
Meno consumo di suolo e più attenzione all’acqua: le città del futuro secondo i costruttori edili

Le città del futuro? Devono mettere al centro la sostenibilità, essere efficienti dal punto di vista dei consumi energetici e anche idrici, ripensate nell’ottica dell’adattamento e della mitigazione rispetto al cambiamento climatico, sviluppate non ricorrendo a ulteriore consumo di suolo, bensì accelerando l’attuazione di programmi di rigenerazione urbana. Non ci sarebbe nulla di strano, se a sostenerlo fosse qualche associazione ambientalista o uno scienziato del clima. Se il messaggio arriva invece dai costruttori, la cosa cambia. Ed effettivamente, è quello che sta succedendo.
L’Associazione nazionale dei costruttori edili (Anci) sta lavorando a una conferenza internazionale sull’urbanistica fissata in agenda per il 7, 8 e 9 ottobre. Il titolo è “Città nel futuro 2030-2050”, la direzione è stata affidata a Francesco Rutelli, l’evento si aprirà alla Camera dei deputati con un convegno che coinvolgerà tutte le principali istituzioni europee e italiane e proseguirà poi al Maxxi con una serie di dibattiti, mostre e installazioni. Il messaggio di fondo che verrà lanciato? Alla presentazione dell’evento, che si è svolta oggi a Roma, un’indicazione è arrivata, considerato che il segno degli interventi è stato tutto nel senso che si diceva all’inizio: le grandi sfide riguardano l’adattamento climatico, il governo delle acque, la trasformazione urbana, l’emergenza abitativa.
Il messaggio che ha fatto da filo conduttore nel corso della presentazione della conferenza è che la soluzione non è costruire semplicemente di più, ma pianificare meglio, riqualificare, dare finalmente certezza anche legislativa alle misure di rigenerazione urbana, lavorare sulla manutenzione perché, sottolinea un recente rapporto Ance-Cresme, la mancata manutenzione del territorio ha fatto sì che la spesa per contrastare gli effetti del dissesto idrogeologico dal 2010 è triplicata, passando da 1 miliardo l’anno del 2009 ai 3,3 miliardi annui dall’anno successivo in poi.
E questo è uno dei tasti su cui ha insistito anche Erasmo D’Angelis nel suo intervento. Dopo aver illustrato il quadro di quella che è la situazione dell’Italia dal punto di vista del rischio idrogeologico (nell’ultimo secolo abbiamo avuto 23 mila alluvioni, con 1162 millimetri l’anno, la città più piovosa d’Europa è Milano, dove dal 1975 a oggi il Seveso è esondato 119 volte, i due terzi di tutte le frane censite in Europa sono nel nostro Paese, solo per citare qualche dato) il direttore editoriale di Greenreport ha spiegato che mettere in sicurezza l’edilizia pubblica e privata ci costerebbe meno di quel che stiamo spendendo per riparare i danni provocati da calamità naturali. Se è stato calcolato che la cifra da investire nelle opere di prevenzione è di circa 100 miliardi di euro e se solitamente da più parti si obietta che è una somma troppo alta, D’Angelis ha ricordato che ne spendiamo 53 soltanto per i tre principali terremoti avvenuti in Italia tra il 2009 e il 2016 (l’Aquila, Emilia Romagna, Centro Italia). E negli ultimi due anni e mezzo ci sono stati 6 grandi eventi alluvionali che sono costati non solo la vita a decine di persone ma anche 16 miliardi per i danni provocati. «Bisogna invertire la spesa pubblica investendo di più sulla prevenzione e non solo per il post-emergenza. Attualmente stiamo spendendo 8,5 miliardi l’anno per le emergenze e investiamo soltanto 600 milioni l’anno per la prevenzione», ha spiegato D’Angelis.
Sulla stessa linea anche l’intervento di Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, che ha sottolineato come ormai i tempi di ritorno degli eventi alluvionali (la grandezza statistica che indica la probabilità che qualcosa si ripeta in tot anni) sono tutti compromessi dai cambiamenti climatici. Per fare un esempio tratto dal suo territorio d’origine (è emiliano), ha ricordato che il torrente Idice ha provocato tre eventi alluvionali in 18 mesi, quando i tempi di ritorno che lo riguardano sono di 150 anni.
Se questo è il quadro, le città del futuro devono svilupparsi in modo diverso rispetto a com’è stato finora, non si può continuare con attività che portano al consumo di suolo e invece bisogna insistere sulla rigenerazione urbana, che il professore Ricky Burdett, in collegamento da Londra, ha definito «il sangue delle città», cioè l’elemento che può mantenerle in vita. Bisogna ricorrere a soluzioni basate sulla natura, intervenire su quel 94% di Comuni italiani che sono a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera, serve un oculato governo della risorsa idrica e una serie di interventi mirati per gestire le acque reflue urbane, di fronte ai circa 30 mila kilometri di vie d’acqua tombate e il milione di kilometri di rete fognaria.
C’è poi il tema dell’affordable housing citato da Rutelli, la dignità dell’abitare per tutti, che in Italia deve fare i conti anche con dati tutt’altro che edificanti: quasi il 9% degli alloggi pubblici è sfitto perché necessita di manutenzione straordinaria; e nel nostro Paese solo il 3,8% delle famiglie vive in abitazioni di edilizia sociale pubblica, una quota nettamente inferiore rispetto a quella di molti Stati europei (in Olanda, per dire, la quota è 29%, in Francia 16%, in Austria 24%).
Ha sottolineato la presidente dell’Ance Federica Brancaccio: «Il tema dell’abitare, con un focus sull’acqua, sarà al centro della conferenza internazionale di ottobre. Non si può lavorare solo sulle emergenze, in Italia come in Europa. Serve un quadro regolatorio che aiuti a rilanciare la rigenerazione urbana. Serve una definizione di politiche e azioni per affrontare i veri bisogni delle città e dei territori, non possiamo più attendere, dobbiamo cominciare ad agire». E un’aggiunta, la presidente Ance, l’ha fatta con riferimento agli spunti di cronaca secondo cui Matteo Salvini insiste nel suo tentativo di spostarsi al Viminale: «Siamo preoccupati perché al ministero che si occupa di infrastrutture, rigenerazione urbana, dissesto idrogeologico, c’è un ministro che non sappiamo se voglia stare lì e se di queste cose si voglia occupare. Non è una polemica, ma siamo preoccupati».
