Crisi politica in Francia, Greenpeace: rimettere al centro la giustizia sociale, fiscale e climatica
Cinque mesi dopo il secondo turno delle elezioni legislative che avevano visto al primo posto il Front Populaire rosso-verde, dopo un dibattito durissimo e caotico sul bilancio 2025, l’Assemblée nationale ha votato la sfiducia al governo francese costringendo l’ormai ex primo ministro gaullista Michel Barnier, imposto dal Presidente Emmanuel Macron, ad attivare l'articolo 49.3.
Per Greenpeace France, «Con questo evento, la vita politica francese sprofonda ulteriormente in una crisi democratica che si aggiunge alla crisi ecologica, sociale ed economica».
Jean-François Julliard, direttore generale di Greenpeace France spiega bene quel che è successo e perché: «Questa situazione senza precedenti segnala il fallimento di una strategia pericolosa e irresponsabile: quella della nomina di un primo ministro proveniente da un partito di minoranza e sconfitto nelle precedenti elezioni, e del compromesso con l’estrema destra. Oltre a gettare il Paese in un’impasse democratica, questa strategia ha portato a una proposta di bilancio che ignorava l’emergenza ecologica, un’equa ripartizione dello sforzo fiscale ed era sorda ai bisogni fondamentali della popolazione: nutrirsi, viaggiare, alloggiare , assistenza sanitaria e vivere con dignità».
Per Greenpeace France «L’iter del bilancio avrebbe dovuto essere un’opportunità per andare avanti nel campo di una tassazione più giusta ed ecologica. Sul tavolo c’erano proposte progressiste in questa direzione, ad esempio l’istituzione di una ISF climatique (Impôt Sur la Fortune, ndr) o addirittura una tassazione sostenibile e significativa dei superprofitti e dei dividendi distribuiti dai grandi gruppi privati, in particolare dalle industrie inquinanti».
L’organizzazione ambientalista ricorda che «il ritardo nell'adozione del bilancio ritarda ulteriormente la transizione energetica, ecologica e sociale» e Julliard aggiunge: «Il presidente Emmanuel Macron ha una pesante responsabilità nella situazione attuale. Dopo diversi anni di politiche ultraliberali e di inazione ambientale che hanno impoverito il Paese alimentando il voto di estrema destra, è urgente prendere una svolta decisiva. Il prossimo governo deve rimettere la giustizia sociale, fiscale e climatica al centro dell’azione pubblica per soddisfare finalmente i bisogni dei cittadini e garantire un futuro sostenibile».
France insoumise - Nouveau Front Populaire (NFP), che ha presentato la mozione di sfiducia votata anche dalla desta del Rassemblement National di Marine Le Pen, accusava Barnier e Macron di aver avviato il 49-3, »Per svuotare le casse della Previdenza Sociale attraverso la sua legge finanziaria» e che se ci fosse riuscito si prospettava un futuro fatto di «Ospedali in rovina, badanti sottopagati, pensioni congelate, consulenze e medicinali troppo cari, tassa sugli apprendisti... e accusava anche la destra di collaborare con il governo centrista neoliberista: «Contrariamente a quanto dice il Rassemblement National, Barnier non fa concessioni su nulla. Esempio: promette di non “definanziare i medicinali nel 2025 in applicazione del PLFSS”. Si riserva pertanto il diritto di farlo mediante qualsiasi altro testo di legge!»
Il NFP è stato facile profeta nel prevedere che la prova di forza, tentata da un governo di centro sostenuto da molti deputati eletti al secondo turno solo grazie al voto repubblicano e antifascista della sinistra, era in realtà un segno di debolezza di Macron che sarebbe finito con la caduta di Barnier.
France insoumise - Nouveau Front Populaire evidenzia che «E’ tempo di uscire da questa situazione di instabilità nella quale Emmanuel Macron ha gettato il Paese per mantenere a tutti i costi la sua politica a favore dei ricchi e del capitale. Oggi più che mai ha due opzioni: nominare un governo del Nouveau Front Populaire o andarsene in modo che la gente possa tornare alle urne».
Ma Écologistes - Europe Ecologie Les Verts (EELV), uno degli altri tre principali partiti del Front Populaire insieme a socialisti e comunisti, dicono che «In una situazione eccezionale, una soluzione eccezionale. Abbiamo bisogno di un sistema transitorio di emergenza commisurato al momento di crisi che stiamo vivendo.
Marine Tondelier, segretaria nazionale degli Écologistes – EELV ricorda che »Il 30 giugno e il 7 luglio il popolo francese si è mobilitato in maniera massiccia, conferendo alla rappresentanza nazionale una forte legittimità democratica. Decidendo di sciogliere l’Assemblée Nationale, il presidente ha chiesto chiarimenti. Dai risultati elettorali sono emersi tre fatti principali: Una forte domanda di cambiamento per quanto riguarda le politiche portate avanti dalle maggioranze al potere dal 2017. Forti aspettative sono state espresse in particolare in termini di giustizia sociale e fiscale, potere d’acquisto, lotta al cambiamento climatico, servizi pubblici di difesa o anche di protezione e sicurezza. Il rifiuto di un modo di governare senza consultazione o considerazione degli organismi intermediari, contribuendo così all’abbrutimento del Paese. Il netto rifiuto del progetto proposto da un'estrema destra, la cui patina di rispettabilità non è durata a lungo durante quella campagna elettorale. Ancora una volta, fedeli al motto della nostra Repubblica, i francesi hanno fatto una barriera repubblicana al Rassemblement national».
Ma oggi il primo segretario socialista, Olivier Faure, è stato ricevuto all'Eliseo da Emmanuel Macron. La sua proposta di una coalizione «a tempo determinato», basata su «concessioni reciproche», è stata criticata dal leader della sinistra Jean-Luc Mélenchon: «Nulla di ciò che dice o fa è a nome nostro o del NFP. France insoumise non ha conferito alcun mandato” al signor Faure, scrive il signor Mélenchon. Né per andare da solo a questo incontro, né per negoziare un accordo e fare “concessioni reciproche” a Macron e A Les Républicains. Nulla di ciò che dice o fa” è a nome nostro o del NFP».
Un no all’iniziativa socialista viene anche dal dimissionario ministro della Interno Bruno Retailleau (Les Républicains, LR) , per il quale «la destra non potrà scendere a nessun compromesso con la sinistra. Questa parte della sinistra che ha stretto un patto con gi “insoumis”, si è rifiutata di denunciare gli eccessi folli dei mélenchonisti dopo il 7 ottobre e ha votato una mozione di censura irresponsabile», poi ha fatto un distinguo tra “compromessi”, che la destra potrebbe “accettare”, e “compromissionii”.
Intervistato da Franceinfo, Faure ha detto che «La trattativa con i macronisti e la destra non riguarderà tutte le forze del Nouveau Front Populaire, poiché gli “insoumis” si sono autoesclusi da questa discussione». Anche se gli “insoumis” sono in realtà la maggioranza della sinistra e sono quelli che hanno fatto cadere il governo.
Rispondendo alle domande dei giornalisti al suo arrivo all'Eliseo, Faure ha nuovamente chiesto «Un primo ministro di sinistra» come prerequisito per le discussioni tra il Parti socialiste (PS), i macronisti e la destra repubblicana: «Non si tratta evidentemente di rinunciare a ciò che siamo».
Gli ha ribattuto la senatrice Agnès Evren (LR) su BFM-TV: «A condizione che si tratti di un primo ministro di destra, ovviamente [LR] può lavorare con deputati di sinistra. Se sarà François Bayrou [a essere nominato primo ministro , ovviamente non ci sarà alcuna sfiducia al governo da parte del partito».
La verde Tondelier ha detto: «Mi preoccupa il fatto che [Emmanuel Macron] non abbia ancora chiamato né i comunisti né gli ambientalisti, che abbiano espresso il loro desiderio di partecipare ad un approccio costruttivo. Ho chiesto un incontro con il presidente ma non ho ricevuto un invito, a differenza di altri leader del Partito».
Escluso dalle consultazioni di oggi anche il segretario nazionale del Parti communiste français (PCF), Fabien Roussel, che oggi su X chiede al presidente della Repubblica di «Costruire un patto repubblicano e sociale. Siamo perfettamente consapevoli che nessuna coalizione detiene la maggioranza assoluta (...) , costringendo ogni gruppo politico a lavorare (...) su compromessi», Per questo il PCF non chiede un accordo di govero basato sul programma del Nouveau Front Populaire, ma su 6 misure economiche e sociali.
Per i verdi il partito di Marine Le Pen non può più essere l’arbitro del futuro della Francia e la Tondelier sottolinea che «Il Presidente della Repubblica deve rispettare i risultati delle elezioni legislative e rivolgersi agli ambientalisti e alla sinistra per governare, scegliendo tra loro un Primo Ministro. Se gli elettori hanno posto il Nouveau Front Populaire alla testa delle elezioni, sappiamo che questa maggioranza è solo relativa. Da qui alle prossime elezioni, dobbiamo riscoprire nell’Assemblea lo spirito del Fronte repubblicano, rifiutando ogni compromesso e ogni trattativa con l’estrema destra e dandoci un doppio obiettivo: rispondere alle emergenze sociali, economiche ed ecologiche del nostro Paese. e fornire un quadro di bilancio credibile e unitario per il 2025. Noi ambientalisti crediamo fermamente che sia possibile raggiungere accordi a maggioranza sulle principali preoccupazioni dei francesi, in modo che i prossimi mesi consentano progressi concreti, che migliorino la loro vita quotidiana e preservino il loro domani».
La leader degli Écologistes – EELV guarda al futuro e conclude: «Dobbiamo anche definire una nuova modalità di voto, proporzionale, più idonea a ottenere maggioranze nette nella futura assemblea, senza la quale il nostro Paese rischia di rimanere nuovamente paralizzato. Nell’impasse politica in cui ci troviamo, i francesi non ci perdonerebbero di non aver tentato di concordare un piano di emergenza transitorio».
I Verdi hanno chiesto agli altri partiti del Nouveau Front Populaire «Un incontro, per delineare questo orizzonte che dovrebbe permetterci di risanare la situazione politica e di bilancio del nostro Paese ripristinando la fiducia nelle nostre istituzioni democratiche».
Intanto, dopo la caduta del governo che la Sinistra chiama dell’usurpatore Michel Barnier, la Francia si sta mobilitando e in molti chiedono le dimissioni di Macron quella che li ha sprofondati. “Macron démission” è lo slogan già visibile su numerosi cartelli, davanti a picchetti di scioperanti, facoltà occupate o manifestazioni spontanee.
Ieri sono stati la Pubblica Amministrazione e l’industria energetica a dare il via alle proteste. Ma già i taxisti avevano iniziato a mobilitarsi il 3 dicembre e questo fine settimana sarà il turno degli agricoltori che scenderanno per le strade contro gli accordi internazionali di libero scambio. L'11 dicembre i ferrovieri inizieranno uno sciopero “rinnovabile e illimitato” contro lo smantellamento di Fret SNCF. Tutte le categorie si stanno mobilitando attorno ad un nucleo comune: poter vivere dignitosamente con un reddito sufficiente. «Una situazione impossibile in epoca macronista» commenta La France insoumise.
E il 63% dei francesi è favorevole alle dimissioni di Macron da presidente. «Da oggi e dall'11 dicembre con i ferrovieri e le altre professioni, colpiamo forte e prepariamoci a governare per cambiare le cose! - ha dichiarato Bérenger Cernon, macchinista e deputato di La France insoumise, al microfono di Insoumission - La mobilitazione popolare è infatti l'unica opzione per concretizzare l'ipotesi delle dimissioni del Presidente della Repubblica.