L'incubo vivente del Sudan: più di 130 donne suicide nello stesso giorno per sfuggire agli stupri di massa
L'escalation di violenza e le nuove atrocità in Sudan hanno portato la crisi umanitaria a livelli senza precedenti, con i profughi che ora superano gli 11 milioni e le agenzie Onu continuano a segnalare uccisioni di massa e violenza sessuale sistematica in diverse regioni.
La disperazione e il terrore sono tali che oltre 130 donne sudanesi hanno scelto di suicidarsi in massa per sfuggire alla minaccia di stupro da parte delle milizie delle Rapid Support Forces (RSF) che combattono contro i loro alleati delle Sudanese Armed Forces (SAF), l’esercito golpista sudanese, una guerra per il petrolio, le risorse e il potere che vede coinvolte, complici o spettatrici disattente tutte le potenze regionali e globali.
I suicidi delle donne sono stati confermati anche da Hala Al-Karib, direttrice regionale della Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa che ha detto che questa strage devastante «Fa luce sui gravi impatti del conflitto su donne e bambini, evidenziando l'urgente crisi umanitaria e le violazioni dei diritti umani che si verificano nella regione».
In Sudan sono sempre di più le donne sole e disperate che scelgono di suicidarsi piuttosto che essere violentate da miliziani e soldati e le segnalazioni su questi casi si sono moltiplicate a partire dalla settimana scorsa, dopo la pubblicazione su X di un post che riportava che i fatti sarebbero avvenuti il 25 ottobre.
La Al Karib ha detto che queste accuse sono assolutamente vere e, in un’intervista a News Central TV ha affermato che «Dal primo giorno di guerra, le donne hanno subito violenze sessuali. Le milizie sono entrate nelle case di Khartoum, la capitale, e hanno commesso molteplici e numerosi crimini di stupro e violenza sessuale, e continuano a farlo. I crimini sessuali commessi in Sudan non avvengono “nel vuoto”, poiché si registrano nel Paese africano da più di 20 anni, ma il loro numero è aumentato nel mezzo dell'attuale guerra civile. I nostri corpi vengono usati come strumento di guerra e come arma di guerra. Ed è verissimo: le donne, nel Sudan centrale, si suicidano perché non potevano sopportare il dolore dello stupro di gruppo e della torture che stanno subendo per mano delle milizie armate».
Il 23 ottobre, L’office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) ha pubblicato il rapporto “Findings of the investigations conducted by the Independent International Fact-Finding Mission for the Sudan into violations of international human rights law and international humanitarian law, and related crimes, committed in the Sudan in the context of the conflict that erupted in mid-April 2023” nel quale l’Independent International Fact-Finding Mission for the Sudan denuncia l'alto livello di violazioni sessuali nel contesto della guerra civile in Sudan.
Il documento di 80 pagine indica che «Gli atti di violenza sessuale sono stati commessi dalle Rapid Support Forces i e da gruppi armati alleati che combattono contro le Sudanese Armed Forces, nelle aree sotto il loro controllo. E’ stato riferito che le donne e le ragazze tra i 17 e i 35 anni costituiscono la maggioranza delle vittime, tuttavia sono stati registrati anche casi di violenza contro bambine di 8 anni e donne fino a 75 anni».
Secondo il rapporto, « I miliziani hanno usato la violenza per terrorizzare e punire i civili per presunti legami con gli oppositori e per reprimere ogni resistenza . Allo stesso tempo, non sono state violentate solo le donne, ma anche gli uomini e i bambini. Sono stati segnalati casi di violenza sessuale, inclusa nudità forzata, percosse ai genitali e minacce di stupro. Molte donne hanno subito stupri individuali e di gruppo, sfruttamento sessuale e rapimenti a scopo sessuale. Allo stesso modo, vengono denunciati i matrimoni forzati e il traffico di esseri umani oltre confine. Il problema è aggravato dal fatto che le vittime di stupro non sempre hanno accesso alle cure mediche per ottenere l’aiuto di cui hanno bisogno, e i ricercatori hanno documentato morti a seguito di casi di stupro, anche per sanguinamento eccessivo».
Il presidente della Fact-Finding Mission, Mohamed Chande Othman, ha sottolineato che «La portata della violenza sessuale che abbiamo documentato in Sudan è sconcertante. La situazione affrontata dai civili vulnerabili, in particolare donne e ragazze di tutte le età, è profondamente allarmante e necessita di un intervento urgente».
Nel frattempo, miliziani ed esercito commettono anche altri crimini che costituiscono violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Vengono denunciati casi di tortura, trattamento crudele, inumano o degradante di persone, abusi contro la dignità personale, rapimento, reclusione e detenzione per scopi sessuali, equivalenti alla schiavitù sessuale.
Mona Rishmawi, un’esperta della della Fact-Finding Mission ha evidenziato che «La responsabilità e la vergogna per questi atti atroci dovrebbero essere attribuite esclusivamente ai perpetratori. A meno che la giurisdizione della Corte penale internazionale non venga estesa a tutto il Sudan e non venga istituito un meccanismo giudiziario indipendente che lavori in tandem e complementarietà con la CPI, i perpetratori di questi crimini continueranno a devastare il Sudan, causando terrore e scompiglio. Queste circostanze rendono anche abbondantemente chiaro che le vittime hanno bisogno di un supporto urgente, tra cui assistenza medica e legale, che in Sudan è completamente assente. Dovrebbe essere istituito subito un ufficio dedicato al supporto e alle riparazioni delle vittime per assisterle».
Per Othman «Si devono trovare modi per creare le condizioni per l'immediato dispiegamento di una forza di protezione indipendente. Ora, non c'è un posto sicuro in Sudan».
E Amy Pope, direttrice generale dell'International Organization for Migration (IOM), conferma che «La situazione in Sudan è catastrofica. Semplicemente non c'è altro modo per dirlo. La fame, le malattie e la violenza sessuale sono dilaganti. Per la popolazione del Sudan, questo è un incubo vivente
L’IOM da le cifre di una bomba migratoria innescata: il conflitto, scoppiato nell'aprile 2023 tra le SAF e le RSF ha già fatto 11 milioni di sfollati interni e 3,1 milioni di rifugiati nei Paesi confinanti, moltissimi dei quali sognano di raggiungere la salvezza in Europa,
Anche l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso «Estrema preoccupazione per la drammatica escalation delle ostilità nello Stato sudanese di Al-Jazirah». Secondo l'OHCHR, «La violenza si è intensificata dopo la defezione del comandante delle RSF Abu Aqla Keikel, passato alle forze del governo militare al potere, avvenuta il 20 ottobre». Per rappresaglia, le RSF hanno lanciato una serie di attacchi contro il gruppo etnico di Keikel, uccidendo il 25 ottobre almeno 124 persone venerdì nel villaggio di Al-Seriha. La strage fa seguito ai precedenti attacchi brutali delle RSF alle vicine città di Tamboul e Rufaa, con centinaia di persone uccise e con saccheggi e distruzioni diffuse. Secondo testimonianze riportate dall'OHCHR. i civili sono stati arrestati, i dispositivi di comunicazione confiscati e i raccolti bruciati, in quello che un tempo era considerato il "granaio" del Paese. A causa della violenza, migliaia di famiglie sarebbero fuggite dallo Stato di Al-Jazirah.
Nonostante la gravità della crisi, la risposta della comunità internazionale rimane gravemente sottofinanziata, con l'appello umanitario dell'Onu finanziato solo al 52%. La quota dell'IOM finanziata solo al 20%, nonostante abbia assistito quasi 3 milioni di persone dall'inizio della guerra.
La Pope conclude: «Tutte le guerre sono brutali, ma il bilancio di questa è particolarmente. Attacchi indiscriminati stanno uccidendo civili, compresi bambini piccoli, alcune delle aree con maggiori necessità rimangono completamente isolate, senza accesso agli aiuti umanitari. La violenza sessuale raggiunge livelli sbalorditivi. Il Sudan è ogg senza dubbio la crisi più trascurata al mondo. Il fallimento collettivo nell'agire significa che la devastazione rischia di riversarsi nei Paesi vicini. Occorre un'azione internazionale immediata per prevenire un'ulteriore destabilizzazione regionale».