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Brandolini (Utilitalia): «Il comparto delle utility e quello agricolo possono cooperare in maniera sempre più stretta»

L'agricoltura consuma 17 miliardi di metri cubi d'acqua l’anno, ma reflui depurati solo nel 4,6% dei terreni irrigati

Il rapporto e le quattro proposte di Legambiente per rendere più sostenibile l’impronta idrica del comparto agricolo italiano
 |  Crisi climatica e adattamento

A quasi sei anni dalla scadenza degli obiettivi 2030, l’agricoltura italiana ha un’impronta idrica ancora troppo poco sostenibile ed è sotto scacco della crisi climatica. A denunciarlo è Legambiente in occasione del VI Forum Acqua organizzato oggi a Roma in collaborazione con Utilitalia. Tra i principali aspetti evidenziati dal Cigno verde c’è il fatto che il comparto agricolo richiede troppa acqua: 17 miliardi di metri cubi in media all’anno. Non solo. Un altro dato su cui riflettere è che appena il 4,6% dei terreni irrigati utilizza acque reflue depurate. Inoltre, preoccupa l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi che incidono anche su qualità di acqua e falde, ma l’agricoltura è anche la più colpita dalla crisi climatica, che la coglie sempre più impreparata. 

Negli ultimi 4 anni, infatti si sono verificati ingenti danni dovuti soprattutto a grandine (58%), siccità (27%) e allagamenti (10%) ed esondazioni fluviali (4%). Le regioni più colpite sono state: Piemonte, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Sardegna.

Ritardi e danni che pesano sul Paese e su un settore che però ha un potenziale inespresso, sottolinea Legambiente: con l’irrigazione a goccia i consumi ridotti di acqua si attestano su un intervallo stimato tra il 40% e il 70%, mentre il recupero e il riutilizzo delle acque reflue potrebbero coprire fino al 45% della domanda irrigua in Italia. Da qui l’appello che il Cigno verde lancia al governo Meloni: «L’agricoltura è l’ago della bilancia della gestione sostenibile della risorsa idrica.  Le nostre proposte: la via principale da seguire è quella dell’agroecologia e delle buone pratiche agricole con un modello agricolo meno idroesigente, più vocato al risparmio e al riutilizzo dell’acqua, più attento a innovazione e tecnologia, ma servono anche più strategie per la mitigazione degli input chimici e occorre regolamentare la tariffazione e aggiornare i canoni di derivazione anche per l’uso irriguo». 

Per Legambiente, ottimi risultati possono derivare dall’agroecologia, dalle buone pratiche, dall’agricoltura 4.0 e dal recupero e riutilizzo delle acque reflue depurate e quelle piovane.  Lavorando su queste “aree di intervento”, è il messaggio, il comparto agricolo sarebbe più sostenibile, consumerebbe meno acqua e sarebbe più resiliente alla crisi climatica. Occorre infatti puntare sul cambiamento del modello agricolo e passare da quello intensivo basato sulla chimica e la monocultura a quello agroecologico che riduce l’utilizzo della risorsa idrica attraverso piante meno idroesigenti, aumento della sostanza organica nei suoli e buone pratiche colturali. L’agroecologia, capace di coniugare sostenibilità ambientale e innovazione, con un’attenzione particolare alla salute del consumatore, secondo uno studio italo-francese, può portare importanti benefici socioeconomici.

L’agricoltura 4.0, sottolinea Legambiente, garantirebbe l’ottimizzazione dei processi produttivi migliorando la qualità dei prodotti, l’irrigazione di precisione permetterebbe la riduzione del consumo di acqua fino al 70%, mentre il recupero e il riutilizzo delle acque reflue e depurate in agricoltura, stando ai dati di Utilitalia, potrebbe coprire fino al 45% della domanda irrigua in Italia. In particolare, Legambiente ricorda che se opportunamente trattata, dai depuratori esce un potenziale di 9 miliardi di m³ all’anno di acqua ricca di nutrienti. Una risorsa preziosa su cui il Paese dovrebbe puntare dandosi degli obiettivi di crescita con un riutilizzo in agricoltura del 20% delle acque reflue depurate entro il 2025, il 35% entro il 2027 e il 50% entro il 2030. 

Per l’associazione ambientalista serve anche colmare allo stesso tempo i ritardi normativi che rallentano la diffusione di queste pratiche, come quelli relativi alla redazione del Decreto presidente della repubblica che ne regolamenterà il riutilizzo delle acque reflue trattate per i molteplici usi irrigui, industriali civili e ambientali e su cui Legambiente chiede di accelerare il passo.  E poi c’è la questione del recupero e riutilizzo delle acque piovane, un potenziale importante, su cui serve una visione strategica capillare sul territorio che favorisca l’accumulo e la reimmissione in falda e che avrebbe anche l’effetto di mitigare e ridurre i danni di eventi meteo estremi.

«L’acqua – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è una risorsa vitale ma anche sempre più scarsa a causa di stress idrico e siccità. Per questo è fondamentale utilizzarla meglio e meno e in questa partita l’agricoltura ha un ruolo strategico. Occorre, perciò, mettere al primo posto l’agroecologia e le buone pratiche agroecologiche che, al contrario dell’agricoltura intensiva e della monocultura, ci permettono di utilizzare meno acqua rispondendo al meglio alla crisi climatica, agli eventi meteo estremi, all’abbassamento delle falde e ai fenomeni di desertificazione a cui stiamo assistendo in modo sempre più frequente. Per mettere a sistema il grande potenziale del comparto agricolo, bisogna unire interventi di economia circolare, innovazione tecnologica, prevenzione, promuovere colture meno idroesigenti, il recupero delle acque reflue depurate in agricoltura, diffondere la produzione di biologico e dare attuazione anche alle progettualità già previste dal PNRR sul risparmio idrico in agricoltura. Così potremmo avere un’agricoltura più sostenibile, più attenta alla qualità dei suoi prodotti, e più preparata a fronteggiare la crisi climatica».

«Il comparto delle utilities e quello agricolo – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia – possono cooperare in maniera sempre più stretta per fornire risposte sostenibili alle sfide dell’adattamento al cambiamento climatico: il riuso delle acque depurate rappresenta un tassello importante insieme alla costruzione di invasi a uso plurimo, all’utilizzo dei fanghi di depurazione e dei rifiuti organici come fertilizzanti, fino al recupero del fosforo e alla produzione di biometano. Il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura è una soluzione che dovrebbe diventare strutturale applicando all’acqua, laddove economicamente sostenibile, gli stessi principi dell’economia circolare. I gestori sono pronti a fare la propria parte, considerando che il nostro Paese ha depuratori di ottima qualità: auspichiamo una pubblicazione tempestiva dell’aggiornamento del DM 185/2003 alle disposizioni del Regolamento europeo 2020/741. È, inoltre, necessario individuare misure incentivanti anche per la copertura dei costi connessi alla realizzazione e gestione degli impianti e delle infrastrutture necessarie».

Redazione Greenreport

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