La guerra dell’acqua a Gaza: una catastrofe ambientale minaccia Sheikh Radwan
Il Comune di Gaza ha lanciato l’allarme sulla situazione catastrofica nella vasca di raccolta dell’acqua piovana nel quartiere di Sheikh Radwan, a nord della città ridotta in macerie dai bombardamenti israeliani. Se è possibile, si tratta di un ulteriore peggioramento della crisi ambientale, sanitaria e umanitaria nell’enclave.
Secondo il Comune di Gaza, «I livelli dell’acqua nella vasca hanno raggiunto una soglia pericolosa con il continuo afflusso di acque reflue, in concomitanza con il ritorno degli sfollati in città e le aspettative di un aumento delle precipitazioni, che minacciano di far traboccare la vasca. Il bacino sta soffrendo per l’aumento delle quantità di acque reflue, le quali portano a livelli critici, con acque che minacciano di inondare i quartieri e le aree circostanti, oltre ad avere un impatto negativo sulla falda acquifera, inquinare l’ambiente e diffondere malattie».
La municipalità ha sottolineato che «L’occupazione israeliana ha impedito la realizzazione delle tubature necessarie per la manutenzione della linea di drenaggio del bacino, ostacolando lo scarico dell’acqua in eccesso e il reindirizzamento delle acque reflue, aggravando così il problema. Inoltre, i ripetuti bombardamenti israeliani hanno distrutto le stazioni di trattamento delle acque reflue e i generatori elettrici della vasca, danneggiando il sistema di pompaggio, con perdite significative in 4 delle 6 pompe».
Il Comune di Gaza ha fatto appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni competenti «Affinché intervengano con urgenza per salvare la situazione della piscina di Sheikh Radwan» e ha chiesto di «Facilitare l’ingresso delle tubature, di fornire supporto tecnico e finanziario per riparare le infrastrutture danneggiate e le attrezzature necessarie per il funzionamento e la manutenzione della piscina, nonché di lavorare per fornire una fonte di elettricità sostenibile per far funzionare le pompe dell’acqua in modo che le squadre municipali possano effettuare una manutenzione completa del sistema di pompaggio della vasca».
La municipalità di Gaza denuncia otevoli ostacoli nella riparazione dei danni e nel funzionamento delle pompe esterne a causa della mancanza di carburante, macchinari, attrezzature e tubature necessarie, conseguenza della guerra durata 15 mesi. Secondo la municipalità, 132 dei suoi veicoli sono stati distrutti e resi inutilizzabili dall’inizio della guerra, pari all’85% del totale dei veicoli municipali.
Intanto Steve Witkoff, inviato speciale del presidente Usa Donald Trump, ha avvertito che «E’ assurdo per la popolazione civile della Striscia di Gaza aspettarsi che venga ricostruita nei tempi previsti da un accordo di cessate il fuoco in corso, ci vorrebbero dai tre ai cinque anni solo per smaltire le rovine sparse per Gaza, i tempi previsti di cinque anni sono fisicamente impossibili». Poi Witkoff ha cercato di difendere le dichiarazioni di Trump di ripulire Gaza e di spostare la popolazione palestinese in Giordania e in Egitto. Secondo lui «Il presidente sta solo parlando di rendere Gaza abitabile. Questo è un piano a lungo raggio. Il Presidente è intenzionato a fare tutto correttamente. Quindi, per me, è ingiusto aver spiegato ai palestinesi che potrebbero tornare tra cinque anni. E’ semplicemente assurdo».
Invece Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, ha rinnegato l’accordo per il cessate il fuoco tra Israele ed Hamas del quale Trump si era inizialmente preso il merito nonostante lo avesse redatto Biden: «Non è un accordo così meraviglioso quello che è stato firmato per la prima volta. Non è stato dettato dall’amministrazione Trump. Non abbiamo avuto nulla a che fare con esso. Quindi ora stiamo lavorando all’interno di questo schema e stiamo risolvendo le cose». Waltz ha stimato in 10 – 15 anni il tempo necessario per la ricostruzione di Gaza.
Ma un sondaggio pubblicato al Jewish People Policy Institute (JPPI) ha rivelato che circa 8 israeliani ebrei su 10 sostengono la proposta di Trump di “trasferire gli arabi di Gaza in un altro Paese”, mentre la maggioranza degli israeliani arabi si oppone.
Mentre il 43% di tutti gli israeliani ritiene che il piano di pulizia etnica di Trump sia “pratico” e debba essere attuato, il 30% degli israeliani ebrei ha risposto che il piano è “non pratico, ma auspicabile”. Il 13% degli israeliani ritiene che la proposta di Trump sia “immorale”, ma questo gruppo comprende in particolare il 54% degli intervistati palestinesi e solo il 3% degli israeliani ebrei. L’81% degli intervistati ebrei israeliani di destra affermano che il piano è sia auspicabile che pratico, rispetto al 31% di quelli di centro e al 27% di quelli di sinistra.
Mentre Trump pensa di trasformare in un resort di lusso il gigantesco cimitero in macerie di Gaza, Rik Peeperkorn, rappresentante del’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per i Territori Palestinesi Occupati avvisa che «Oltre 12.000 pazienti gravemente malati e feriti, tra cui almeno 5.000 bambini, devono essere evacuati urgentemente da Gaza, a causa del sistema sanitario al collasso»
Peeperkorn ha descritto uno scenario di «Distruzione diffusa, strutture mediche sopraffatte e crescenti bisogni di salute mentale, mentre la popolazione dell'enclave sta gradualmente tornando a ciò che resta delle proprie case dopo quasi 16 mesi di conflitto. Tutti a Gaza sono colpiti... stress, ansia, depressione e solitudine sono ovunque, C’è un enorme peso psicologico sia sui residenti che sugli operatori sanitari. Prima della guerra, Gaza aveva più di 3.500 posti letto in ospedale. Oggi ne rimangono solo 1.900 e pochissime unità di terapia intensiva (ICU) e incubatrici per neonati, lasciando il personale medico in difficoltà nel curare i casi critici. Anche prima della guerra, i servizi di salute mentale erano limitati, con un solo ospedale psichiatrico, 6 centri comunitari e una rete di ONG che fornivano supporto. Ora, quelle strutture sono distrutte o non funzionanti. La situazione è particolarmente preoccupante nel nord di Gaza, dove sono rimasti solo due psichiatri. Inoltre, solo un ospedale è ancora parzialmente funzionante nella regione, e i restanti sono distrutti o gravemente danneggiati. Jabalya è come una terra desolata. La distruzione è incredibile».
Peeperkorn ha confermato che «Sono iniziate le evacuazioni mediche dei pazienti gravemente malati e feriti, con 35-40 pazienti trasferiti ogni giorno. E’ estremamente importante accelerare e velocizzare questo processo. Secondo le stime dell’Oms, tra 12.000 e 14.000 pazienti devono essere evacuati da Gaza, tra cui almeno 5.000 bambini. Tra i pazienti totali stimati, circa la metà soffre di lesioni correlate a traumi, mentre altri necessitano di cure urgenti per patologie croniche come cancro e malattie cardiovascolari. Bisogna aprire urgentemente ulteriori corridoi medici e in particolare il tradizionale percorso di riferimento della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, dove le strutture sono pronte a ricevere pazienti».
Oltre alla grave crisi sanitaria, la situazione umanitaria a Gaza resta critica in ogni ambito, con gravi carenze di acqua pulita, cibo e servizi essenziali. Il coordinatore degli aiuti d'emergenza dell’Onu, Tom Fletcher ha visitato due ospedali, Al Shifa a Gaza City e Al Awda a Jabalya, nel nord di Gaza e ha parlato con i sopravvissuti e i rimpatriati a Jabalya che stanno cercando di ricostruire le loro vite tra le macerie.
Fletcher ha inoltre riferito che «La carenza di acqua rimane particolarmente acuta. L'unico pozzo d'acqua operativo nel nord di Gaza, gestito dall'UN Relief and Works Agency (UNRWA ), funge da fondamentale ancora di salvezza per l'acqua potabile pulita».
Ma L’UNRWA è stata dichiarata fuorilegge da Israele e la distruzione diffusa delle infrastrutture ha lasciato molti residenti senza un accesso affidabile all’acqua. Le ONG umanitarie stanno distribuendo 2.500 metri cubi di acqua potabile sicura al giorno, raggiungendo circa 411.000 persone, ma questo è ben al di sotto delle reali necessità.
Secondo il coordinamento di emergenza Onu. «I partner per l'acqua, i servizi igienico-sanitari e l'igiene stanno effettuando delle valutazioni in diverse località della Striscia per riparare i pozzi d'acqua, installare pompe di dosaggio e predisporre punti di rifornimento idrico. Mentre alcune riparazioni sono già in corso, ulteriori progressi dipendono dalla capacità dei team di rimuovere le macerie e di effettuare valutazioni dei rischi di esplosione».
Nel frattempo, in Cisgiordania, le operazioni militari israeliane si sono intensificate a Jenin, Tulkarem e Tubas, limitando gravemente l'accesso dei palestinesi agli aiuti essenziali, tra cui acqua, cibo, medicine e forniture per l'infanzia. Nel governatorato di Tubas, le forze israeliane sono all’attacco da 6 giorni nel campo profughi di El Far'a, dove hanno imposto il coprifuoco, proibendo ai residenti palestinesi di uscire dalle loro case. I militari israeliani hanno anche spianato le strade e danneggiato le reti idriche, costringendo i palestinesi a fare affidamento sulla raccolta dell'acqua piovana.