«Attribuire la crisi del settore auto al Green deal è una narrazione fuorviante». Ora anche le case automobilistiche smontano la bufala
La filiera automotive, il grande malato dell’industria italiana e in parte anche europea, è diventato «un tema politico, ormai vittima di narrazioni interessate che vorrebbero riscrivere il passato per cambiare il futuro». Parola dell’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae), ovvero l’Associazione delle case automobilistiche estere che operano in Italia, riunite ieri in conferenza nella romana Villa Blanc.
Un appuntamento utile per alzare gli occhi dalla continua diatriba Governo-Stellantis, attorno alla quale si sta trascinando l’intero dibattito nazionale sull’automotive, mischiandosi alle presunte colpe della transizione ecologica.
Ma come da tempo spiegano gli ambientalisti «attribuire la crisi del settore automobilistico europeo al Green deal è una narrazione fuorviante». A certificarlo adesso è anche l’Unrae col suo presidente, Michele Crisci. Per combattere inquinamento e crisi climatica, oltre che per spingere sull’innovazione, l’Ue ha stabilito il divieto di nuove immatricolazioni per auto e furgoni non a emissioni zero entro il 2035, eppure la crisi dell’automotive viene da molto più lontano: tra il 2000 e il 2021 la produzione di autovetture nei cinque principali mercati Ue è crollata da 15,4 a 9,2 mln, mentre la Cina cresceva da 2 a 26 mln.
Come mai? Nel caso particolare dell’Italia aiuta il fatto che il prezzo medio di un’auto sia aumentato del 58% dal 2011 a 2023, mentre il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 3%. I motivi nell’impennata dei prezzi auto, ricordati dall’Unrae, vanno dall’energia alle materie prime (quelle tradizionali e soprattutto quelle critiche) alla logistica internazionale. Ma dipendono anche da una scelta commerciale, ovvero quella delle case auto di puntare sulle vetture premium; una scelta pensata per aumentare i margini di profitto sul singolo veicolo, ma che in un’ottica di sistema sta portando a galla tutti i suoi limiti. Anche il calo del potere d’acquisto è una scelta politica, perché l’alternativa sarebbe redistribuire la crescente concentrazione di ricchezza in poche mani.
«L’Europa paga il prezzo di politiche incoerenti e dell’assenza di una visione strategica per accompagnare una transizione sostenibile, definita dagli obiettivi, economicamente e socialmente responsabile», continua Crisci, criticando anche la politica ondivaga del Governo italiano: «A giugno i fondi del nuovo Ecobonus per le vetture elettriche sono andati esauriti in poche ore. Ad agosto il ministro Urso ha celebrato i risultati ottenuti dall’Ecobonus, anticipando un piano triennale, a novembre ne ha annunciato la cessazione definitiva. Contestualmente, il Governo ha cancellato l’80% del Fondo automotive, per poi promettere finanziamenti dedicati solo al sostegno all’offerta. Ma la filiera non può prosperare senza un mercato in salute, e questo non può esistere senza fornire certezze al settore».
Risultato: in Italia Unrae stima per il comparto autovetture un mercato a 1,565-1,570 milioni di unità nel 2024, in linea con l’anno scorso ma ben 350mila unità al di sotto del 2019, e prevede un 2025 fermo allo stesso livello, senza segnali di ripresa. Per i veicoli commerciali leggeri nel 2025 andrà peggio (-4%), per non parlare dei veicoli industriali (-16,5%).
Non solo: l’Italia ha una quota di auto elettriche pure (Bev) del 4%, che è 1/10 dei paesi leader del Nord (saliti al 42,5%), poco superiore a ¼ della media Eu+Efta+Uk (14,8%), ma addirittura inferiore a Paesi con un Pil pro capite più basso, come Portogallo (18,8%), Ungheria (7,2%), Spagna (5,2%) e persino Grecia (5,5%), dimostrando che i fattori limitanti l'adozione dei veicoli elettrici vanno oltre le sole capacità reddituali.
Tra le «anomalie strutturali» del contesto italiano Unrae evidenzia l’effetto della disinformazione, il sottosviluppo delle auto aziendali, il costo delle ricariche per auto elettriche – molto più elevato che in altri Paesi come la Francia o la Spagna, anche per le penalizzazioni fiscali presenti in Italia – ma anche il tema infrastrutture stesse di ricarica: l’Italia coi suoi 11,0 punti ogni 100 km di rete viaria sono inferiori ai 16,4 della media europea e lontani anni luce dai 125,2 dell’Olanda, col risultato di aver perso una posizione, dalla #15 alla #16 in classifica.
Per quanto riguarda in particolare i prossimi target di riduzione delle emissioni di CO2, ecco dunque che si tratta di un obiettivo seriamente a rischio – argomenta il dg Unrae, Andrea Cardinali – Fra il 2021 e il 2023 il calo medio delle emissioni in Europa è stato di appena 3,5 g/Km, mentre per centrare gli obiettivi 2025 sarebbe necessario un ulteriore decremento di 13 g/Km. Un’impresa ardua, che espone le case auto al rischio di sanzioni che l’Aea ha stimato in 15 miliardi di euro (una stima che l’associazione ambientalista Transport&Environment abbassa però a 1 mld di euro, ndr). Le multe del 2025 vanno assolutamente cancellate, per evitare di affossare definitivamente gli investimenti nella transizione. Ma da qui a sostenere, come oggi fanno praticamente tutti, che queste normative siano il frutto estemporaneo di un blitz da parte di pochi ideologi a Bruxelles, che ha portato al suicidio industriale dell’Europa, ce ne corre. Gli obiettivi di abbattimento delle emissioni di CO2 nel settore automotive – prosegue Cardinali – sono il risultato di un lungo percorso strategico avviato con l'Accordo di Parigi del 2015 per il contrasto al riscaldamento globale, sottoscritto da ben 195 Paesi, percorso che si è snodato attraverso un iter assai complicato fra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo, conclusosi con il consenso di tutti gli Organi democratici centrali e nazionali».
Che fare, dunque? Unrae da tempo propone una serie di strumenti concreti per accelerare la diffusione di veicoli a zero e bassissime emissioni: un piano di sostegno pluriennale con almeno 1 miliardo di euro all’anno nel triennio 2025-2027; la revisione del regime fiscale delle auto aziendali, intervenendo su detraibilità dell’Iva e deducibilità dei costi; una politica mirata per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica elettrica e a idrogeno. In sostanza, per salvare l’automotive occorre accelerare – e non frenare – sul Green deal.