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«Dazi? A pagare saranno i consumatori americani»: l’analisi dell’Osservatorio conti pubblici italiani
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Con i nuovi dazi al 25% su acciaio e alluminio Donald Trump punta a colpire soprattutto la Cina, che esportando a prezzi ridotti mette in difficoltà l’industria del settore statunitense. Ma economisti di diverse nazionalità, scuole di pensiero e orientamento politico stanno pubblicando articoli che mettono in luce le ripercussioni negative che la strategia trumpiana avrà non solo sulle nazioni alleate degli Stati Uniti, ma anche sulla popolazione americana. Da noi, l’Osservatorio conti pubblici italiani (Cpi) ha pubblicato una dettagliata analisi a firma Giampaolo Galli da cui emerge che i dazi sono «controproducenti per gli Stati Uniti perché sono una tassa sui consumatori e sulle imprese americane che acquistano input intermedi e materie prime dall’estero» e in più causano aumento dell’inflazione e diminuzione della competitività per le aziende americane «con effetti negativi sulla crescita e sulla creazione di posti di lavoro». Non a caso, viene ricordato, un giornale che tra l’altro è di taglio conservatore come il Wall Street Journal ha definito i dazi decisi da Trump «i più stupidi della storia».
L’analisi pubblicata dal Cpi evidenzia tutti i motivi per cui i dazi sono un danno per il ruolo internazionale degli Usa, a cominciare dal fatto che colpiscono soggetti alleati come Canada, Ue, Giappone e dalle prevedibili misure di ritorsione da parte dei paesi colpiti dalla misura economica. Vengono anche presentati i risultati di alcune simulazioni che mostrano che in una guerra commerciale con pochi Paesi (per esempio Canada e Messico) risulterebbero verosimilmente vincenti gli Stati Uniti, perché l’economia americana dipende molto poco dalle esportazioni. Ma viene anche evidenziato che il risultato cambierebbe se Trump volesse davvero mettere altri dazi indiscriminatamente su quasi tutte le importazioni statunitensi. Infatti in questo caso, sottolinea il Cpi, a fare la differenza è il fatto che le importazioni Usa sono solo il 5% del Pil del resto del mondo, mentre le esportazioni Usa (oggetto di possibili ritorsioni) sono l’11% del Pil Usa. Evidenzia dunque il Cpi: «Dal punto di vista geopolitico, i dazi sui Paesi amici sconvolgono e lacerano il quadro di relazioni su cui si sono basati l’influenza e il potere degli Stati Uniti nello scenario mondiale in tutto il secondo Dopoguerra».
Tra l’altro un focus sui rapporti tra Usa e Ue, mostra ancora una volta quanto poco sia lungimirante la strategia trumpiana. Un’altra analisi sempre dell’Osservatorio conti pubblici italiani fa vedere che c’è un sostanziale equilibrio nell’interscambio di beni e servizi tra Stati Uniti e Unione europea – squilibrio a sfavore americano era di solo lo 0,2% del Pil nel 2023 – e dunque anche in questo quadro più ristretto la decisione di procedere con i dazi appare ingiustificata. Ciò però non vuol dire che una serie di dazi nei confronti dei prodotti Ue non abbia ripercussioni su determinati stati membri. E, secondo l’analisi pubblicata dal Cpi, sarebbe proprio l’Italia uno dei Paesi che più avrebbe danni. In valore assoluto siamo infatti al secondo posto in Ue per esportazioni verso gli Usa (67,2 miliardi nel 2023). In rapporto al Pil siamo al sesto posto (3,2% del Pil). Tra l’altro, contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, non è il settore alimentare a essere in cima alla classifica per prodotti esportati, bensì quello dei macchinari, prevalentemente industriali, e dei mezzi di trasporto.
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