Decreto ambiente: rinnovabili off-shore penalizzate e tanta enfasi ma niente di concreto sull’economia circolare
Da settimane il governo lo annunciava come il testo che avrebbe rivoluzionato la gestione delle risorse ambientali nel nostro Paese, il pacchetto di norme che avrebbe garantito un approccio responsabile e sotto il segno della sostenibilità, che avrebbe permesso all’Italia di affrontare le sfide della crisi climatica in modo tempestivo ed efficace, semplificando i procedimenti burocratici e riordinando le procedure di valutazione e autorizzazione ambientale soprattutto per le nuove installazioni di fonti rinnovabili. Non solo. Nella narrazione di Palazzo Chigi relativa a questo decreto legge ora approvato «su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin» si annunciavano anche misure volte a favorire l’economia circolare, la tutela del territorio, il contrasto al rischio idrogeologico, la prevenzione rispetto ai fenomeni di siccità e molto altro ancora. Ma adesso che le carte vengono scoperte, adesso che il Consiglio dei ministri ha dato via libera al decreto contenente «disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell’economia circolare, l’attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico», ecco, adesso, di tutta la narrazione restano, appunto, soltanto i titoli e una serie di frasi ripetute a mo’ di mantra senza che siano realmente introdotte misure capaci di segnare una vera svolta.
Nella stessa comunicazione ufficiale diffusa da Palazzo Chigi al termine del Cdm non si fa altro che ripetere l’intestazione del decreto e poi di nuovo la stessa frase, giusto cambiando un po’ l’ordine dei fattori, senza che il risultato cambi: «Approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell’economia circolare, l’attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico. Le misure introdotte hanno lo scopo di semplificare i procedimenti relativi alle valutazioni ambientali, dare impulso alle bonifiche e al contrasto al dissesto idrogeologico, rafforzare la tutela delle acque e promuovere l’economia circolare».
E andando a leggere il testo del decreto legge, che nelle aspirazioni del governo dovrebbe magari andare a sostituire il Codice ambiente (D.Lgs. 152/2006) ormai in vigore da 18 anni, non ne esce molto di più.
Sulle misure volte a promuovere l’economia circolare, per dire, a parte l’insistenza con cui ritorna l’espressione nell’articolo 5, al comma 1 si stabilisce che «ai fini del mantenimento delle funzionalità degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica in materia di economia circolare, la dotazione finanziaria per gli uffici medesimi è incrementata di 100.000 euro annui a decorrere dal 2024». Quanto a un’altra misura che dovrebbe sempre favorire l’economia circolare, presentata con orgoglio post Cdm dal ministro del Mase Gilberto Pichetto Fratin e dalla viceministro Vannia Gava, ovvero il «rafforzamento dell’Albo dei Gestori ambientali», ecco in concreto in cosa si traduce: «Il Comitato nazionale dell’Albo nazionale dei gestori ambientali è integrato di due membri, uno designato dalle organizzazioni rappresentative della categoria degli autotrasportatori e uno designato dalle organizzazioni rappresentative dei gestori dei rifiuti, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica».
Non va meglio sulle misure di «lotta al dissesto idrogeologico», che si riducono, come spiegano sempre i vertici del Mase, ad attività «per la programmazione e il monitoraggio degli interventi, che garantiscano l’interoperabilità tra le banche dati esistenti» e un’altra decisione che se da un lato può far piacere alle regioni più a rischio, dall’altro può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Vengono infatti rafforzati i poteri dei presidenti di Regione in qualità di Commissari, ma «prevedendo anche un meccanismo di revoca delle risorse per gli interventi, finanziati col fondo progettazione, che non abbiano conseguito un determinato livello di progettualità». Insomma, stop ai soldi se qualche regione secondo il governo non ha raggiunto i target.
Ma è soprattutto sui procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale che il decreto legge delude. Se sulle rinnovabili il governo ha già incassato una bocciatura totale da parte non solo del mondo ambientalista ma anche dell’intero settore dell’energia elettrica dopo che ha approvato il decreto Aree idonee, il decreto Agricoltura e infine il Testo unico sulle rinnovabili, ora con questo decreto Palazzo Chigi ha perso un’altra occasione per favorire eolico e fotovoltaico come fonti di energia alternative ai combustibili fossili. Come? Escludendo gli impianti off-shore da quelli che usufruiscono di priorità nelle valutazioni di impatto ambientale (Via).
Spiega infatti il Mase in una nota che di fronte alla gran mole di istanze da sottoporre alle Commissioni di valutazione ambientale Via-Vas e Pnrr-Pniec, «si interviene prevedendo una priorità nell’ordine di trattazione delle istanze», ovvero «una ‘corsia veloce’ è attribuita in particolare a progetti di interesse strategico nazionale, privilegiando l’affidabilità, la sostenibilità tecnico-economica, il contributo agli obiettivi Pniec, l’attuazione di investimenti Pnrr e la valorizzazione dell’esistente». E all’articolo 1 del decreto appena approvato da Palazzo Chigi si legge che i progetti strategici cui dare priorità sono quelli «fotovoltaici on-shore e agrivoltaici on-shore di potenza nominale pari almeno a 50 MW e i progetti eolici on-shore di potenza nominale pari almeno a 70 MW». E gli off-shore? Sono esclusi. Una decisione duramente contestata dall’Associazione delle energie rinnovabili off-shore (Aero) che per bocca del presidente Fulvio Mamone Capria sottolinea che «questa lacuna normativa non soltanto rischia di compromettere il ruolo che il nostro settore può rappresentare per il Paese, ma soprattutto di rallentare la nascita di quella grande industria e filiera nazionale legata allo sviluppo di decine di progetti di rinnovabili dal mare».
Ora che il decreto legge dovrà passare all’esame del Parlamento, l’associazione Aero intende porre all’attenzione di tutti i gruppi politici parlamentari «questa criticità affinché si possano garantire le necessarie certezze ai tanti investitori che nel nostro Paese stanno impegnando centinaia di milioni di euro per questi straordinari e innovativi progetti».
Mamone Capria snocciola qualche cifra, per rendere chiaro di cosa si sta parlando, sottolineando che le aziende aderenti all’associazione hanno presentato al Mase progetti di energia rinnovabile off-shore con un potenziale di 40 GW e che «con richieste di connessione a Terna di oltre 80 GW, Via rilasciate per oltre 1 GW e procedimenti in corso per oltre 14 GW è impensabile che non ci si renda conto del potenziale delle rinnovabili dal mare»: «La sola realizzazione del 10% nei prossimi anni delle attuali richieste di connessione consentirebbe all’Italia di produrre energia pulita pari a quasi il 7% del fabbisogno nazionale, con una riduzione di emissioni di CO2 senza precedenti. Questo processo ci consentirà di non tardare nel raggiungimento degli obiettivi europei, già minacciati dal malgoverno di alcuni territori, dalle fake news che minacciano la crescita delle rinnovabili, da un aumento dei consumi energetici futuri vertiginoso».