Emergenza cervi: la Regione Abruzzo non può guardare solo all’abbattimento
Dopo le associazioni animaliste e ambientaliste e forze politiche di opposizione, anche Legambiente critica la delibera approvata nei giorni scorsi dalla giunta regionale di destra-centro della Regione Abruzzo che autorizza l’abbattimento di quasi 500 cervi
La presidente di Legambiente Abruzzo, Silvia Tauroha detto che «Pur sottolineando il ruolo di garanzia del parere favorevole dell’Ispra rispetto a quanto previsto nel piano venatorio regionale rilasciato dalla Regione Abruzzo con la DGR 509 del 08/08/2024 è inaccettabile che, a fronte di una riconosciuta necessità di gestione faunistica del cervo, l’unica modalità che si ritiene effettivamente di mettere in campo è quella venatoria, sancendo di fatto una mancata volontà di programmazione e pianificazione della politica regionale rispetto a una situazione che non può considerarsi davvero emergenziale o straordinaria, e che ad oggi, nell’Abruzzo Regione dei Parchi, non può limitarsi a soluzioni cruente e divisive e perdipiù di efficacia ambigua».
Legambiente fa notare che «E’ dalla lettura dello stesso Piano di Gestione degli ungulati elaborato dalla D.R.E.A.M. che si evince infatti come “Risulta evidente che non sarà una stagione venatoria a ristabilire equilibri”, ma che anzi perseguendo tale strada saranno necessari decenni per un effettivo contenimento dei numeri della specie, e solo con un incremento della capacità di prelievo, e, quindi, a limitare davvero i danni a persone, cose e attività produttive. Mentre da un lato è sempre il Piano di Gestione a evidenziare come nella “ ricostruzione storica dei dati di conteggio sono state riscontrate alcune difficoltà in quanto la raccolta e archiviazione non è stata fatta in modo univoco all’interno di tutti gli enti, nonostante le indicazioni circa le modalità da adottare nelle varie fasi fossero note a tutti a partire dal 2018 e “Solo una parte dei soggetti, evidenziando un approccio tecnico corretto alla questione, è stata in grado di fornire quanto richiesto permettendo di ricostruire la dinamica in modo più adeguato rispetto ad altri contesti dove sono stati forniti dati riepilogativi e non puntuali, rendendo meno affidabile la ricostruzione storica.”, resta invece centrale lavorare proprio sulle cause e le dinamiche che determinano la proliferazione e gli spostamenti territoriali della specie, elaborando soluzioni che oggi sul nostro territorio devono tenere in considerazione molteplici fattori ambientali e antropici, per soluzioni a lungo termine, che tengano insieme esigenze di controllo e di protezione della fauna selvatica e sicurezza dell’uomo e delle sue attività».
Il Cigno Verde ricorda che «Cambiamento climatico (che determina anche cambiamenti nei comportamenti degli animali), interazioni tra specie, spopolamento delle aree interne, abbandono di terre un tempo coltivate o destinate a prato o pascolo, mancanza di infrastrutture e investimenti di road ecology e veri corridoi ecologici: sono molteplici i fattori da tenere in considerazione e su cui lavorare, anche in collaborazione con le associazioni di categoria, per migliorare la capacità faunistica dei nostri territori dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Mentre sul breve termine l’uso delle armi non è mai la soluzione, ma solo un’estrema ratio, e che comunque nulla a che fare con la caccia indiscriminata (che anzi è scientificamente riconosciuta come controproducente) ed è fondamentale che vengano privilegiate altre pratiche, tra cui le catture, lavorando allo stesso tempo sulla prevenzione dei danni con pratiche ecologiche, sostenute anche da nuove tecnologie, è sul lungo periodo che va pensata una strategia di gestione che, come sottolineato proprio dalle linee guida dell’ ISPRA, non può comunque prescindere “da un sistema omogeneo di dati su scala nazionale”»
Per Legambiente, «L’Abruzzo deve continuare a elaborare strategie che puntino alla convivenza del suo enorme capitale naturale con le comunità, organizzando una reale convivenza tra uomo e natura, leggendo le diverse esigenze territoriali tra tutela, ricostruzione degli ecosistemi danneggiati e sviluppo sostenibile, gestendo in maniera corretta e lungimirante le interazioni tra la fauna e le attività umane e non solo rispondendo in maniera emergenziale in caso di danni, che, è importante ribadirlo, con gli abbattimenti non troveranno una soluzione immediata ed efficace».
Stefano Raimondi, responsabile nazionale Biodiversità di Legambiente, conclude: «Va cambiato l'approccio anche culturale al problema in quanto è stato proprio il ricorso alle pratiche venatorie, che in questi anni è stato utilizzato come unico modello di contenimento della fauna, ad aver fallito. L’approccio venatorio che sta alla base del provvedimento per la risoluzione di una questione legata alla gestione della fauna cacciabile non è quello corretto, volendo consegnare nelle mani di chi ha anche contribuito a creare il problema, cioè il mondo venatorio e degli armieri, la risoluzione del problema stesso».