogge abbiano inciso sulla ricarica dei bacini, che in larga parte stavano esaurendo le riserve idriche e che, secondo le previsioni, tra circa 3 mesi sarebbero rimasti vuoti.
«È la conferma della grande sete delle campagne, cui piogge violente e concentrate danno solo minima risposta, creando però grandi rischi per l'equilibrio idrogeologico dei territori», commenta Massimo Gargano, dg Anbi. Una realtà che richiama ancora una volta la stringente necessità di mettere in campo risorse pubbliche e private per dare corpo a un programma di manutenzione e ampliamento necessario a gestire la sempre maggiore variabilità delle precipitazioni, per difenderci dal doppio rischio della “poca” e “troppa” acqua esasperato dalla crisi climatica in corso.
Una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda, arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio – 10 in più di quelli già oggi a bilancio –, spaziando dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu.