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Accordo sulle nomine, Fitto e Ribera saranno vicepresidenti della Commissione europea

Dopo un lungo braccio di ferro, Popolari e Socialisti europei siglano un’intesa che sarà formalizzata dal Parlamento europeo il 27 con voto palese. Contrari i Verdi. Il gruppo S&D si divide. Esulta Meloni
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Dopo audizioni che non erano riuscite a sciogliere tutti i nodi in campo e la decisione di rinviare la decisione «a data da destinarsi», ieri, al termine di un lungo braccio di ferro, i principali gruppi che a luglio hanno votato per il secondo mandato di Ursula von der Leyen, ovvero Ppe, S&D e Renew, hanno siglato un’intesa sulle nomine dei vicepresidenti della Commissione Ue, compreso l’italiano Fitto e la spagnola Ribera. Contrario il gruppo dei Verdi, che quest’estate aveva consentito la conferma di una nuova «maggioranza Ursula» che, a detta dei Green, ora però è a rischio. È così? Dipende da cosa si intenda per «a rischio». Il gruppo Ecr, di cui fanno parte gli eletti di Fratelli d’Italia e che quattro mesi fa non aveva votato a favore di von der Leyen, già il 27 novembre, quando il Parlamento europeo formalizzerà le nomine a scrutinio palese, voterà sì alle nomine insieme a Popolari, Socialisti e Liberali. Quindi i numeri non mancheranno. Se viceversa per «a rischio» si intende che non si sa cosa potrà accadere ora che la «maggioranza Ursula» si è aperta al supporto di un gruppo come Ecr in cui siedono partiti di destra anche estrema, allora la questione è diversa. Il rischio snaturamento è dietro l’angolo, così come quello di spostamento a destra delle politiche comunitarie, in primis quelle riguardanti la tutela ambientale e la transizione energetica. E il rinvio di un anno all’entrata in vigore della legge comunitaria sulla deforestazione è già un segnale in questo senso.

Di certo, anche il modo in cui si è arrivati a dare via libera alle nomine di Fitto e Ribera dà il segno dell’aria che tira tra le due principali famiglie europee, Ppe e Pse, e delle difficoltà che dovrà affrontare von der Leyen per avere la solidità necessaria per confrontarsi con un interlocutore oltreoceano che non è più Biden, bensì Trump: quando nel tardo pomeriggio di ieri l’intesa sull’italiano e la spagnola sembrava a portata di mano, il Ppe ha chiesto di aggiungere nella lettera di accompagno per la nomina di Ribera che la ministra uscente del governo Sánchez dovrà dimettersi in caso di rinvio a giudizio per le alluvioni di Valencia. Una richiesta indigeribile per il Pse, non foss’altro perché da quanto è finora emerso le principali responsabilità di quelle drammatiche giornate di nubifragi che sono costate la vita a oltre 200 persone sono da attribuire al governatore della Regione, l’esponente del Partito popolare spagnolo Mazòn, che ora i suoi colleghi di partito vogliono invece mettere al riparo dalla richiesta di dimissioni rilanciata da più parti.

E anche la dichiarazione congiunta con cui l’originaria «maggioranza Ursula», al netto dei Green, ha aperto la strada alla cooperazione del gruppo Ecr, è significativa: «Siamo determinati a lavorare insieme per rafforzare l’Unione europea – si legge nell’apertura del documento – L’Ue si fonda sui valori enunciati nell’articolo 2 del Trattato e nella Carta dei diritti fondamentali. Crediamo che le soluzioni verranno dalla cooperazione dei nostri gruppi politici e di tutti coloro che desiderano costruire un’Unione basata su questi valori e sono pronti ad affrontare le sfide globali, sostenendo le istituzioni democratiche. Lo Stato di diritto, una posizione pro-Ucraina e un approccio pro-europeo sono aspetti fondamentali della nostra cooperazione». L’escamotage ha consentito il via libera a Fitto e Ribera, fatto segnare un punto a favore del leader dei Popolari europei Weber, determinato una marcia indietro della capogruppo Socialista Pérez che insieme ai francesi si era schierata contro l’esponente di Fratelli d’Italia, e permesso alla nostra premier Meloni di cantare vittoria: «Sono molto soddisfatta per Fitto ma penso che tutta l’Italia dovrebbe esserlo».

Il via libera alla dichiarazione che ha aperto all’Ecr e consentito la nomina anche del nostro ex ministro ha però determinato, oltre al passo indietro dei Verdi europei, anche una spaccatura all’interno dello stesso gruppo dei Socialisti & Democratici. A favore dell’intesa si sono schierati italiani, spagnoli e romeni, mentre la delegazione tedesca, quella francese e quella belga si sono dette contrari. E ora, dopo il voto scontato del 27 novembre, bisognerà vedere come saranno invece le votazioni che successivamente dovrà affrontare il Parlamento europeo e che ne sarà dei primi impegni annunciati da von der Leyen nel suo discorso d’insediamento: taglio del 90% delle emissioni di gas serra nel 2040 e nuovo Green deal entro 100 giorni. Il conto alla rovescia è cominciato. 

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.