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Monti Peloritani, uno studio italiano fornisce le prove della loro origine “iberica”

La catena situata nella Sicilia nord-orientale geologicamente affine alla placca staccata dall’Europa e poi frammentata 30 milioni di anni fa. I dettagli della scoperta in un articolo pubblicato da ricercatori dell’Ingv
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Un'immagine dello studio Ingv sull'origine geologica dei Monti Peloritani

I Monti Peloritani sono una catena montuosa della Sicilia nord-orientale. L’altro dato su cui il mondo scientifico concorda è che sono una prosecuzione naturale dell’Appennino calabro. Dopodiché, generazioni di geologi hanno discusso su quale sia la loro origine. Ora uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) fornisce le prove che la loro origine geologica sia di provenienza “iberica”. Le prove, sono tutte documentate nell’articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Tectonics.

Per capire la portata dell’indagine condotta all’interno dell’Ingv bisogna partire da lontano. Esattamente da un periodo tra 150 e 120 milioni di anni fa, quando un grande blocco crostale identificato come Placca “Greater Iberia” si è distaccato dall’Europa per poi frammentarsi, circa 30 milioni di anni fa, in una placca maggiore (“Iberia”) e in numerose microplacche che, nel tempo, hanno migrato verso Est per 500 km (costituendo le attuali Corsica e Sardegna) e 1000 km (gli odierni Monti Peloritani e la Calabria).

Secondo quanto riportato dallo studio “Paleomagnetism of the Peloritan terrane (NE Sicily): From Greater Iberia to the Neo Apennine‐Maghrebide Arc” realizzato dal team di ricercatori dell’Ing, il cosiddetto Blocco Calabro-Peloritano si estende tra i Monti Nebrodi e i Monti Peloritani della Sicilia nord-orientale e l’area calabrese a sud del Massiccio del Pollino. La sua geologia, del tutto diversa da quella del resto delle vicine catene appenninica e siciliana, presenta delle somiglianze con la geologia della microplacca Sardo-Corsa, dei Blocchi Kabili (Algeria) e della Placca Iberica (Spagna e Portogallo): ciò aveva fatto ipotizzare, da decenni, che tutti questi blocchi crostali fossero, in origine, uniti. Tuttavia, nessuna evidenza che provasse un’origine “iberica” del Blocco Calabro-Peloritano era stata finora documentata. 

«Lo studio che abbiamo appena pubblicato fornisce finalmente le prove di quanto la comunità scientifica ipotizzava da temp», spiega Fabio Speranza, Direttore della Sezione Roma2 dell’INGV e co-autore dello studio. «I dati da noi raccolti, ottenuti da campioni di rocce prelevati in Sicilia, tra Taormina e San Marco d’Alunzio, e analizzati nel Laboratorio di Paleomagnetismo ‘Renato Funiciello’ dell’Ingv, hanno evidenziato che fra 150 e 120 milioni di anni fa è avvenuta una rotazione antioraria di circa 30° nella magnetizzazione dei campioni. Questa è del tutto simile, sia per entità che per cronologia, alla rotazione osservata nella Placca Iberica quando, durante il processo di ‘apertura’ dell’Oceano Atlantico, si distaccò dalla Placca Europea formando il Golfo di Biscaglia». 

La frammentazione e la migrazione verso est della Microplacca Sardo-Corsa, dei Blocchi Kabili e, in seguito, del Blocco Calabro-Peloritano sarebbero avvenute durante l’apertura dei nuovi bacini oceanici liguro-provenzale (avvenuta tra 30 e 15 milioni di anni fa) e tirrenico (tra 10 e 2 milioni di anni fa), in maniera sincrona alla formazione delle catene appenninica e siciliana. 

«I dati geologici mostrano che il Blocco Peloritano fu incorporato nella catena montuosa siciliana tra 18 e 17 milioni di anni fa», spiega Gaia Siravo, ricercatrice dell’INGV e co-autrice dello studio. «I dati paleomagnetici, a loro volta, mostrano che la rotazione totale post-oligocenica (post-23 milioni di anni fa) del Blocco è pari a 130° orari, esattamente sovrapponibile a quella già ampiamente documentata nella Sicilia centro-occidentale e legata alla strutturazione della catena siciliana stessa e all’apertura del Mar Tirreno. Questa rotazione oraria è, però, del tutto diversa rispetto a quella antioraria (di circa 140°) da noi già documentata due anni fa su sedimenti affioranti nella Sila orientale. Ciò ci ha permesso di fornire un’ulteriore evidenza: il Blocco Calabro-Peloritano è in realtà composto da due micro-blocchi che hanno avuto un’evoluzione completamente diversa negli ultimi 30 milioni di anni», conclude Siravo.

Redazione Greenreport

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