Nessuno è al di sopra della legge, neanche il Governo: un po’ di chiarezza su Corte Ue, migranti e Protocollo Albania
In questi tempi di gran confusione e di ignoranza diffusa, spesso ad arte, fare un punto di chiarezza su una delle istituzioni più rilevanti dell’Unione Europea e forse meno conosciute, appunto, la Corte di giustizia dell'Unione europea (Cgue) può aiutare a comprenderne meccanismi e funzioni. Per tale ragione, intendiamo riassumere in maniera schematica la funzione fondamentale della Corte stessa che rimane quella di interpretare il diritto dell'Ue e, soprattutto, garantire che venga applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri. Questo è un presupposto essenziale per poter dirimere tutte le possibili controversie giuridiche che, in ipotesi, possono sorgere tra governi nazionali e istituzioni dell'Ue.
Dopo questo necessario preambolo, occorre specificare meglio funzioni e attribuzioni della Corte che, ricordiamolo, ha sede in Lussemburgo. Rileva il fatto che la medesima Corte può essere adita, per talune fattispecie, anche da singoli cittadini, imprese o organizzazioni e ciò col fine di poter intraprendere un'azione legale contro un'istituzione dell'Ue, qualora ritengano che abbia in qualche maniera violato i loro diritti.
La Cgue è chiamata, dunque, a pronunciarsi sui casi ad essa proposti, e tra questi casi rientrano anche il riconoscimento dei Paesi ritenuti sicuri o meno. La Corte di giustizia Ue ha emanato, in data 4 ottobre 2024 scorso, una sentenza in merito richiamata dai giudici di Roma, per motivare il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi.
La presidente del Tribunale ordinario di Roma, nel motivare la decisione dei magistrati, ha citato la sentenza della Corte Ue (e non poteva fare diversamente!) come base giuridica per il diniego della convalida e ciò in ragione del fatto dell'impossibilità di riconoscere come “Paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute (Egitto e Bangladesh), con la conseguenza dell'inapplicabilità della procedura di frontiera vigente nell’ordinamento dello Stato.
Richiamando, di fatto, lo stesso Protocollo Italia-Albania, i migranti in questione devono essere trasferiti fuori dal territorio albanese e portati in territorio italiano, cosa che è immediatamente stata eseguita.
Per chiarire meglio la motivazione dei giudici romani, richiamiamo il fatto che l’Egitto è stato definito paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione. I giudici citano, tra l’altro, l’istruttoria del ministero degli Esteri, che in un accesso agli atti di Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione) teneva a precisare come l’aggiunta del Paese di “al Sisi” fosse seguita ad una «specifica richiesta del ministero dell’Interno».
Allo stesso modo, il Bangladesh, sempre secondo le schede del Maeci, è definito sicuro «con eccezioni per alcune categorie di persone: appartenenti alla comunità Lgbtq+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici».
A questo punto è lecito chiedersi da cosa nasce lo stupore rabbioso che arriva da altissime cariche istituzionali e che additano i magistrati romani come quelli che vogliono arrestare le politiche di respingimento del governo. A noi sembra che quei magistrati abbiano semplicemente applicato, con scienza e scrupolo giuridico, i principi vigenti nel diritto comunitario e nazionale. Sul fatto che qualcuno, incautamente, vuole mettersi al di sopra delle leggi, rispondiamo con una risata perché, in tutta franchezza, non riteniamo meriti altro.