Agricoltura, in Italia irrigati oltre 2,5 mln di ettari ma il contributo irriguo è troppo eterogeneo
La risorsa idrica rappresenta un fattore dal crescente valore strategico per le economie globali: a quei comparti che da sempre sono idroesigenti, quali agricoltura e industria, si sono affiancati, più recentemente, settori high-tech ed energetici, il cui fabbisogno idrico dipende da esigenze non esclusivamente produttive, ma anche connesse al funzionamento di infrastrutture, come il raffreddamento dei data center.
L’agricoltura rappresenta un settore strategico per l’Europa e, più in particolare, per i paesi dell’area mediterranea. I dati Eurostat indicano che tra il 2013 e il 2023 il commercio di prodotti agricoli dell’UE ha registrato un tasso di crescita medio annuo del +4,6%; con un aumento delle esportazioni (+4,7%) leggermente superiore a quello delle importazioni (+4,4%). Per l’Italia in particolare, l’export dell’agroalimentare del Made in Italy ha avuto una crescita dell’+8% nel 2023, connotando un paese a forte vocazione agricola, con la presenza di una filiera agroalimentare estesa che vale 586,9 miliardi di euro di fatturato (in crescita del 29% rispetto ai valori registrati nel 2015) e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL (THEA Club, 2024).
E, in questo contesto, l’utilizzo dell’acqua per l’irrigazione è essenziale per la competitività del comparto agroindustriale e per garantire la sicurezza e la sovranità alimentare del Paese. Dal punto di vista economico si stima un maggiore valore aggiunto derivante dalla pratica irrigua per seminativo, frutteto, orto e prato che raggiunge un massimo di 52.000 €/ha al nord, con una media su scala nazionale di 40.000 €/ha. La differenza in termini di resa fra irriguo e non irriguo è pari, in media, a 13.500 €/ha. In termini percentuali tale differenza è più elevata al Centro-Sud (60-80%) rispetto al Nord (39%), con una recente tendenza a decrescere del divario nord-sud.
Va comunque sottolineato che le coltivazioni senza irrigazione inserite in rotazione offrono spesso una redditività di poco maggiore ai costi di produzione, con marginalità non sufficienti a garantire il sostegno dell’impresa agricola ed i necessari investimenti nella modernizzazione delle colture e della gestione delle risorse idriche. In Italia e negli altri Paesi mediterranei a forte vocazione agricola, i livelli di produzione raggiunti sono garantiti principalmente grazie alla supplementazione irrigua, assicurata da sistemi di captazione e opere di presa, capillari reticoli irrigui e sistemi di irrigazione, con consumi a livello UE da parte del comparto agricolo pari al 40% del consumo complessivo di acqua, stando ai dati della European Environmental Agency (EEA). Nel nostro Paese, inoltre, sono irrigati circa 2,5 milioni di ettari su un totale di 13 milioni coltivati, con una progressiva crescita della superficie irrigata in alcune aree del Paese, stanti anche gli impatti del cambiamento climatico, che hanno esteso le stagioni irrigue e incrementato il fabbisogno idrico per colture tradizionalmente non irrigue, come la vite e l’olivo (CREAFuturo).
In termini di politica economica e settoriale è dunque diventata ormai irrinunciabile una azione che vada a rafforzare il sistema infrastrutturale a beneficio dell’agricoltura, contemperando anche significative iniziative per l’efficientamento nel servizio di distribuzione e del connesso impiego da parte degli utilizzatori. Sul fronte delle azioni di policy, la Politica Agricola Comune (PAC 2023/27) ha incluso tra i suoi obiettivi la gestione della risorsa idrica, calibrando interventi specifici per la promozione di un suo efficiente utilizzo.
All’interno del corpus normativo europeo in materia di risorsa idrica, l’art. 9 della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE (DQA) rimane ancora oggi la disposizione di riferimento per quanto concerne l’efficiente consumo della risorsa ed i connessi aspetti economici. L’articolo introduce tre principi chiave quali:
- La copertura dei costi per l’erogazione dei servizi idrici. È da intendersi in una concezione estesa, inclusiva di tutti i molteplici usi della risorsa, e tenendo conto dei costi opportunità per gli usi alternativi della risorsa consumata, dei costi ambientali connessi al ripristino degli ecosistemi acquatici su cui incidono esternalità negative connesse ai prelievi, nonché dei costi finanziari connessi alla realizzazione e gestione dei sistemi infrastrutturali (Full Cost Recovery);
- Una struttura dei corrispettivi incentivante, capace di trasmettere agli utilizzatori degli appropriati segnali di prezzo tali da favorire un utilizzo efficiente della risorsa;
- Il principio chi inquina paga, che prevede l’attribuzione ai soggetti inquinanti dei costi ambientali connessi alla loro attività (polluter pays principle).
Il documento di monitoraggio della Commissione Europea sull’implementazione dei River Basin Management Plans (RBMP) offre interessanti spunti in merito alla compliance dei paesi UE con i tre principi-chiave citati.
In merito al principio di Full Cost Recovery (FCR), dal monitoraggio è emerso che almeno un terzo dei paesi dell’Unione ha profilato in maniera ristretta il servizio idrico a cui deve essere assicurata la copertura dei costi mediante tasse e tariffe, limitandolo alla fornitura di acqua potabile ed al collettamento e trattamento delle acque reflue. Pur rappresentando un miglioramento rispetto a quanto emerso nel primo ciclo di monitoraggio, in cui circa la metà degli Stati membri non ottemperava al FCR per larga parte degli usi, rimane pur sempre un elemento di criticità nel panorama della gestione della risorsa idrica in Europa. Tra gli usi più frequentemente esclusi dall’adozione del FCR rientra il servizio irriguo, soprattutto nella fattispecie dell’autoapprovvigionamento: un fenomeno dal complesso monitoraggio e, conseguentemente, difficilmente assoggettabile a forme di regolazione. Se quindi alcuni paesi, come ad esempio la Lettonia, hanno applicato una definizione ampia di servizio idrico, riportando informazioni sul grado di copertura dei costi per ogni tipologia di uso all’interno dei RBMG, in Italia i Piani di Gestione Acque (PGA) dei singoli distretti applicano definizioni meno ampie, omettendo in gran parte dei casi informazioni inerenti al grado di copertura dei costi riferito al servizio irriguo ed all’autoapprovvigionamento.
Nei paesi mediterranei l’uso irriguo è prevalentemente gestito attraverso enti di autogoverno collettivo – nello specifico della realtà italiana i Consorzi di bonifica – che, a differenza degli utilizzatori individuali, hanno la capacità organizzativa e manageriale di adeguarsi all’evolversi del quadro normativo. In tale contesto, la struttura del contributo irriguo ha subito una evoluzione, passando dai circa 0.07 €/m3 rilevati in un periodo antecedente alla introduzione della DQA a punte di 0.80 €/m3 nei periodi successivi, post DQA (da un massimo di 150 €/ha sino a 1705 €/ha) con percentuali di copertura dei costi comprese tra 50% ed 80% .
In termini generali dobbiamo, tuttavia, osservare che il pieno recupero dei costi per l’uso irriguo posto a carico del solo settore agricolo per l’utilizzo di un sistema di infrastrutture in parte demaniali capace di assicurare l’erogazione di servizi ecosistemici, potrebbe portare ad un meccanismo distorsivo, che attribuirebbe al solo utilizzatore della risorsa anche quei costi che, almeno in parte, andrebbero sostenuti dall’intera collettività, mediante la fiscalità generale; ciò avrebbe inoltre effetti sull’economicità del comparto, anche alla luce di dinamiche dei prezzi di vendita non governabili da parte di singole aziende agricole.
Se dunque il rispetto del criterio del FCR risulta derogabile, almeno per alcune tipologie di uso, ai sensi dell’art. 9.4 della stessa DQA, riteniamo imprescindibile fornire all’interno dei PGA una accurata disclosure in merito alle modalità con cui i singoli usi contribuiscono alla copertura dei costi, oltre alla relativa percentuale, ciò al fine di mettere in condizione il decisore pubblico di attuare scelte maggiormente efficaci, orientando ad esempio i contributi per la realizzazione delle infrastrutture laddove si riscontrino minori tassi di copertura dei costi, specialmente in quei casi in cui vi sia un potenziale di esternalità positive, quali i servizi ecosistemici assicurati oppure richiedendo l’applicazione di adeguate regole tariffarie nei settori in cui il beneficio economico generato dall’impiego della risorsa sia largamente superiore al costo effettivamente pagato dagli utilizzatori.
In merito all’impiego di strutture dei corrispettivi incentivanti, molti RBMP a livello europeo non riportano informazioni dettagliate, fornendo indicazioni sui singoli usi. Se un efficace sistema di misura dei consumi idrici rappresenta una condizione propedeutica all’implementazione di un sistema tariffario che dia i corretti segnali di prezzo, la situazione in Europa rimane critica sotto questo punto di vista, con una parziale diffusione dei misuratori, soprattutto con riferimento agli usi irrigui. Conseguentemente, le tariffe su base volumetrica sono applicate nel 59% delle tipologie di servizio irriguo monitorate; con un restante 41% che utilizza la misura ai fini tariffari in maniera parziale o non la utilizza affatto. Più in generale, tra le raccomandazioni inserite nel documento di Overview da parte della Commissione europea rientra la richiesta agli Stati membri di fornire all’interno dei RBMP un adeguato livello informativo in merito alle politiche di prezzo applicate per ciascuna tipologia di uso.
La situazione non cambia significativamente se si guarda al nostro paese. Nonostante siano state emanate nel 2015 apposite linee guida ministeriali per la regolamentazione a livello regionale della quantificazione dei consumi idrici, i sistemi tariffari basati sulla misura non sono sempre ampiamente diffusi, se si eccettua il caso del servizio idrico integrato, le cui tariffe seguono il modello degli increasing block, per disincentivare uno spreco di risorsa idropotabile. Ciò deriva, in parte, anche dagli elevati costi di implementazione, associati alla complessità tecnica di monitorare i prelievi da alcune tipologie di reticolo, come quelle a scorrimento. Con riferimento al servizio irriguo, va inoltre tenuta in considerazione la più elevata rigidità della domanda in presenza di sistemi per il risparmio idrico: in tali fattispecie il prezzo marginale per ottenere ulteriori risparmi risulta del tutto sproporzionato rispetto ai costi, rendendo poco efficace un sistema di pricing incentivante, stante, in termini prospettici, un’adozione generalizzata di tecniche di irrigazione con criteri di risparmio idrico da parte degli agricoltori.
articolo a cura di Adriano Battilani, Massimo Gargano, Andrea Guerrini, Maria Giovanna Montalbano