Il termovalorizzatore di Livorno non riaprirà: per i rifiuti destinazione discarica
Dall’inizio di quest’anno il termovalorizzatore di Livorno, l’unico rimasto in tutta la Toscana costiera, è spento. La novità che non riaprirà, a meno di clamorosi e al momento non previsti cambi di rotta.
Nella perizia affidata dal gestore unico dei servizi d’igiene urbana dell’Ato costa, Retiambiente, si legge infatti che «il riarmo dell’inceneritore di Livorno, aderente alla nuova Aia pur rilasciata dall’autorità competente della Regione Toscana, non è economicamente ed ecologicamente conveniente considerata la brevità del suo esercizio, comunque previsto in cessazione alla fine del 2027 e ponderata l’incognita della carbon tax (Ets) che potrebbe gravare sull’impianto già dal 2028».
Il sottinteso è che la deadline al 2027 che rende diseconomico l’investimento non è però imposta da vincoli ambientali o tecnici, ma da una scelta politica operata dall’attuale amministrazione comunale, che non ha dato disponibilità a proseguire oltre nell’attività dell’impianto. Anche perché per allora è ipotizzata l’entrata in funzione di un impianto innovativo per la gestione dei rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente, ovvero l’ossicombustore in progetto a Peccioli; tale impianto però sta ancora attraversando il proprio iter autorizzativo in Regione, dunque i margini d’incertezza – soprattutto sul fronte delle tempistiche – restano elevati.
Al contempo il prossimo ingresso delle emissioni di CO2 provenienti dai termovalorizzatori all’interno del mercato europeo Eu Ets – dove ogni tonnellata emessa ha un prezzo – è quasi una certezza, eppure questo non ha impedito a Roma di avviare la realizzazione di un nuovo impianto (peraltro con tutta probabilità sovradimensionato) che entrerà in azione proprio dal 2027, recuperando parte della CO2 proprio per ridurre l’impatto dell’Eu Ets; del resto è stato lo stesso commissario Ue all’Ambiente a dichiarare che «il termovalorizzatore è nel modello europeo» come tipo di tecnologia per la gestione rifiuti. I suoi problemi più grossi, semmai, sono di accettabilità sociale com’è evidente anche dal caso livornese.
Dove andranno dunque i rifiuti che venivano bruciati nel termovalorizzatore per ricavarne energia elettrica, al posto di combustibili fossili? A esplicitarlo è sempre il documento Retiambiente: seguiranno «il percorso dei rifiuti indifferenziati di tutti gli altri Comuni e cioè avviati a trattamento meccanico biologico (Tmb) per poi essere smaltiti», ovvero in discarica.
Il bilancio economico dunque potrà essere favorevole alla dismissione del termovalorizzatore – premesso che la volontà politica sarebbe quello di tenerlo acceso solo fino al 2027, a fronte d’ingenti investimenti di revamping –, ma il bilancio ambientale dice altro. Perché da sempre la gerarchia europea di gestione rifiuti informa che il recupero di energia da rifiuti sta su un gradino più alto rispetto alla pur necessaria, ma residuale discarica.
Non è una novità: è quanto sta accadendo già ora, dato che il termovalorizzatore è spento e i rifiuti stanno transitando dai Tmb di Rosignano e Massarosa come tappa intermedia verso le discariche. Non tutti i rifiuti che entrano nei Tmb vanno poi in discarica, sia chiaro, ma la quota maggioritaria. Nel suo ultimo rapporto sui rifiuti urbani, l’Ispra informa che in tutta Italia sono attivi 132 Tmb, che hanno accolto nell’ultimo anno censito (2022) 8,7 mln t di rifiuti, per l’81,5% costituiti da rifiuti urbani indifferenziati; in uscita ai Tmb si generano altri rifiuti (speciali, così da poter essere affidati al mercato e dunque anche esportati al di fuori del proprio Ato di competenza) che per il 42,2% vengono smaltiti in discarica, mentre il 25,2% viene inviato a termovalorizzazione, il 14% a biostabilizzazione o produzione di Css (Combustibile solido secondario, poi bruciato), il 6,6% a coincenerimento, il 3% a copertura discariche, l’1% (prevalentemente frazioni metalliche) a riciclo.
Si potrebbe fare meglio, investendo sull’aggiornamento dei Tmb? Proprio nell’Ato costa, Retiambiente ha avviato una collaborazione insieme ai comitati “rifiuti zero” per tentare di aumentare la quota di materiali avviati a riciclo tra i rifiuti in uscita dal Tmb di Massarosa; il report conclusivo era atteso per lo scorso giugno, ma non se n’è avuta notizia.
Ci è riuscita invece Sienambiente, partecipata pubblica attiva nella Toscana del sud, dove al posto del vecchio Tmb è stato avviato l’impianto Re-Mat, che avvia a riciclo ben il 20% dei rifiuti indifferenziati. Ma «l’impiego del termovalorizzatore non è in discussione», spiega il presidente Scarpelli, perché si tratta d’impianti complementari e c’è pur sempre l’80% irriciclabile da gestire. La costa toscana ha invece deciso di affidarsi alla discarica, in attesa dell’ossicombustore in ipotesi.