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Forum Droghe: su cannabis light e CBD il governo Meloni si arrampica sugli specchi

Una nota del Dipartimento antidroga che chiarisce il fine puramente ideologico della norma che vorrebbe vietare la cannabis light
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Il Dipartimento Antidroga ha pubblicato ieri una nota nella quale si legge che «Secondo l'emendamento al  “DDL Sicurezza” le inflorescenze della Cannabis Sativa L. (N.B.: "L"  sta per Linnaeus, non per light) e i loro derivati non sono contemplati tra i prodotti ammessi dalla legge 242/2016 sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, in quanto soggetti al “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti” (DPR n. 309/90), come evidenziato nelle motivazioni della sentenza di Cassazione del 30 maggio 2019.  Tale emendamento non vieta o limita quanto previsto dalle Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, non criminalizza o altera il relativo mercato né le attività di chi ha investito nel settore, bensì contrasta l’illecita produzione e commercializzazione per uso ricreativo di inflorescenze e derivati nei cosiddetti “cannabis shop”, avviata dopo la legge 242/2016, al fine di evitare l’assunzione di prodotti che favoriscano alterazioni dello stato psicofisico e conseguenti comportamenti rischiosi per l’incolumità pubblica, per esempio per la sicurezza stradale. La legge 242/2016, infatti, autorizza la coltivazione e la trasformazione di Cannabis Sativa L. solo al fine di ottenere prodotti quali alimenti, bevande e cosmetici, fibra, polveri, oli o carburanti, biomassa per autoproduzione energetica industriale, o destinati alla pratica del sovescio, a bioingegneria o bioedilizia, fitodepurazione, attività didattiche, di ricerca, florovivaismo, tessile. L’emendamento, inoltre, non crea contrasti con altri Paesi EU, essendo in linea con la Direttiva 2002/53/CE e con la Convenzione Unica sugli Stupefacenti di New York del 1961. La produzione di cannabis per uso medico, si ricorda infine, è soggetta ad altra normativa ed esclusa dalla coltivazione e dalla filiera agroindustriale della canapa. Il CBD, derivato dalla cannabis contenente principi attivi, è stato inserito nella Tabella dei medicinali allegata al DPR 309/90».

Oggi invece il TAR del Lazio ha sospeso, per la seconda volta, l’efficacia del Decreto che inseriva le preparazioni orali a base di Cannabidiolo (CBD) nelle tabelle dei medicinali stupefacenti.

Per Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, «Il Dipartimento Antidroga si arrampica sugli specchi, svelando il fine puramente ideologico della norma che vorrebbe vietare la cannabis light e del Decreto che inserisce i preparati a base di CBD fra le medicine stupefacenti. La nota del DPA, quando parla, riferendosi alla cannabis light, di “prodotti che favoriscano alterazioni dello stato psicofisico” omette di dire che le infiorescenze di cui si vuole vietare produzione e uso contengono una percentuale minima di THC (massimo 0,2% secondo la legge 241/2016 mentre la normativa europea consente lo 0,3%) ed eventualmente un più alto contenuto di CBD. Ebbene proprio sulla pericolosità del CBD si è espressa la comunità medica al più alto livello. Secondo le conclusioni della 41^ sessione del Comitato degli Esperti su Droghe e Dipendenze (ECDD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – ricorda Fiorentini – il CBD “non è psicoattivo e non vi è evidenza di dipendenza o abuso”. Proprio per questo, dopo svariati anni di revisione della letteratura scientifica, la raccomandazione inviata dall’OMS nel 2020 alla Commissione droghe dell’ONU esplicitava che le “preparazioni farmaceutiche che contengono meno dello 0,2% di THC non devono essere sotto il regime di controllo delle convenzioni ONU”. Eppure, questo Governo ha pervicacemente inserito le preparazioni ad uso orale contenenti CBD nelle tabelle del Testo Unico sugli Stupefacenti, ricevendo oggi per la seconda volta l’intervento sospensivo del TAR del Lazio». 

Per quanto riguarda la sicurezza stradale legata all’uso di cannabis light, il segretario di Forum Droghe precisa che «La comunità scientifica, di fronte al processo di regolamentazione legale della cannabis in corso in sempre più Paesi, recentemente è stata più volte sollecitata sulla questione della guida dopo aver usato cannabis (ad alto contenuto di THC). I risultati sono variegati, ma tali da convincere la Germania a fissare, analogamente a quelli sull’alcol - un limite di THC nel sangue di 3.5 ng/mL. Un limite che è davvero complicato da superare con la cannabis light».

E Fiorentini fa notare che «Anche la citazione della decisione della Corte Suprema di Cassazione sull’illiceità del commercio della cannabis light omette di considerare che quella stessa sentenza si conclude con la formula “salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Principio che, insieme a quelli della proporzionalità, tipicità e ragionevolezza, sarebbero evidentemente compromessi dall’assoggettare un prodotto non stupefacente alla normativa sugli stupefacenti. Inoltre, con la norma inserita nel ddl Sicurezza il Governo crea un loop normativo e giurisprudenziale: si rinviano le condotte legate alle infiorescenze di cannabis light al Testo Unico sulle droghe che però esplicitamente consente la coltivazione delle piante da cui derivano (art. 26), mentre la giurisprudenza tossicologica ritiene ormai unanimemente non stupefacente – e quindi non penalmente rilevante ai sensi dello stesso Testo Unico - la sostanza contenente meno dello 0,5% di THC».

Per l’esponente del Forum Droghe «Dulcis in fundo la nota sulla compatibilità con la Convenzione Unica del 1961 è, quantomeno, fuorviante. La convenzione citata infatti, Art.28 “Controllo della canapa” recita testualmente: “La presente Convenzione non si applica alla coltivazione della pianta di canapa se questa è eseguita esclusivamente per fini industriali o di orticoltura.” Sui Regolamenti UE, infine, il Dipartimento dimentica la decisione della Corte di Giustizia Europea del 19 novembre 2020 (causa 663/18) che basandosi sulla letteratura scientifica prodotta dall’OMS ha sentenziato che il divieto di commercializzazione di uno Stato potrà essere conforme alla normativa comunitaria solo se “l’asserito rischio reale per la salute non risulti fondato su considerazioni puramente ipotetiche”».

Per Fiorentini, «Anche sull’asserita ininfluenza della norma sul settore agroindustriale della canapa la nota del Dipartimento è mistificatoria: l’impossibilità di usare parti della pianta legalmente coltivata perché esclusa dalle convenzioni, dalla normativa UE e da quella italiana limita fortemente la filiera, in modo ingiustificato. Non c’è solo la cannabis light come possibile sbocco commerciale per l’infiorescenza di canapa: usi alimentari, cosmetici, anche farmaceutici laddove coltivata secondo le norme previste, sarebbero certamente criminalizzati. E questo limita la redditività della coltivazione a monte, e quindi mette a rischio l’intero settore della coltivazione della canapa in Italia».

Il segretario di Forum Droghe conclude: «Incurante della scienza, delle indicazioni dell’OMS, delle Convenzioni internazionali, dello stesso Testo Unico sulle droghe e della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, della Corte Suprema di Cassazione e della Giustizia Amministrativa il Governo Meloni con la sua ricerca continua di un nemico crea un non senso giuridico. Vuole vietare la vendita di fiori che non hanno nulla di stupefacente, ostacolare la filiera della canapa e l’uso dei suoi derivati non psicoattivi esclusivamente per motivazioni ideologiche. Ma non ha nemmeno il coraggio di dirlo».

Redazione Greenreport

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