
La “nuova” Siria tra il massacro degli alawiti e l’accordo con i kurdi

Presentando un primo report sulla strage di alawiti – vicini al regime dell’ex presidente siriano Bashir al Assad fuggito in Russia – da parte di milizie sunnite che appoggiano il nuovo governo siriano, ParlamThameen Al-Kheetan, portavoce dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani (OHCHR), ha denunciato che «Continuano ad emergere notizie sulla preoccupante portata della violenza nella regione costiera della Siria dal 6 marzo. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha finora documentato l'uccisione di 111 civili, ma il processo di verifica è in corso e si ritiene che il numero effettivo delle persone uccise sia significativamente più alto. Molti dei casi documentati riguardavano esecuzioni sommarie. Sembra che siano state eseguite su base settaria, nei governatorati di Tartus, Latakia e Hama - presumibilmente da individui armati non identificati, membri di gruppi armati che presumibilmente supportavano le forze di sicurezza delle autorità provvisorie e da elementi associati al precedente governo».
Al-Kheetan ha rivelato che «In una serie di casi estremamente inquietanti, intere famiglie, tra cui donne, bambini e individui non belligeranti, sono state uccise, con città e villaggi prevalentemente alawiti particolarmente presi di mira. Secondo molte testimonianze raccolte dal nostro Ufficio, i colpevoli hanno fatto irruzione nelle case, chiedendo ai residenti se fossero alawiti o sunniti prima di procedere all'uccisione o alla loro salvezza. Alcuni sopravvissuti ci hanno raccontato che molti uomini sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco di fronte alle loro famiglie».
Mentre il nuovo governo di Damasco si proclama estraneo alle stragi, il portavoce OHCHR lo smentisce nei fatti: «Tra il 6 e il 7 marzo, individui armati, presumibilmente affiliati alle forze di sicurezza del precedente governo, hanno fatto irruzione anche in diversi ospedali di Latakia, Tartus e Baniyas. Si sono scontrati con le forze di sicurezza delle autorità di custodia e con gruppi armati affiliati. Questo ha causato decine di vittime civili, tra cui pazienti, dottori e studenti di medicina, e danni agli ospedali. Altre violazioni e abusi registrati negli ultimi giorni includono saccheggi diffusi di case e negozi, principalmente da parte di individui non identificati che sembrano aver approfittato della situazione caotica sul campo. Molti civili sono fuggiti dalle loro case verso aree rurali, mentre alcuni avrebbero anche cercato rifugio in una base aerea controllata dalle forze russe nella zona. Le autorità ad interim hanno annunciato la fine delle operazioni di sicurezza nelle aree costiere il 10 marzo. Tuttavia, continuano a essere segnalati scontri intermittenti».
L’ OHCHR ha documentato resoconti e filmati di violazioni e abusi e sottolinea che «Le tensioni sono state alimentate anche dal crescente incitamento all'odio, online e offline, e dall’estesa diffusione di disinformazione, inclusi filmati estrapolati dal contesto, che hanno ulteriormente esacerbato la paura tra la popolazione. Siamo preoccupati che il notevole aumento di incitamenti all'odio e disinformazione rischi di infiammare ulteriormente le tensioni e danneggiare la coesione sociale nella società siriana».
L'Alto Commissario Onu per i diritti umani Volker Türk sollecita «L'assunzione di responsabilità per tutti questi crimini. Accoglie con favore l'annuncio da parte delle autorità di custodia di un comitato di inchiesta indipendente e chiede loro di garantire che le indagini intraprese siano rapide, approfondite, indipendenti e imparziali. Tutti coloro che sono ritenuti responsabili di violazioni devono essere ritenuti responsabili, indipendentemente dalla loro affiliazione, in linea con le norme e gli standard del diritto internazionale. Le vittime e le loro famiglie hanno diritto alla verità, alla giustizia e alle riparazioni. Per garantire che violazioni e abusi così strazianti non si ripetano, è fondamentale che il processo di verifica e integrazione delle fazioni armate nelle strutture militari siriane sia in linea con gli obblighi del Paese ai sensi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e tenga pienamente conto della responsabilità di tutti coloro che sono stati coinvolti in violazioni dei diritti umani passate o recenti in Siria».
Intanto, l'Onu ha accolto con favore l'accordo firmato il 10 marzo dai leader delle Autorità provvisorie in Siria e delle Syrian Democratic Forces (SDF) guidate dai curdi del Rojava e che hanno rappresentato un bastione dell'opposizione armata all'ex regime di Assad, controllando una vasta fascia di territorio nel nord-est della Siria. L'accordo, vedrà le unità combattenti delle SFD – delle quali fanno parte anche movimenti progressisti arabi e altre minoranze etniche - integrate nell'esercito nazionale siriano e riconosce i kurdi come parte integrante dello Stato.
L'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, ha espresso la speranza che «L'accordo possa aumentare il sostegno e alimentare un processo di transizione politica più ampio, credibile e inclusivo, in linea con i principi fondamentali della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza , che porti a una nuova costituzione e a elezioni libere ed eque».
Quello firmato da Mazlum Abdi, comandante in capo delle SDF, e da Ahmed al-Sharaa, leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e autoproclamato presidente del governo di transizione siriano, è un accordo che potrebbe istrutturare il panorama istituzionale della Siria e i cui punti chiave includono: 1 Inclusione politica e istituzionale : tutte le componenti religiose ed etniche della Siria trarranno beneficio dalla rappresentanza e dal diritto di partecipare al processo politico e alle istituzioni statali. 2 Riconoscimento dei diritti kurdi: il testo riconosce la comunità curda come autoctona della Siria e le garantisce tutti i suoi diritti costituzionali e civili. 3 Attuazione di un cessate il fuoco generale: la cessazione delle ostilità sarà attuata su tutto il territorio siriano. 4 Integrazione delle istituzioni della Siria nord-orientale: le infrastrutture civili e militari, compresi i valichi di frontiera, gli aeroporti e le risorse energetiche, saranno poste sotto la gestione dello Stato siriano. 5 Rientro e protezione degli sfollati: tutti i siriani fuggiti dalle loro case potranno tornare nelle loro città e nei loro villaggi sotto la protezione delle autorità siriane. 6 Contrastare le minacce residue del regime di Assad: l'accordo impegna i firmatari a sostenere la stabilizzazione del Paese di fronte a qualsiasi minaccia alla sua sicurezza e unità. Rifiuto di divisioni e discorsi d'odio: ogni tentativo di dividere o diffondere discorsi settari sarà contrastato. 7 Monitoraggio dell'attuazione dell'accordo: i comitati esecutivi saranno responsabili di garantire l'attuazione di questi impegni entro la fine dell'anno.
Salih Muslim, Uno dei leader del Partiya Yekîtiya Demokrat (PYD), IL Partito egemone in Rojava, ha commentato: «In sostanza, accettiamo di fare la pace e di far parte di questo Stato. Naturalmente, prenderemo il nostro posto in questo Stato proteggendo i nostri diritti e la nostra identità. Lo abbiamo sempre detto, quindi non siamo esclusi».
A chi presenta l’accordo come una "capitolazione" dei Kurdi, Muslim risponde che la realtà è diversa: «La conclusione di un simile accordo rappresenta per noi una vittoria importante. Se qualcosa di simile accadesse nel Kurdistan settentrionale (il Kurdistan turco, ndr), sarebbe molto utile».
Il leader del PYD smentisce anche che – come dice il governo della Turchia - il leader del PKK Abdullah Öcalan abbia chiesto nella sua lettera al Rojava il disarmo o l'abbandono dell'autodifesa e che l’accordo è invece in linea con le proposte avanzate da Öcalan: «Noi facciamo parte della Siria. Vogliamo vivere insieme. Vogliamo preservare la nostra unicità. Tutto questo è incluso nel presente accordo».
Sul fronte umanitario, prosegue la fornitura di assistenza transfrontaliera dalla Turchia alla Siria nordoccidentale. Il portavoce dell’Onu Stéphane Dujarric ha confermato che «Circa 31 camion del World Food Programme (WFP), dell' International Organization for Migration (IOM) e dell'agenzia per i rifugiati, UNHCR, hanno attraversato il valico di Bab al-Hawa dalla Turchia alla Siria, consegnando più di 600 tonnellate di rifornimenti, tra cui cibo, kit per riparare gli alloggi e kit per l'igiene. Questo aiuto tanto necessario arriva mentre noi e i nostri partner continuiamo a cercare di mobilitare l'assistenza per le persone bisognose, comprese quelle sfollate a causa della recente violenza».
