Gaza: le Ong israeliane contro la strategia arrendersi o morire di fame
La coalizione israeliana per il cessate il fuoco formata dalle ONG B’Tselem – The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories, Gisha – Legal Center for Freedom of Movement, Yesh Din – Volunteers for Human Rights, Physicians for Human Rights Israel - PHR-I, ha chiesto alla comunità internazionale di «Agire ora per impedire a Israele di trasferire forzatamente centinaia di migliaia di palestinesi rimasti nella Striscia di Gaza settentrionale fuori dall'area, negando anche l'ingresso di aiuti umanitari essenziali e carburante».
Gisha, B'Tselem, PHR-I e Yesh Din denunciano che «Ci sono segnali allarmanti che l'esercito israeliano sta iniziando a implementare silenziosamente il Piano dei generali, noto anche come Piano Eiland, che richiede il completo trasferimento forzato dei civili della Striscia di Gaza settentrionale attraverso il rafforzamento dell'assedio dell'area e la fame della popolazione».
Secondo la strategia “arrendersi o morire di fame”, recentemente presentata al governo israeliano da un gruppo di generali in pensione, ai palestinesi verrà concessa una settimana per lasciare il terzo settentrionale dell’enclave, compresa Gaza City, prima che venga dichiarata zona militare chiusa. I civili che non vogliono o non possono lasciare l’area non solo saranno privati di cibo, acqua e medicine, ma saranno considerati combattenti e potrebbero essere uccisi dalle truppe israeliane. Nella’area ci sono ancora circa 400.000 cittadini palestinesi.
Il 13 ottobre il coordinatore umanitario dell’Onu per i Territori palestinesi occupati, Muhannad Hadi, aveva denunciato che «Cresce la pressione sulle oltre 400.000 persone rimaste nel nord di Gaza affinché si dirigano verso sud. Dal 1° ottobre 2024, le autorità israeliane hanno progressivamente tagliato fuori la parte settentrionale di Gaza dai rifornimenti essenziali. I valichi di Erez ed Erez West sono rimasti chiusi e non è stato consentito l'ingresso di beni essenziali dal sud. Sono stati emessi tre nuovi ordini, il 7, il 9 e il 12 ottobre, che hanno ordinato lo sfollamento delle persone. Parallelamente, le ostilità continuano a intensificarsi, causando maggiori sofferenze e vittime tra i civili. Nelle ultime due settimane, oltre 50.000 persone sono state sfollate dall'area di Jabalya, che è isolata, mentre altre rimangono bloccate nelle loro case in mezzo a bombardamenti e combattimenti sempre più intensi. Un assedio militare che priva i civili di mezzi essenziali per sopravvivere è inaccettabile. Le ultime operazioni militari nel nord di Gaza hanno costretto alla chiusura di pozzi d'acqua, panetterie, punti medici e rifugi, nonché alla sospensione dei servizi di protezione, dei trattamenti per la malnutrizione e degli spazi di apprendimento temporanei. Allo stesso tempo, gli ospedali hanno visto un afflusso di feriti da trauma».
Le ONG umanitarie israeliane hanno nuovamente avvertito alleati occidentali del governo di estrema destra di Benjamín Netanyahu che «Gli stati hanno l'obbligo di prevenire i crimini di fame e trasferimento forzato, e che se la continuazione dell'approccio "wait and see" consentirà a Israele di liquidare la parte settentrionale di Gaza, saranno complici. Tutti gli stati e le istituzioni internazionali competenti dovrebbero agire ora e usare tutti gli strumenti a loro disposizione - legali, diplomatici ed economici - per impedirlo».
Anche Hadi ha ribadito che «I civili devono essere protetti e i loro bisogni primari devono essere soddisfatti. Devono essere aperte più vie di accesso per le forniture essenziali e deve essere fornita una risposta umanitaria sicura alle persone in difficoltà, ovunque si trovino. I civili non devono essere costretti a scegliere tra sfollamento e fame. Devono avere un posto sicuro dove andare, con riparo, cibo, medicine e acqua. A Gaza non ci sono più forniture disponibili per supportare le persone appena sfollate. A chi se ne va deve essere data la possibilità di ritornare. Ribadisco che il diritto internazionale umanitario deve essere sempre rispettato da tutti».
Ieri il Segretario generale dell’Onu António Guterres ha condannato l'elevato numero di vittime civili causate da un attacco dell’esercito israeliano nel contesto dell'intensificarsi della campagna militare nel nord di Gaza.
Le forze israeliane hanno colpito le tende che ospitavano i civili sfollati vicino all'ospedale di al Aqsa, in un'area in cui è stato chiesto di trasferirsi alle persone provenienti dal nord di Gaza. Almeno 4 persone sono state bruciate vive e decine di altre, tra cui donne e bambini, hanno riportato gravi ustioni. Secondo fonti locali, solo poche ore prima un altro attacco a una scuola trasformata in rifugio a Nuseirat aveva ucciso più di 20 persone e ne aveva ferite decine.
Il portavoce dell’Onu Stéphane Dujarric ha detto che Guterres «Esorta fermamente tutte le parti in conflitto a rispettare il diritto internazionale umanitario e sottolinea che i civili devono essere rispettati e protetti in ogni momento».
Joyce Msuya, sottosegretario generale ad interim dell’Onu per gli affari umanitari, ha affermato che «Sembra che non ci sia fine agli orrori che i palestinesi di Gaza sono costretti a sopportare. Non c'è davvero un posto sicuro a Gaza dove le persone possano andare. Queste atrocità devono finire. I civili e le infrastrutture civili devono essere sempre protetti».
Intanto, l'escalation di violenza nella regione sta avendo un impatto disastroso sulla già più che precaria sicurezza alimentare di migliaia di famiglie palestinesi. Secondo il World Food Programme (WFP), «I principali valichi di frontiera verso la Striscia di Gaza sono stati chiusi e dal 1° ottobre non sono più arrivati aiuti alimentari». Antoine Renard, direttore nazionale del WFP per la Palestina, conferma che «Il nord di Gaza è sostanzialmente isolato e non siamo in grado di operare lì. Il WFP è sul campo sin dall'inizio della crisi. Ci impegniamo a consegnare cibo salvavita ogni giorno nonostante le crescenti sfide, ma senza un accesso sicuro e duraturo, è praticamente impossibile raggiungere le persone bisognose. Le ultime scorte alimentari rimaste dell'agenzia nel nord, tra cui cibo in scatola, farina di grano, biscotti ad alto contenuto energetico e integratori alimentari, sono state distribuite a rifugi, strutture sanitarie e cucine nella città di Gaza e a tre rifugi nella parte settentrionale di Gaza. Se il conflitto continuerà ad aggravarsi con l'attuale portata, non è chiaro per quanto tempo dureranno queste limitate scorte alimentari e le conseguenze per le famiglie in fuga saranno disastrose».
Ma anche la situazione nella parte meridionale e centrale di Gaza ha ormai da tempo superato il “punto di rottura” a causa dell’insicurezza neo i punti di attraversamento. Il WFP denuncia che «Le distribuzioni di cibo sono cessate del tutto e i panifici stanno lottando per assicurarsi la farina di grano, il che li mette a rischio di chiudere da un giorno all'altro. Alcune cucine per pasti caldi continuano a fornire pasti a chi è in grado di accedervi. Con l’avvicinarsi dell’inverno, gli abitanti di Gaza si ritrovano senza un riparo adeguato, senza carburante e con pochissimi aiuti. C’è l’urgente necessità di un accesso sicuro e duraturo per fornire assistenza alimentare salvavita. E’ necessario aprire più punti di attraversamento e garantire la sicurezza del personale e dei partner che lavorano per distribuire gli aiuti».