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Guerra in Siria: il 2024 è stato l’anno più violento dal 2020. E i bombardamenti israeliani aggravano la situazione

La comunità internazionale ha abbandonato un Paese in cui 16,7 milioni di persone, più del 70% della popolazione, hanno già bisogno di assistenza
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Intervenendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu, l'inviata speciale aggiunta delle Nazioni Unite per la Siria, Najat Rochdi, ha avvertito che il 20234 diventerà ci on ogni probabilità l’anno più violento dal 2020 dell’infinita guerra siriana, «Con il potenziale per una devastazione ancora maggiore che incombe all'orizzonte. Molti milioni di siriani sono ancora fuori dal loro Paese o lottano per sopravvivere in un complesso panorama di autorità di fatto, eserciti stranieri, attori armati non statali e gruppi elencati come terroristici. 100.000 sono detenuti arbitrariamente o dispersi».
Intanto, mentre parte del nord della Siria è stato invaso dall’esercito turco per attaccare i Kurdi autonomisti del Rojava e i loro alleati democratici, l’esercito siriano armato dalla Russia combatte contro le milizie islamiste finanziate dalla Turchia e dello Stato Islamico/Daesh e contro gli stessi Kurdi, mentre parte della siria centro-occidentale è sotto controllo statunitense.
Nelle ultime settimane si sono intensificati, , sia in frequenza che in portata, anche gli attacchi aerei israeliani in Siria e proprio ieri, decine di persone sono state uccise in un attacco vicino a Palmira, probabilmente l'attacco israeliano più mortale in Siria fino ad oggi.
Israele, che ha annesso una parte del territorio siriano – le alture del Golan - afferma che i suoi attacchi sono rivolti a obiettivi legati all'Iran, a Hezbollah o alla Jihad islamica palestinese, ma la Rochdi ha fatto notare che «Gli attacchi sono stati condotti su aree residenziali nel cuore di Damasco, dove sono state colpite anche infrastrutture civili».
Edem Wosornu, direttrice della divisione operazioni e advocacy dell’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) ha aggiunto che «Dall'ultima volta che ho informato il Consiglio di sicurezza in ottobre, le ostilità in Libano hanno continuato a spingere ogni giorno migliaia di persone oltre il confine con la Siria. Accogliamo con favore la continua volontà del governo siriano di mantenere aperti i confini e di agevolare l'ingresso. llo stesso tempo, i continui attacchi aerei lungo il confine hanno reso questi attraversamenti più pericolosi e difficili. I danni causati dagli attacchi aerei hanno fatto sì che i veicoli non possano più attraversare due dei cinque valichi di frontiera ufficiali. Tra questi, il valico principale di Jdeidet Yabous nella Damasco rurale, attraverso il quale fino ad oggi passava metà degli arrivi, e il valico di Joussieh a Homs. Le persone, tra cui donne, bambini e altri gruppi vulnerabili, hanno dovuto attraversare gli attraversamenti a piedi o cercare percorsi alternativi più lunghi e rischiosi».
La Wosornu ha denunciato che gli attacchi aerei israeliani vicino al valico di frontiera di Joussieh e ad Al-Quseir «Hanno colpito in prossimità delle strutture dell'UNHCR e, in un caso, hanno danneggiato il posto di frontiera dell'UNHCR a Joussieh. Un altro attacco nella zona di Shamsin ha danneggiato la strada Damasco-Homs. Si continuano a segnalare vittime civili a causa degli attacchi arei in corso in varie parti del Paese, comprese le aree residenziali. Questi attacchi stanno anche complicando gli sforzi di soccorso: il movimento degli operatori umanitari è stato ridotto, in particolare in alcune parti di Homs. I danni ai valichi di frontiera hanno costretto i camion a percorrere percorsi più lunghi, contribuendo all'aumento dei costi delle materie prime. Le ostilità in corso hanno anche influenzato le attività di spostamento e risposta delle persone in altre località. Un operatore di una ONG, ad esempio, è rimasto ferito durante le ostilità nel governatorato di Aleppo. E’ fondamentale adottare tutte le precauzioni possibili per evitare danni alla popolazione civile, compresi gli operatori umanitari».
Delle 540.000 persone fuggite dal Libano in Siria dopo l’onvasione israeliana s di settembre, due terzi sono profughi siriani e più della metà sono bambini, le donne incinta sono più di 7.000 e circa il 40% delle famiglie in arrivo in Siriasono guidate da donne ed hanno bisogno di cibo, articoli per la casa, alloggio, assistenza sanitaria, protezione e supporto legale. Ma l'appello interagenzie Onu da 324 milioni di dollari lanciato a ottobre ha ricevuto solo 55 milioni di dollari.
La Wosornu ha sottolineato: «Stiamo facendo il possibile, anche con le risorse esistenti a disposizione. Ma questo non è sostenibile in un Paese in cui 16,7 milioni di persone, ovvero più del 70% della popolazione, hanno già bisogno di assistenza. Pur accogliendo con favore i contributi finora ricevuti e grati ai donatori per la loro generosità, invitiamo i donatori a farsi avanti con maggiori finanziamenti. Ci sono già segnalazioni di alcune famiglie libanesi che sono tornate in Libano, a causa della mancanza di servizi e delle cattive condizioni di vita in Siria. L'UNHCR continua a monitorare questa situazione, che illustra ulteriormente le decisioni impossibili che le persone sfollate devono spesso affrontare».
Mentre in Italia si parla di difesa dei sacri confini per una nave con qualche decina di profughi a bordo, nel nord-est della Siria sono arrivate più di 100.000, facendo ulteriormente aumentare le necessità in una regione in cui tre quarti della popolazione ha già bisogno di assistenza umanitaria e dove la guerra tra le varie fazioni è anche guerra per le risorse petrolifere.
Verso la fine di ottobre, nel nord-est della Siria un'escalation delle ostilità ha fatto molte vittime e ferii e provocato danni alle infrastrutture civili hanno interrotto l'accesso ad acqua, elettricità e carburante per centinaia di migliaia di persone, con diverse ONG umanitarie e Agenzie Onu che sono state costrette a sospendere temporaneamente le attività. La regione sta affrontando anche un'epidemia emergente di sospetto colera, con oltre 270 casi sospetti e un decesso segnalati finora.
La Wosornu ha rivelato che «Molti di questi casi si verificano nel campo di Al-Hol, dove decine di migliaia di persone, ancora una volta, la maggior parte delle quali sono donne e bambini, vivono in condizioni di sovraffollamento, simili a quelle della detenzione. La mancanza di strutture adeguate per i test ad Al-Hasakeh, insieme al calo delle risorse per i servizi sanitari, rappresenta un serio rischio per il contenimento dell'epidemia di colera. Nel frattempo, circa 7.800 persone in fuga dal Libano sono arrivate nella Siria nordoccidentale, dove le necessità, gli sfollamenti e le vittime civili sono già elevati a causa delle ostilità».
Le comunità ospitanti, già alle prese con livelli di necessità sconvolgenti e servizi umanitari sovraccarichi, sono ulteriormente pressate. La Wosornu ha fatto alcuni esempi: «I nostri partner hanno descritto il caso di una famiglia di Homs che stava già affrontando una grave insicurezza alimentare e che ospitava circa 20 membri della famiglia fuggiti dal Libano. Oppure un'aula ad Aleppo, progettata per ospitare fino a 45 studenti, che ora ospita più di 70 bambini. Si tratta di comunità in cui l'assistenza umanitaria ha già dovuto essere drasticamente ridotta. I finanziamenti per il Piano di risposta umanitaria ammontano solo al 28% e circa 2 milioni di persone in meno ricevono aiuti essenziali ogni mese rispetto all'anno scorso. L'impatto sulla sicurezza alimentare è particolarmente allarmante. Quasi 13 milioni di persone stanno già affrontando una grave insicurezza alimentare in Siria, il quinto dato più alto a livello mondiale, mentre il World Food Programme è stato costretto a ridurre la sua assistenza dell'80% negli ultimi due anni a causa dei tagli ai finanziamenti. E’ preoccupante che l’ultimo rapporto sugli hotspot della fame, pubblicato dal Wfp e dalla Fao, identifichi la Siria come un paese di “estrema preoccupazione”, tra i 12 Paesi più a rischio di un ulteriore deterioramento delle condizioni nei prossimi 6 mesi».
La Rochdi ha concluso: «Dopo quasi 14 anni di guerra e conflitto, non esistono soluzioni tecnocratiche rapide a queste sfide, che sono profondamente politiche. Per affrontare queste questioni è necessario un cessate il fuoco nazionale in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza , che sottolinea la protezione dei civili e l'accesso umanitario senza restrizioni. Se tutte le parti segnalano la loro disponibilità ad agire in modo costruttivo, responsabile e pratico, allora abbiamo le migliori possibilità di sfruttare le dinamiche esistenti e nuove in opportunità di progresso. Questo è un momento di profonda incertezza e pericolo nella regione; è anche esattamente il momento di tracciare un percorso che consenta al popolo siriano di realizzare le proprie legittime aspirazioni, di ripristinare la sovranità, l'unità, l'indipendenza e l'integrità territoriale della Siria e di salvaguardare la pace e la sicurezza internazionale».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.