La crisi climatica sta intensificando le “siccità improvvise” in tutto il mondo
Un nuovo studio pubblicato su Geophysical Research Letters mostra che gravi periodi di “siccità improvvise” (flash drought) stanno aumentando di intensità in tutto il mondo, con una notevole eccezione nelle montagne dell’Asia centrale.
Le “siccità improvvise” arrivano nel giro di poche settimane, colpendo comunità che spesso non sono preparate e causando un impatto duraturo sulla sicurezza idrica e alimentare.
«In molte parti del mondo, abbiamo visto siccità improvvise estendersi su aree più grandi, per periodi più lunghi, con una velocità di insorgenza più rapida», spiega Maheshwari Neelam, scienziata del clima presso il Marshall Space Flight Center della NASA e la Universities Space Research Association, prima autrice della ricerca.
Lo studio ha definito e monitorato tre misure critiche della gravità della siccità: velocità di insorgenza, durata ed estensione geografica. Ha analizzato 40 anni di dati climatici MERRA-2 della NASA, dal 1980 al 2019, tratti da osservazioni meteorologiche, immagini satellitari e umidità del suolo modellata nella zona delle radici, con l’obiettivo di migliorare la previsione e la preparazione alle catastrofi.
«Ad esempio, nei bacini idrografici del Sud America, l’insorgenza sta diventando più rapida di circa 0,12 giorni all’anno, quindi nell’arco di un decennio si stanno sviluppando un giorno prima. La portata aumenta dall’1 al 3% all’anno – ha affermato Neelam – I parametri possono essere utilizzati dai sistemi di allerta precoce per incorporare i tassi di cambiamento nelle caratteristiche della siccità improvvisa nella valutazione del rischio e nella preparazione alle catastrofi».
Il Sud America, in particolare il Brasile meridionale e l’Amazzonia, sta sperimentando una forte intensificazione di tutte e tre le dimensioni della siccità improvvisa, in linea con i modelli di deforestazione nella regione, con temperature elevate e minore pioggia. Altri hotspot sono Congo, Angola, Zambia, Zimbabwe, Sudafrica, Lesotho e Madagascar. Si è scoperto che le alte temperature sono più importanti della diminuzione delle precipitazioni nei bacini idrografici africani.
La copertura del suolo è importante anche per la vulnerabilità alla siccità. Lo studio ha rilevato che la savana e le praterie sono più suscettibili alle siccità improvvise rispetto ad altri ecotipi, in particolare nei climi umidi e semi-umidi.
Nei bacini idrografici dell’Asia centrale, concentrati su alte montagne, tra cui il Karakoram dell’Himalaya, Tianshan e l’Hindu Kush, l’entità della siccità improvvisa si è ridotta durante il periodo di studio, in controtendenza rispetto alla tendenza mondiale: i cambiamenti climatici nelle precipitazioni, lo scioglimento del manto nevoso e il passaggio dalla neve alla pioggia in montagna hanno mantenuto i terreni umidi. In compenso, questi cambiamenti possono causare un aumento delle inondazioni improvvise, che sono state infatti osservate nella regione.
«I rischi naturali non hanno valore politico – ha concluso Neelam – Ecco perché abbiamo considerato i bacini idrografici e non i paesi».
In un simile contesto, anche l’Italia non è certo indenne al rischio siccità. Tutt’altro: i dati Ispra aggiornati al 2023, anno in cui la disponibilità idrica si è fermata a 112,4 miliardi di metri cubi (a fronte di precipitazioni totali per 279,1 mld mc), segnano -18% rispetto alla media del periodo 1951-2023.
Una dinamica che non dipende solo dalla riduzione delle piogge, ma anche dall’aumento dell’evapotraspirazione – ovvero la combinazione tra evaporazione e traspirazione della vegetazione – che va a diminuire la disponibilità d’acqua anche negli anni in cui non c’è una marcata diminuzione delle precipitazioni.