Acqua, cala la disponibilità idrica in Italia: nel 2023 -18,4% rispetto alla media storica
L’Istituto superiore per la protezione per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha pubblicato oggi il nuovo aggiornamento del modello Bigbang sul bilancio idrologico nazionale, dal quale emerge che nel 2023 sul nostro Paese le precipitazioni totali si sono fermate a 280 miliardi di metri cubi d’acqua: si tratta di +28,5% rispetto al siccitosissimo 2022, ma è comunque un dato in «leggera flessione» rispetto alla media del 1951-2023.
A preoccupare è semmai il più marcato calo della disponibilità idrica – anche detta internal flow o disponibilità naturale di risorsa idrica rinnovabile –, ovvero «la quantità di precipitazione, al netto della perdita per evapotraspirazione, che rimane disponibile nell’ambiente per gli ecosistemi e per i diversi usi», che è calata del 18,4% rispetto alla media dal 1951, come già anticipato dal report Snpa Il clima in Italia nel 2023.
Cosa succede infatti a pioggia, neve e grandine che precipitano sull’Italia? Nel 2023 il 19% delle precipitazioni (35 mld mc d’acqua) è andato ad alimentare la ricarica degli acquiferi, un dato sotto media (22,7%); la parte di deflusso superficiale – ovvero l’acqua che non si è infiltrata né è stata trattenuta dal suolo – ha toccato 66 mld mc ovvero il 23,7%, andando oltre la media di lungo periodo (25%) dato che al contempo cresce il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo a causa dell’avanzata del cemento; è cresciuta anche l’evapotraspirazione (59,4% nel 2023 vs 52% in media) a causa del riscaldamento globale che colpisce duro il Belpaese.
«A scala nazionale, nel 2023 si conferma, come ormai avviene da diversi anni, il trend negativo della disponibilità naturale di risorsa idrica rinnovabile», sintetizza dunque l’Ispra. La disponibilità idrica si è infatti fermata a 112,4 mld mc d’acqua, in crescita del 68% rispetto all’arido 2022 ma registrando comunque -18,4% sulla media storica. «Tale riduzione – spiega l’Ispra – è l’effetto combinato di un deficit di precipitazione, specialmente nei mesi di febbraio, marzo, settembre e dicembre, e di un incremento dei volumi idrici di evaporazione dagli specchi d’acqua e dal terreno e di evapotraspirazione dalla vegetazione».
Cosa accadrà nei prossimi anni? «Gli scenari futuri non sembrano promettenti – sottolinea il rapporto –, delineando per l’Italia una complessiva riduzione del volume delle precipitazioni annue e un aumento delle temperature, che dovrebbe quindi riflettersi in una complessiva riduzione del volume dell’internal flow».
Non si tratta di catastrofismo, ma di riconoscere – finché siamo in tempo – che è necessario tornare a investire ingenti risorse, pubbliche e private, per far tesoro di precipitazioni che resteranno comunque abbondantemente al di sopra dei prelievi antropici (stimati dalla Fondazione Earth and water agenda in 34 mld mc l’anno) ed ecologici, se ben gestite. Investimenti dunque per difendere il territorio dalle alluvioni, e al contempo accumulare risorsa idrica per i periodi di siccità, tramite infrastrutture come gli invasi ma applicando al contempo soluzioni basate sulla natura per aumentare la permeabilità dei terreni.
Serve un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. In Italia spendiamo 7 mld di euro all’anno di risorse pubbliche e da tariffa per la gestione di tutti gli aspetti idrici, mentre ne servirebbero 10 in più, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Ewa.
Al contempo occorre migliorare il contributo dell’Italia alla decarbonizzazione, perché in un pianeta in surriscaldamento continuo la disponibilità idrica non potrà che continuare a diminuire.
Purtroppo, il Governo Meloni sta facendo acqua su entrambi i versanti: il Pniissi elaborato dal ministero delle Infrastrutture ha individuato opere idriche necessarie per oltre 13 mld di euro, ma ha stanziato neanche 1 mld di euro per realizzarle; al contempo il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) risulta totalmente inadeguato per alimentare le ambizioni della transizione ecologica. È così che l’Italia si condanna a restare inerme, in attesa della prossima siccità o alluvione.